Giancarlo de cataldo

Da «Romanzo criminale» al Risorgimento romano

Lo scrittore, sceneggiatore e ex magistrato italiano ci racconta in un’intervista del suo nuovo romanzo «Quasi per caso», un giallo storico ambientato nell’Italia pre-unitaria
Giancarlo De Cataldo, 63 anni, è autore di una trentina di libri tra cui il celebre «Romanzo criminale».
Francesco Mannoni
10.12.2019 06:00

L’ambientazione risorgimentale del nuovo romanzo di Giancarlo De Cataldo, Quasi per caso (Mondadori, 256 pagine, 16 €) in cui racconta di un delitto nell’Italia pre-unitaria ai tempi della Repubblica Romana con un Mazzini ai vertici del potere, non sorprende: lo scrittore, drammaturgo, sceneggiatore e Giudice di Corte d’Assise a Roma, autore del celeberrimo Romanzo criminale (da cui fu tratto un film e una serie televisiva di successo diretta da Michele Placido), e di un’altra trentina di romanzi è un appassionato del Risorgimento. Ci sono dei precedenti: in passato aveva già collaborato con Mario Martone per il film Noi credevamo e scritto anche altri due romanzi ambientati nel Risorgimento. «Io sono un italiano appassionato dell’unità d’Italia, perché il Risorgimento è stata una grande stagione di giovani che credevano in un’utopia e la videro realizzarsi», afferma. «Poi questa utopia è stata distorta, pervertita, ma c’è in essa uno slancio, una partecipazione che prelude a grandi energie. Inoltre volevo anche scrivere dei romanzi in cui ci fosse un militare protagonista, seguendo uno schema classico alla Sherlock Holmes o alla Arthur Conan Doyle, che raccontasse un’indagine d’altri tempi, in libertà: nel senso che c’era sì la nuova tecnica scientifica, ma molto meno aggressiva di com’è adesso».

De Cataldo, che cosa le piace del Risorgimento?
«È una stagione nella quale si mettono in tavola tante carte: cominciano le rivendicazioni delle donne, la borghesia promuove la scienza contro l’oscurantismo, nasce il movimento operaio... E a Roma c’è l’esperienza della Repubblica Romana, una repubblica laica dove però, anche se il Papa è stato cacciato, Mazzini rispetta al massimo la religione. La Repubblica Romana fu un esperimento di governo democratico basato su un progetto di suffragio universale con la costituzione che prevedeva la parità dei sessi, delle opportunità lavorative, la magistratura indipendente soggetta solo alla legge. La Costituzione della Repubblica Romana è molto vicina alla costituzione italiana che è stata varata cent’anni dopo».

La copertina del romanzo, edito da Mondadori.
La copertina del romanzo, edito da Mondadori.

Nel romanzo amore e politica sono abilmente fusi: ma quali furono i reali rapporti tra Mazzini e Cavour?
«Ufficialmente si sono esecrati per tutta la vita. Cavour fece condannare a morte Mazzini e promise che lo avrebbe fatto impiccare in piazza; Mazzini organizzava i moti e considerava Cavour meschino e sciagurato per l’Italia. Poi grazie allo storico inglese Denis Mack Smith abbiamo scoperto che Cavour e Mazzini si vedevano di nascosto. Per una certo periodo Mazzini rientrava in Italia con dei documenti procuratigli da Cavour che era il plenipotenziario del Governo piemontese. Il progetto era di organizzare una serie di tumulti che spingessero l’Austria verso la guerra. Cavour si sarebbe offerto come garante della pace, ammassando truppe e poi sferrando un attacco a sorpresa. Era una grande strategia politica che trova alleati questi due grandi uomini, sia pure per breve tempo. Poi Mazzini si sposta da un’altra parte e crea numerosi problemi. Ma i due punti di vista, quello del moderato, lungimirante ed europeista e quello dell’acceso democratico, sono stati entrambi un grande contributo per l’unità d’Italia».

Cambia qualcosa in un giallo storico rispetto ad uno ambientato ai nostri giorni?
«Quando racconti un giallo storico sei libero dal fare i conti con il DNA, i tabulati telefonici, le tracce informatiche e la prova scientifica: un insieme di elementi realistici e nello stesso tempo narrativi che costituiscono l’ossatura del giallo contemporaneo. Affidarsi a una intuizione umana e psicologica anziché ricorrere agli algoritmi, per uno scrittore è un’investigazione sulla strada, molto rilassante».

Quando racconti un giallo storico sei libero dal fare i conti con il DNA, i tabulati telefonici, le tracce informatiche. Affidarsi a una intuizione umana e psicologica per uno scrittore è un’investigazione sulla strada, molto rilassante

Uno dei protagonisti, Naide, è spigliatissima: una donna di rilievo in un romanzo di uomini?
«Naide è l’emblema di un filone poco conosciuto e poco indagato del Risorgimento e dell’Ottocento: quello del movimento femminile e femminista. Lei appartiene alla razza delle donne che fanno fare un enorme balzo in avanti alla loro causa, e opera perché la tradizione di subalternità a cui era stata condannata la donna occidentale potesse cambiare. Nello stesso tempo nel romanzo le donne sono protagoniste di movimenti rivoluzionari e democratici, ma anche di un’istanza autonoma per l’affermazione della parità dei sessi e del loro accesso a opportunità che non avevano.

Perché ha fatto dei tradimenti e delle menzogne della nobiltà la nervatura del romanzo?
«Quando si raccontano le malefatte dei nobili e dei ricchi, subentra il sottile piacere di rispecchiarsi nella perversione di chi ha il potere e di sentirsi autorizzati a pronunciare dei giudizi anche morali. Ma nello stesso tempo giudicando la loro cattiveria, ci compiacciamo della nostra».

Gli intrighi repubblicani non sembrano diversi da quelli della monarchia: sono sempre i soliti soggetti, in basso e in alto a comandare?
«È politica. E i conti si fanno alla fine: se i mezzi, anche indiretti e non propriamente commendevoli sono serviti ad ottenere un miglioramento delle condizioni di vita di tutti, dei progressi e degli avanzamenti sociali, vuol dire che quella era la strada da seguire. Allora erano spregiudicati e non esitavano a ricorrere anche alla violenza, o a rifugiarsi dietro alla ragion di stato: e lì era raro che si andasse ad indagare».

Il libro

In Quasi per caso tornano il maggiore Emiliano Mercalli di Saint- Just e la fidanzata, Naide Malarò, una delle prime donne medico d’Italia. Torino 1849. Il maggiore dopo la disfatta di Novara torna in città per sposare la fidanzata, ma Naide, fervente patriota, è andata a Roma per seguire Mazzini che ha fondato la Repubblica Romana dopo la fuga del Pontefice. Allora Cavour e Vittorio Emanuele II inviano il maggiore a Roma in missione: deve ritrovare e riportare a Torino un amico del re, lo scapestrato Aymone che si è invaghito d’una principessa romana, già sposata. A Roma Emiliano ritrova Naide e Aymone che però si rifiuta di partire anche quando è accusato di aver ucciso il principe, marito della donna di cui s’è invaghito e rischia la pena di morte. Emiliano indaga su quattro delitti: il principe, il suo guardacaccia, la cuoca e una monaca. L’inchiesta svela eccessi amorosi, falsità e tradimenti, vizi e corruzioni in una Roma non molta diversa da quella d’oggi.