Niente pettegolezzi

Da Spalletti agli altri, l'Italia è un «Paese Acerbi»

Il difensore dell'Inter è l'emblema di una caducità di giudizio e di una irrequietezza di gusti (purtroppo, non di costumi) – Un paradigma che possiamo applicare alla politica, alle imprese, allo spettacolo, al giornalismo
©ANNA SZILAGYI
Carlo Tecce
07.06.2025 19:45

Siamo un «Paese Acerbi», che fa anche un po’ Checco Zalone, maestro delle concordanze fallite, cantore di quell’italiano medio a volte sotto la media. Siamo un «Paese Acerbi», da Francesco Acerbi, difensore dell’Inter dai mille risvolti e dai mille tatuaggi, emblema di una caducità di giudizio e di una irrequietezza di gusti (purtroppo, non di costumi). Acerbi un giorno è un eroe del calcio, impregnato di una sostanza mistica, sopravvissuto a un brutto male, un Ulisse che con il supporto divino si fionda in area del Barcellona e tira come mai ha tirato nella partita, nella stagione, nella carriera; un altro giorno è un maleducato, un giocatore falloso, da pensione, un uomo scontroso, da biasimare.

Il paradigma «Paese Acerbi» lo possiamo applicare alla politica, alle imprese, allo spettacolo, al giornalismo. Amadeus? Re Mida degli ascolti, e poi reietto. Matteo Renzi? Innovatore del centrosinistra, e poi brodino estivo. Elon Musk? Genio assoluto, e poi pazzo scatenato. Luciano Spalletti? Mozart del calcio corale, e poi inadeguato alla Nazionale. Al contrario, Emmanuel Macron? Arrogante e dispettoso cugino francese, e poi alleato necessario. In fondo crediamo a tutto perché non sappiamo più in cosa credere e ci facciamo ingannare dalle credenze che, per come sono fatte, per la loro stessa consistenza, durano il tempo di essere fugate e smentite.

Si dice spesso che non ci sia una «visione comune», ma ciò può esserci soltanto se esiste una «visione condivisa». La spieghiamo meglio: se un gruppo di amici vuole andare dal punto A al punto B, per arrivarci, deve essere certo che quella volontà, quella visione, sia condivisa. Altrimenti uno si ferma a metà, l’altro corre in avanti e l’altro ancora non parte proprio. Tentiamo un esempio per due cariche elettive: il governo e il Coni. Al di là di qualsiasi tipo di valutazione, il governo di Giorgia Meloni ha una ricetta politica con ingredienti chiari: il centrodestra unito con a capo il partito di Meloni. Invece il centrosinistra, che dovrebbe proporre un’alternativa per ambire a sostituire il centrodestra, non ha una forma ben definita, non ha gli ingredienti chiari, figurarsi la ricetta. E possiamo supporre, come dimostra questo periodo inquieto che va dalla fine della Prima Repubblica, che il consenso del centrodestra calerà di fretta non appena, e se, ovvio, il centrosinistra riuscirà a prendere una forma ben definita.

Per una dozzina di anni Giovanni Malagò, un uomo con una larga considerazione di sé, si è impossessato dello sport o, meglio, lo ha impersonificato. Le leggi in vigore hanno interrotto il regno di Malagò. Non può candidarsi. Al momento del dunque, però, si è visto il vuoto dietro Malagò e pare che il più accreditato a riempirlo sia Franco Carraro, classe ’39, a dicembre ne fa 86. Carraro conosce alla perfezione il «Paese Acerbi» e il consueto veloce passaggio dall’altare alla polvere e ritorno. Vedrete gli osanna per qualsiasi nuovo presidente del Coni e poi, secondo logiche spesso illogiche, la trasformazione del miele in fiele. Non abbiamo né mezze misure né ipotesi di maturazione, rassegniamoci: siamo un «Paese Acerbi». A voi piace?

In questo articolo: