Spettacoli

Il Guglielmo Tell «senza Svizzera» criticato alla Scala

L'opera di Rossini contestata con sonori «buu!»: non è piaciuta la scelta della regista Chiara Muti di spostare la scena dalle verdi Alpi svizzere ad un luogo distopico popolato da casermoni
Ats
21.03.2024 12:00

Quello andato in scena ieri sera alla Scala di Milano è stato un 'Guillaume Tell' molto contestato per la regia di Chiara Muti, che al suo apparire sul palcoscenico è stata accolta da sonori 'buu!' compatti e prolungati.

Il pubblico non ha gradito la lettura dell'opera di Rossini data da dalla regista - figlia del direttore d'orchestra Riccardo Muti e al suo debutto scaligero - che ha trasportato la scena dalle verdi Alpi svizzere in un luogo distopico popolato da casermoni grigio scuro, squadrati, in cemento a vista, resi ancora più cupi da grandi inferriate, abitato da contadini e pastori con costumi più simili a quelli dei cinesi al tempo della 'Grande marcia'.

Perfino le bandiere del popolo in rivolta contro il malefico balivo Gessler garrivano grigie. Chiara Muti ha così voluto rappresentare un popolo asservito allo straniero. Aveva detto la settimana scorsa, nella conferenza stampa di presentazione del lavoro, di essersi ispirata al film 'Metropolis' di Fritz Lang (1927), che rappresenta in modo espressionista una società asservita alla tecnologia.

Il problema è che questa atmosfera cupa e angosciante pervade tutto lo spettacolo, anche durante la festa tutta campagnola per i matrimoni di tre giovani donne (subito dopo stuprate dalla soldataglia di Gessler), o quando, già nel secondo atto, il popolo è in fermento e si pongono le basi per una resistenza armata (fra l'altro compaiono i mitra accanto alle balestre) e la rivolta contro l'oppressore.

La tempesta sul lago, che decide le sorti della rivoluzione, con Guglielmo Tell che si libera e torna tra i suoi, è resa con un gioco di ombre attraverso un grande telo bianco che scende sul palcoscenico, tra lampi e alte fiammate, preceduto da una brevissima apparizione della morte in persona, con saio, cappuccio e armata della classica falce.

Solo nell'ultima scena, il popolo vittorioso sullo straniero oppressore, fa cadere le casacche grigie e apparire camicie e canotte bianche, ed esulta guardando il pubblico in sala mentre scende un grande telo finalmente colorato, ma non troppo, con un paesaggio che fa pensare alle Alpi svizzere.

Al termine dell'opera il pubblico ha invece premiato con un'ovazione l'orchestra diretta da Michele Mariotti, come pure il coro guidato da Alberto Malazzi. Gli applausi sono ripresi, con grida di 'bravi!' quando sono usciti al proscenio i cantanti e i due maestri tenendosi per mano, senza la presenza della regista. Apprezzamenti particolarmente calorosi per Michele Pertusi (nel ruolo del titolo), Dmitry Korchak (Arnold) e Salome Jicia (Mathilde).