La guerra degli italiani

Fu il triennio in cui si sgretolò il regime fascista. Il bluff di una dittatura feroce ed incapace venne tragicamente alla luce proprio alla prova di quella guerra che Mussolini aveva invocato, perseguito, provocato ed infine ottenuto nel modo più doloroso e con le peggiori conseguenze che la Storia potesse riservare all’Italia. Eppure il disastro che si consumò tra il 1940 e il 1943 con l’appendice di altri due anni di sangue e annientamento materiale e morale della guerra civile posero anche le premesse necessarie per la faticosa rinascita dell’Italia all’insegna della democrazia. Di quel periodo cruciale sappiamo certamente già moltissimo: l’impreparazione militare a dispetto dei ventennali tonitruanti proclami, le decisioni irresponsabili dettate dall’ambizione o dall’incapacità, le ripetute inevitabili sconfitte, la cieca subalternità a Hitler e ai suoi folli disegni segnano il declino di Mussolini e la perdita di ogni credibilità del regime fascista, fino al crollo della dittatura del 25 luglio e allo spappolamento della comunità nazionale seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943. Meno certa è la risposta alla domanda se quella tragica avventura fu la guerra di Mussolini o se fu «anche» la guerra degli italiani con tutto il portato storico che una simile differenza può avere non soltanto a livello scientifico ma anche come consapevole conseguenza sulla coscienza nazionale di un Paese che ancora oggi risente degli errori, dei lutti e delle sofferenze di quel periodo sciagurato. Una interessante e inedita chiave di lettura prova a darcela lo storico Pietro Cavallo con il suo recente Italiani in guerra. Sentimenti e immagini dal 1940 al 1943 che si distingue per originalità e profondità dell’analisi nel panorama delle pubblicazioni che l’ottantesimo anniversario dell’inizio per l’Italia della Seconda guerra mondiale sta, come è logico, arricchendo in questi ultimi mesi.
Atteggiamenti ondivaghi
Originalità soprattutto nel ricorso alle fonti più disparate per ricostruire, dal pomeriggio del raggelante discorso dal balcone di Palazzo Venezia (quello in cui, non dimentichiamolo, Mussolini minaccia vilmente anche la Svizzera) fino all’epilogo da tragedia greca del 25 luglio 1943, come gli italiani la pensavano davvero sulla guerra; come vedevano e percepivano i nemici via via designati dalla propaganda (i «cugini» francesi pugnalati alle spalle e la «perfida Albione» più tenace di ogni incubo) l’assurda campagna di Grecia, la suicida spedizione in Russia o la grottesca dichiarazione di guerra agli Stati Uniti d’America. Come reagì l’opinione pubblica italiana alle palesi avvisaglie della sconfitta che nessuna informazione di regime poté edulcorare o ai devastanti bombardamenti delle città, come ne sentivano parlare le persone dalla propaganda, dal cinema, dal teatro, dalla radio, dalle canzoni o dalle barzellette che circolavano a dispetto dell’occhiuta censura mussoliniana. Cavallo, in oltre quattrocento pagine dense e spesso sorprendenti, non tralascia nulla per decodificare, al di là della vulgata tradizionale, i percorsi mentali attraverso i quali gli italiani percepirono e definirono il conflitto: dalle informative dei servizi segreti, alle relazioni di questori e prefetti, dai rapporti di informatori della polizia, ai bollettini dei carabinieri, alla corrispondenza censurata, ai lavori teatrali, le canzoni, le riviste di varietà, la stampa umoristica, i romanzi rosa, gli opuscoli di propaganda, le sfumature nell’approccio dei quotidiani e le opere cinematografiche. Tutto concorre a delineare il quadro d’insieme di un Paese e di un popolo confusi e molto spesso in balia degli eventi. Nei confronti dell’evento guerra, ci spiega lo storico, gli italiani ebbero sentimenti e atteggiamenti che passarono di frequente dall’entusiasmo allo sconforto, dal sostegno incondizionato allo sfacelo morale e materiale in un’ovvia parabola discendente che condurrà alla sanguinosa e lacerante disgregazione totale della comunità nazionale.