Il profilo

Le due Americhe di OJ Simpson

«Juice» è stato molte persone: campione di football, attore e personaggio televisivo, un sospettato di omicidio
© AP1993
Stefano Olivari
11.04.2024 18:30

Il campione di football americano, l’attore e personaggio televisivo brillante, il primo vero esempio di sportivo afroamericano che piacesse anche ai bianchi, un sospettato di omicidio della moglie, un’icona dello stile di vita californiano. O.J. Simpson era tutte queste persone messe insieme e altre ancora, ma adesso sono tutte morte perché il leggendario «Juice», questo il suo soprannome sportivo, non c’è più: a quasi 77 anni è morto di cancro mentre era in libertà vigilata, con la sua stella che comunque si era già spenta da 30 anni. Certo l’importanza di Simpson nella cultura pop soprattutto americana rimarrà.

Football

Simpson non era il classico afroamericano povero che aveva raggiunto il successo uscendo dal ghetto, la tipica storia che piace a molti bianchi di destra e sinistra, ma un ragazzo della media borghesia di San Francisco, figlio di un funzionario di banca e di una dirigente di ospedale. Di stereotipato c’era però il fatto di essere stato cresciuto soltanto dalla madre, che aveva messo alla porta il marito Jimmy che come hobby aveva quello di fare la drag queen, cosa che negli anni Cinquanta non era particolarmente apprezzata. Jimmy Simpson sarebbe morto di AIDS nel 1986, prima di vedere il declino del figlio. O.J. (Orenthal James) non veniva quindi dal ghetto, ma ne era affascinato e soltanto il suo straordinario talento multisportivo gli fece abbandonare una gang a cui si era affiliato. Da lì un percorso straordinario nel football: Heisman Trophy, cioè miglior giocatore di college (negli USA vale quasi la divinità), con la University of Southern California, USC, poi nel 1969 prima scelta assoluta della NFL con i Buffalo Bills: da runningback, ruolo ad altissimo rischio di infortuni per i tanti colpi presi, stabilì tanti record e fu anche un anno MVP della lega. Una eccellente carriera (di recente il sito ufficiale della NFL lo ha collocato alla quarantesima posizione fra i migliori di tutti i tempi), ma forse un po’ inferiore alle aspettative, senza trofei alzati a con un ritiro a 32 anni che visto il ruolo ci poteva stare.

Una pallottola spuntata

Simpson si era sempre sentito parte dello star system californiano e aveva vissuto Buffalo come una sorta di esilio, così aveva voluto chiudere la carriera nei San Francisco 49ers e si era messo in testa di entrare da protagonista nel mondo del cinema e della televisione, forte di un sorriso travolgente e di una parlantina superiore alla media degli atleti professionisti. Non si può dire che ci sia riuscito, ma certo la sua popolarità ha fatto sì che la gente lo considerasse un attore di prima grandezza e non un comprimario quale era. Famoso per essere famoso, Simpson ebbe piccole parti in grandi film come L’inferno di cristallo e Cassandra Crossing, e toccò il suo massimo nel cinema con i tre episodi di Una pallottola spuntata: Una pallottola spuntata del 1988, Una pallottola spuntata 2 e mezzo, Una pallottola spuntata 33 e un terzo. Simpson interpretava la parte dell’agente Nordberg, sottoposto del protagonista Drebin (cioè Leslie Nielsen), al centro di un caso fra traffico di droga e terrorismo, con un tentativo di uccidere la Regina Elisabetta, spettatrice di una partita di baseball. Uno dei film comici di maggior successo di tutti i tempi, con una strepitosa Piriscilla Presley, ed un Simpson che aveva quasi raggiunto lo status di stella anche nel cinema. Più o meno lo stesso cast anche nei due sequel, prima della fine.

La moglie

La fine prima di tutto per Nicole Brown, la sua seconda moglie, madre di due dei suoi cinque figli, con un divorzio arrivato nel 1992 a causa di violenze (di O.J.) e tradimenti. Il 13 giugno 1994 Nicole e un suo amico, Ronald Lyle Goldman, furono trovati uccisi, lei con 12 coltellate e lui con 20. Simpson fu fin da subito il principale sospettato e potendoselo permettere nominò come difensori l’avvocato delle star Robert Shapiro e il suo amico personale Robert Kardashian, proprio il padre delle sorelle Kardashian, Kim e tutte le altre. Da sospettato a quasi colpevole, per gli inquirenti e per l’opinione pubblica, il passo fu breve e così dopo una notte passata a casa Kardashian O.J. decise di non presentarsi spontaneamente alla polizia e fuggì insieme all’amico Al Cowlings, anche lui ex giocatore, su una Ford Bronco. In breve l’auto fu individuata dalla polizia ed iniziò un inseguimento rimasto memorabile, seguito in diretta televisiva da quasi 100 milioni di americani e visto anche in Europa. Con l’auto che andava lentissima, circondata da elicotteri, mezzi della polizia e tiratori scelti, con O.J. che minacciava di suicidarsi. Un film, forse il suo più riuscito e di sicuro l’unico che lo avrebbe visto protagonista assoluto. Era però California, non Hollywood.

Soldi

Impossibile ricostruire un processo che appassionò e divise l’America, come si vide fin da subito con gli avvocati di Simpson che si giocarono la carta del razzismo della società statunitense anche se in realtà l’intera esistenza di O.J. dimostrava l’esatto contrario. Ognuno, dall’accusa rappresentata da Marcia Clark al dream team di avvocati messo insieme da Simpson (a Shapiro e Kardashian si erano aggiunti anche Allen Dershowitz e Johnnie Cochran), fece la sua parte, così come i mitomani che spuntavano ogni tanto alla ricerca del loro quarto d’ora di celebrità che con internet ancora agli albori era celebrità vera, difficile da dimenticare ed infatti non dimenticata. La strategia di puntare sul razzismo della società (le due vittime erano bianche) e di alcuni degli inquirenti fu alla fine vincente, perché nel 1995 Simpson fu giudicato innocente più per il modo in cui le prove erano state acquisite che per assenza di prove. Salvatosi dalla pena capitale o quanto meno dall’ergastolo, a Simpson andò però male nel processo civile, che due anni dopo lo avrebbe obbligato a pagare 67 milioni di dollari in totale alle famiglie Brown e Goldman. Da non dimenticare che la giuria del processo penale era a maggioranza afroamericana, mentre quella del processo civile era a maggioranza bianca: per questo il caso di O.J. Simpson fece epoca, essendo rivelatore di problemi enormi ed irrisolti, forse irrisolvibili. Una vicenda piena di paradossi, con parte del risarcimento pagata da un libro in cui O.J. Simpson quasi si autoaccusava. Colpevole o non colpevole, la sua vita da stella amata da tutti finì lì ed iniziò quella di ex campione straindebitato, coinvolto in storie tristi come quella della rapina per riprendersi memorabilia che lo riguardavano, con tanto di condanna a 33 anni di carcere. O.J. Simpson è stato una grande storia americana, raccontata in innumerevoli documentari e libri. Non una bella storia.