Cinema

Un eroe in cerca di una patria

Il regista premio Oscar Alejandro G. Iñarritu firma «Bardo», un visionario film-fiume nel quale disegna il ritratto di un personaggio autobiografico che torna nel natìo Messico in uno stato intermedio tra morte e rinascita, tra riflessioni sul passato e ipotesi sul futuro
Daniel Gimenez Cacho è Silverio Gama, estremamente rassomigliante - fisicamente ma anche spiritualmente - al regista Alejandro G. Iñarritu. © Netflix
Antonio Mariotti
26.11.2022 06:00

Negli antichi testi sacri tibetani il termine «bardo» sta a indicare lo stato intermedio tra la morte di un essere vivente e la sua prossima reincarnazione. Un intervallo temporale indefinito, particolarmente propizio alla meditazione ma anche al cambiamento e alla creatività che può essere applicato alla vita in generale, intesa come intervallo tra nascita e morte. Non è quindi un caso che il nuovo film del cineasta messicano Alejandro G. Iñarritu, intitolato proprio Bardo (sottotitolo ancora più inestricabile: La cronaca falsa di alcune verità) si apra con un parto di cui è protagonista un nascituro che non vuole venire al mondo e si concluda con una morte che assomiglia in tutto e per tutto a una rinascita. Nel mezzo ci sono 2 ore e 39 minuti costellati di immagini affascinanti e impetuose, di momenti di estrema gioia e di infinito sconforto, di sequenze intrise di magica intimità oppure di bieca ipocrisia. Il concetto di «bardo» sembra del resto essere stato creato su misura per il regista vincitore di ben quattro Oscar, l’ultimo dei quali ricevuto nel 2018 per la sua impressionante opera di realtà virtuale Carne y Arena. Come infatti non considerare personaggi nel pieno di questo stato transitorio tra morte e rinascita i protagonisti del suo 21 grammi (2003) o il trapper Hugh Glass (Leonardo DiCaprio) di The Revenant (2017), ferito gravemente da un orso, abbandonato dai suoi compagni e incredibilmente capace di tornare in vita per consumare la propria vendetta? Senza dimenticare l’Uxbal di Xavier Bardem in Biutiful (2010) che sembra vivere un’infinita agonia, o la frenetica corsa contro il tempo che in Birdman (2014) porterà Riggan Thomas (Michael Keaton) a realizzare il suo inafferrabile sogno.

Un baule di chimere

Insomma, con Bardo Iñarritu gioca in casa, senza complicarsi troppo la vita dal punto di vista narrativo (è anche coautore della sceneggiatura insieme al suo fedele collaboratore Nicolas Giacobone) puntando tutto sui propri ricordi personali che, proprio perché tali, non vanno confusi con la verità. «La memoria - scrive nelle sue note di regia - non è veritiera, possiede soltanto convinzioni derivate dalle emozioni. È quindi la verità dell’emozione che io voglio ricercare, nell’enorme baule pieno di chimere che mi porto dietro». Un baule dal quale Iñarritu estrae una dopo l’altra le tessere che vanno a comporre il ritratto avvincente ma incompleto di un personaggio che, non solo fisicamente ma anche spiritualmente, è l’esatto alter ego dell’autore. Il Silverio Gama magistralmente interpretato da Daniel Gimenez Cacho è infatti un messicano che ha ottenuto un enorme successo negli Stati Uniti, dove vive da vent’anni con la famiglia e dove i suoi figli sono cresciuti, che torna in patria per un breve periodo alla vigilia della consegna di un importante premio a Los Angeles. Un modo per ripercorrere le tracce del proprio passato in un contesto molto più onirico che reale. E poco importa se Silverio è giornalista e documentarista mentre Alejandro è cineasta. L’uno è lo specchio dell’altro ed entrambi sono continuamente confrontati con il peso del successo, con il rimorso per essersi lasciati alle spalle genitori, parenti e amici che non hanno beneficiato dei loro trionfi e, anzi, spesso hanno sviluppato un sentimento di invidia che talvolta sconfina nel disprezzo.

Dignitoso silenzio

Tra confronti serrati o nostalgici con figli (tra cui il neonato Mateo, vissuto solo poche ore), moglie, genitori ed ex colleghi giornalisti, Silverio non si fa mancare incursioni nel passato (la guerra tra USA e Messico del 1846-1848) e accenni ai cruciali problemi di oggi (l’immigrazione). Al di sopra di tutto c’è però il suo dignitoso silenzio, il rifiuto di parlare in pubblico degli affari suoi. Indimenticabile infine la scena in cui Silverio torna negli Stati Uniti con la famiglia e il doganiere (di chiara origine messicana) che gli controlla i documenti all’aeroporto gli ricorda impietosamente che quello non è il suo Paese perché lui non è americano. Bardo si prefigura quindi come un film-fiume personale e sincero, l’amara confessione di un apolide virtuale alla disperata ricerca di un posto nel mondo. Un posto che di certo troverà e dove ambienterà il suo prossimo film. Nell’attesa, godiamoci questo, possibilmente su grande schermo visto che è stato girato in pellicola 65 mm.

Prima al cinema, poi in streaming

Finiti tempi in cui le produzioni Netflix erano visibili soltanto in streaming. Con la fine della pandemia, la piattaforma statunitense ha preso l’abitudine di far uscire in un circuito piuttosto ristretto di sale i propri lungometraggi qualche settimana prima di metterli online. Di recente è stato il caso di Niente di nuovo sul fronte occidentale di Edward Berger e ora sia di Bardo (uscita online il 16 dicembre) sia del Pinocchio di Guillermo del Toro che uscirà il 9 dicembre.