L'intervista

«Un festival solido e ricco di entusiasmo che torna ad incontrare il suo pubblico»

Da mercoledì prossimo, e fino al 25 gennaio, avrà luogo il festival delle Giornata di Soletta — Abbiamo parlato con Niccolò Castelli, 40.enne regista luganese che dirigerà l'evento
Regista e sceneggiatore, Niccolò Castelli ha all’attivo due lungometraggi di fiction: «Tutti giù» (2012 e «Atlas (2021).
Antonio Mariotti
14.01.2023 09:45

Nel 2021 il suo film Atlas aveva inaugurato l’edizione online delle Giornate di Soletta. Due anni dopo, a partire da mercoledì prossimo e fino al 25 gennaio, Niccolò Castelli guiderà per la prima volta il festival dedicato alla produzione svizzera. Un cambio di prospettiva non da poco che è al centro della conversazione con il 40.enne regista luganese.

Arrivi alla direzione di una manifestazione le cui ultime due edizioni sono state condizionate dalla pandemia ma che ha vissuto anche il licenziamento della precedente direttrice e un’edizione, quella scorsa, gestita da una direzione collettiva. Come sei stato accolto a Soletta e quali sono le tue sensazioni a pochi giorni dall’inaugurazione? 
«Qui a Soletta ho percepito una grandissima voglia di guardare avanti. Le persone che lavorano per il festival amano il cinema, tutte indistintamente, anche chi si occupa della logistica, dell’amministrazione o di altri aspetti organizzativi. C’è molta passione, come avevo già percepito venendo qui come regista, e quindi il festival è solido e ha voglia di lasciarsi alle spalle il Covid e le altre problematiche che hanno caratterizzato gli ultimi anni. C’è soprattutto voglia di tornare a incontrare il pubblico perché alla fine a Soletta è questo che conta, più che il tappeto rosso o i selfie con le star. Qui si viene anche e soprattutto per parlare di cinema, bersi una birra in compagnia di cineaste e cineasti. È questo che è mancato nel 2021 e nel 2022 e c’è una gran voglia di ritrovare questa dimensione d’incontro per noi impegnativa ma che ti ricarica le batterie emozionali. Spesso sono io il primo a sorprendermi perché girando per il centro vedo un grande fermento, un sacco di gente che si attiva in vista del festival. Quello che mi ha convinto ad accettare questa sfida è proprio questa idea di cinema come luogo di scambio, di condivisione di pensieri ed emozioni guardando tutti insieme un film in sala».

Oggi è soprattutto questa la peculiarità di un festival? 
«Penso di sì. Anch’io se mi chiedo perché vado a un festival oggi, trovo motivazioni diverse rispetto al passato. Una volta ci andavo perché era l’occasione per vedere dei film che sennò avrei perso definitivamente. Oggi invece se perdo un film al cinema, so che lo ritroverò due settimane dopo online anche gratis. Però vedere un film in sala significa vivere un’esperienza collettiva unica».

Sei il primo italofono a dirigere le Giornate di Soletta: questo aspetto ha influenzato in qualche modo la selezione delle produzioni ticinesi dell’edizione 2023? 
«A Soletta da sempre esiste una commissione di selezione, quindi non ero mai da solo a prendere queste decisioni. Da una parte essere presenti a Soletta con un film è sempre un grande onore e per noi ticinesi c’è anche la voglia di rappresentare una minoranza culturale in un contesto nazionale. D’altra parte c’è però anche la responsabilità di essere qui con una sensibilità “di frontiera”, periferica se così si può dire. Ho quindi adottato una forma mentale che mi ha spinto a cercare di capire cosa mi appassiona dei film svizzero tedeschi e di quelli romandi, anche se ho dei gusti profondamente italiani in questo campo. Credo di avere uno sguardo diverso su questi film, così come vedo in maniera diversa i film ticinesi. Dormo molto bene la notte perché, con la commissione di selezione, so che come abbiamo scelto dei film ticinesi ne abbiamo scartati altri, cercando di offrire un ventaglio molto ampio della produzione svizzera. Prova ne sia che rispetto agli anni scorsi ci sono un paio di film italofoni in meno. Quel che mi fa molto piacere è che a Soletta si vedranno molti cortometraggi di giovani autrici e autori ticinesi che lasciano ben sperare per il cinema della Svizzera italiana. Partendo dalla mia esperienza personale, credo che toccherà a loro in futuro uscire dal proprio angolo per cercare di posizionarsi e avere uno scambio il più utile possibile con le altre regioni svizzere. Quel che posso fare come direttore italofono è cercare di accrescere la sensibilità per questa lingua e per questa cultura ma poi il posto se lo devono guadagnare le cineaste e i cineasti ticinesi, anche se molti di loro studiano o hanno studiato fuori cantone e quindi hanno già buoni contatti. E ciò mi fa pensare che il cinema in Ticino stia vivendo un buon momento».

Rimanendo nell’ambito della selezione, le Giornate di Soletta sono nate come vetrina della produzione nazionale, oggi però in questa vetrina non ci stanno più tutti i film. Quest’anno ne avete scelti poco più di 200 su oltre 600 iscrizioni: è un problema? 
«Devo premettere che nell’ambito dei lungometraggi abbiamo selezionato circa la metà dei film iscritti. È chiaro però che quella “linea rossa” si alza sempre più e anche la “zona grigia” continua ad assottigliarsi. Vedo le Giornate di Soletta come una vetrina sempre più curata, anche perché fino a vent’anni fa se qualcuno girava un film con pochi mezzi poi sullo schermo si notava a livello di suono o d’immagine, mentre oggi non è più così. Oggi ci sono film low budget che possono ambire al Prix du Public di Soletta, come A Forgotten Man di Laurent Nègre che è ambientato subito dopo la Seconda guerra mondiale ma che in modo molto intelligente è stato girato in bianco e nero in pochissime location e alla fine sembra un film molto più ricco di quel che è. Oggi la vetrina di Soletta non serve più tanto alle grosse produzioni ma a dare un’idea di cosa voglia raccontare il cinema svizzero. Un cinema che appartiene sempre di più al mondo, nel senso che molti registi e registe della nuova generazione hanno radici che non necessariamente sono solo svizzere. C’è chi è nato nel nostro Paese ma ha radici in Russia, nei Balcani, in Portogallo o in Italia. Questo porta il nostro cinema ad essere molto aperto verso il mondo, anche se è lecito chiedersi se il film di un regista svizzero-kosovaro girato in Kosovo sia da considerare un film svizzero. Per me sì, perché l’identità svizzera oggi è anche molto più sfaccettata rispetto al passato. Quindi la vetrina solettese presenta sempre più sfumature, a mio modo di vedere molto interessanti. E in più cerchiamo di far dialogare tra loro i film e gli autori di varie generazioni nel segno di uno scambio davvero a tutto campo».