Calcio

Aris, l’ACB e nonno Jørn: «Ho scelto con il cuore»

Reduce dal pareggio contro il Thun, domenica il Bellinzona sarà di scena a Baden - Tra le fila dei granata vi sarà anche il neoacquisto Sörensen, da poco tornato nel suo club d'origine: «Dopo l'infortunio, ora mi sento di nuovo libero»
Il 22.enne sopracenerino in azione con la maglia dei granata, in occasione dell’ultima sfida di campionato contro i bernesi. © Ti-Press/Samuel Golay
Nicola Martinetti
02.02.2024 06:00

Per qualcuno entrare all’85’, a partita ormai quasi conclusa, rappresenta una delusione. Uno smacco, persino. Aris Sörensen, sabato scorso, non si è sentito così. Anzi. Quando il 22.enne ticinese ha fatto il suo ingresso in campo per gli ultimi scampoli di Bellinzona-Thun, il centralone granata ha vissuto un momento emotivamente intenso. «In quei cinque minuti mi sono sentito di nuovo libero - ci racconta il classe 2001 -. Finalmente sono tornato a giocare dopo mesi di sacrifici e sofferenze, a oltre trecento giorni dal brutto infortunio al ginocchio patito con la maglia dell’Yverdon. La riabilitazione è stata lunga e molto dura, per questo non prendo nulla per scontato, nemmeno quegli scampoli di partita contro i bernesi. Ritrovare il terreno da gioco, per giunta con indosso la maglia del mio ACB, ha significato tanto per me. Ho provato una gioia enorme».

Coraggio e forza d’animo

Il ginocchio del ticinese, suggerivamo, aveva fatto crack sul finire della scorsa stagione. Quando, cioè, con la maglia dei vodesi l’ex Team Ticino stava inseguendo una clamorosa promozione in Super League, poi concretizzatasi. Risulta allora difficile non chiedersi che piega avrebbe assunto la carriera del centrale sopracenerino, senza quel tremendo passo indietro. «È stato davvero un brutto colpo, perché stavo finalmente trovando spazio e continuità. In sintesi, la mia dimensione. A mesi di distanza, quell’episodio mi lascia ancora molti dubbi. Ma penso che sia normale chiedersi se e come si sarebbe potuto evitare che accadesse. La risposta che mi sono dato, è che nello sport queste cose capitano. Fa parte del nostro mondo. Non ha allora senso rimuginarci sopra più di quel tanto, è meglio investire le energie rimboccandosi le maniche con resilienza, lottando per rientrare». Coraggio e forza d’animo, del resto, ad Aris non sono mai mancati. Ad appena sedici anni, per dire, il talentino sopracenerino aveva accettato un’offerta giunta dalla Sampdoria, aggregandosi al settore giovanile dei blucerchiati. «Poi però pure in quella circostanza il mio ginocchio mi aveva tradito - afferma con un sorriso amaro il ragazzone ticinese -. Episodio sfortunato a parte, comunque, quella è una scelta che rifarei tutta la vita. Oltre a essere migliorato come giocatore infatti, a Genova sono cresciuto come uomo. Andare via di casa a quell’età, lasciandosi alle spalle famiglia e amici, non è semplice. Specie se poi ti ritrovi a giocare in un club che all’epoca andava ancora piuttosto forte in Serie A. Ricordo che ancora prima della firma ero rimasto un po’ scioccato dalla visita al loro centro d’allenamento. Mi ero reso conto di quanto le cose potessero differire rispetto al nostro piccolo cantone».

Un giocatore vero

A quasi sette anni di distanza dalla partenza verso la Liguria, e con alle spalle altre due esperienze a Chiasso e Yverdon, Sörensen è ora tornato a casa, nel «suo» Bellinzona. Il club che lo ha formato. Il club di famiglia. «Sono cresciuto qui, e ho scelto di tornarci con il cuore. Da piccolo, prima degli allenamenti, mi cambiavo a due passi dallo spogliatoio della prima squadra. Ripensandoci oggi, avverto un turbinio di emozioni. Poi certo, c’è tutto il côté legato a mio nonno Jørn, che a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70 questa squadra l’ha prima rappresentata in campo, e poi in panchina. Riportare il cognome Sörensen in seno al club mi riempie d’orgoglio. E qualche tifoso di lunga data mi ha già fermato per parlare di lui». D’altronde nonno Jørn, con i granata, aveva centrato una promozione in LNA nel ‘67 e perso una finale di Coppa Svizzera nel ‘69. Mentre con la nazionale danese aveva colto uno storico argento alle Olimpiadi di Roma del 1960. «Era un giocatore vero, con una carriera di tutto rispetto - sorride Aris -. Metterei la firma adesso per replicarla. Anche se lui giostrava come trequartista o mezz’ala, mentre io con gli anni sono passato dal centrocampo alla difesa. Sono scelte (ride, ndr)». Già, come quella che per l’appunto ha riportato Aris al Comunale. E che ora lo vede inserito in un gruppo ambizioso e in salute. «Contro il Thun abbiamo offerto una buona prestazione. A Baden proveremo a fare ancora meglio, ma non sarà facile. Quella argoviese è una squadra tosta».