Calcio

Derdiyok: «Ho già toccato il cielo con un dito, proprio al cospetto del Bellinzona»

Giustiziere dei granata nella finalissima del 2008, domani al Comunale l'attaccante elvetico tornerà a incrociare il cammino del Bellinzona in Coppa Svizzera – Il 35.enne: «Spero di festeggiare lì il mio primo gol con la maglia dello Sciaffusa»
L’impressionante stacco aereo con cui Derdiyok sovrastò La Rocca, sbloccando la finale di Coppa Svizzera del 2008. © Ti-Press/Archivio
Nicola Martinetti
16.09.2023 06:00

Eren Derdiyok, se le dico che sono passati quattordici anni dalla sua ultima trasferta in Ticino, cosa mi risponde?
«Che il tempo corre in fretta (ride, ndr). D’altronde ho trascorso oltre un decennio al di fuori dei confini nazionali, dunque il dato mi impressiona, ma non mi sorprende. Comunque il vostro cantone mi piace molto, sono felice di farvi ritorno».

A Bellinzona, nonostante sia trascorso così tanto tempo, posso garantirle che nessuno l’ha scordata. Né lei, né la rete con cui aprì le marcature nella finale di Coppa Svizzera del 2008, proprio contro i granata. Se la ricorda?
«Certamente! Anzi, le dirò di più, a casa conservo ancora l’edizione del “Blick” di quel giorno. La foto principale raffigura proprio quel gol, con il mio stacco a sovrastare Iacopo La Rocca. Credo che le mie ginocchia fossero all’altezza della sua testa (altra risata, ndr). Chissà se oggi riuscirei ancora a saltare così in alto...».

Si può dire che quel giorno toccò letteralmente il cielo con un dito? Quasi come Cristiano Ronaldo, qualche anno fa contro la Sampdoria...
«In un certo senso sì. Di sicuro è stato il salto più alto della mia vita (sorride, ndr). Ricordo ancora la sensazione che provai dopo quella rete, peraltro segnata sotto la muraglia rosa dei tifosi granata. Fu una cosa pazzesca. Peccato che all’epoca non si usasse misurare lo stacco dei giocatori, sarei davvero curioso di conoscerne il valore. Pazienza, mi tengo comunque stretto un altro valore: quello che quel gol ebbe nell’economia della finale. Fino a quel momento, infatti, il Bellinzona ci aveva messo sotto, spaventandoci un pochino. La mia rete spezzò la loro resistenza. Dopo l’1-0 l’inerzia del confronto cambiò, e finimmo con l’imporci per 4-1».

In quegli anni la Svizzera conobbe la prima versione di Derdiyok: un giovane in rampa di lancio a Basilea, poi partito presto verso altri lidi. Che giocatore è tornato oggi a Sciaffusa, a quattordici anni di distanza?
«Direi un giocatore completamente diverso. Molto più maturo e molto più esperto. Nel corso degli anni ho avuto la fortuna di mettermi alla prova su palcoscenici importanti, al fianco di grandi giocatori che mi hanno fatto crescere. Ma non solo. Ho anche conosciuto contesti diversi, interpretando ruoli differenti. Insomma, ho accumulato un ragguardevole bagaglio, che sicuramente mi sarà d’aiuto anche in questa nuova avventura a Sciaffusa».

Come mai, tra le varie opzioni, ha scelto di accettare l’offerta giunta dal club giallonero?
«Sin da subito c’è stata un’ottima intesa con il tecnico André “Bigi” Meier, con il presidente Roland Klein e il resto dell’organizzazione. Dopo tanti anni trascorsi all’estero, ho voluto prendere una decisione basata su altri valori, trascurando ad esempio l’aspetto finanziario o l’opportunità di scoprire nuove realtà. Il progetto sportivo dello Sciaffusa ha giocato un ruolo importante, così come la volontà di tornare in Svizzera e dare la priorità alla famiglia. Ora il mio obiettivo è ripagare questa fiducia sul campo. Finora ho giocato poco, anche perché ho impiegato un po’ di tempo ad adattarmi al campo sintetico. Ora però sento di essere tornato sui miei migliori livelli e non vedo l’ora di dimostrarlo. Magari già domani a Bellinzona, dove spero di festeggiare la mia prima rete in maglia giallonera (sorride, ndr)».

Se ripenso alla mia carriera, sono diversi gli aspetti che mi rendono orgoglioso. Ho avuto la fortuna di sollevare undici trofei, il che significa che spesso ho giocato in squadre ambiziose

Come suggeriva prima, ha fatto ritorno in Svizzera con un grande bagaglio, carico di ricordi. Quali sono quelli indelebili?
«Se ripenso alla mia carriera, sono diversi gli aspetti che mi rendono orgoglioso. Ho avuto la fortuna di sollevare undici trofei, il che significa che spesso ho giocato in squadre ambiziose, che puntavano in alto. In Germania, al Bayer Leverkusen, abbiamo sfiorato il titolo al mio primo anno. In Turchia ne ho vinti due con il Galatasaray. Poi ci sono stati i successi ottenuti in Uzbekistan, un Paese dal livello calcistico forse meno intrigante, ma non per questo meno affascinante. Lì, dopo aver disputato diverse coppe europee, ho ad esempio scoperto la Champions League asiatica. Insomma, posso dire che non mi sono quasi mai pentito delle scelte fatte. Anzi, ognuna di esse mi ha permesso di collezionare tanti bellissimi ricordi, che serberò sempre con affetto. Per non parlare di quelli raccolti in Nazionale...».

Ci ha letto nel pensiero, volevamo infatti chiederle della sua carriera in rossocrociato. E del suo probabile apice, in quello Spagna-Svizzera 0-1 ai Mondiali del 2010...
«Anche in questo caso serbo grandissimi ricordi, spalmati su sessanta presenze. Il più dolce dei quali, sì, è legato al match di Durban. Tutti peraltro, pensando a me e a quel giorno, si ricordano del contributo che diedi all’azione che fruttò la rete di Gelson Fernandes. Ma in realtà a restarmi ancora più impressa fu un’altra azione. Al 74’ scartai Ramos, Puyol e Piqué, poi la mia conclusione superò anche Casillas, ma si stampò sul palo. Il mio agente mi chiamò a fine incontro e mi disse che se quel pallone fosse finito in rete, il suo cellulare sarebbe stato subissato di chiamate (ride, ndr). Peccato, ma quello storico successo fu comunque una splendida consolazione».

A oggi lei non si è ancora ufficialmente ritirato dalla Nazionale. Non ha mai smesso di crederci?
«Esatto. Per come la vedo io, la mia carriera in rossocrociato terminerà quando appenderò gli scarpini al chiodo. Sino ad allora, ambirò sempre a vestire la maglia rossocrociata. Chissà, forse facendo bene a Sciaffusa, magari con una promozione in Super League, un giorno potrei guadagnarmi un’altra occasione».

Dalle sue parole traspare un forte attaccamento alla causa elvetica. Il fatto di non essere più stato preso in considerazione negli ultimi anni l’ha rattristata?
«Certo, ma purtroppo non spetta a me decidere chi viene convocato. Ci sono stati dei momenti, per esempio quando ero in Turchia, dove giocavo e segnavo più di altri colleghi rossocrociati, ma comunque non venivo considerato. Mi ha rattristato, ma purtroppo non potevo farci nulla».

Nella recente finestra internazionale la Svizzera ha incontrato diverse difficoltà e ha vissuto un nuovo «caso Xhaka». Che ne pensa?
«Ho guardato entrambe le partite. In Kosovo la squadra ha incontrato qualche difficoltà, ma poi contro Andorra è riuscita a mostrare una reazione. Per quanto riguarda Granit invece, lo reputo un giocatore intelligente, ma forse questa volta le emozioni lo hanno un pochino tradito, spingendolo ad avere una reazione un po’ sopra le righe, specie per un capitano. Poi sai, il tutto è sempre relativo. Se non avesse detto niente, qualcuno avrebbe potuto rimproverargli di essere troppo lassista e poco critico. In ogni caso dopo quello sfogo si è calmato e non ha prolungato la vicenda, mostrando una bella reazione contro Andorra».

Chiudiamo con la sfida di domani. Sia per voi, sia per i granata, potrebbe essere l’occasione per dare una svolta a una stagione partita male...
«Non ci aspettavamo di incontrare così tante difficoltà in avvio di campionato. L’ultimo posto in classifica non rispecchia il nostro reale valore, e siamo anche stati un pochino sfortunati, ma al netto della cattiva sorte dobbiamo rimboccarci le maniche per invertire la rotta. Un risultato positivo sarebbe di grande aiuto, e vogliamo ottenerlo già al Comunale».

In questo articolo: