L'intervista

«L’Euro plasmerà le menti svizzere? Non lo so, ma sarà indimenticabile»

La senatrice rossocrociata: «Giocare un torneo tra le mura di casa è il non plus ultra. Se avverrà un cambiamento dipenderà anche dalle nostre prestazioni in campo»
Classe 1990, Ana-Maria Crnogorcevic indossa la maglia della Svizzera dal 2009, quando il 12 agosto debuttò nell’amichevole con la Svezia vinta 3-0 dalle elvetiche. ©Keystone/Urs Flueeler
Maddalena Buila
20.06.2025 06:00

Ana-Maria, come sta?
«Molto bene, grazie. Felice ed elettrizzata di essermi unita al gruppo».

Ha raggiunto la Nazionale solo pochi giorni fa, aggregandosi a un team che già da tempo sta lavorando per trovare la giusta alchimia. Si sente pronta a debuttare a Euro2025?
«Direi di sì. Manca davvero poco, ma ho ancora un buon margine di tempo per dare tutto ed esordire al massimo della condizione».

Svizzera che è composta da un amalgama di giovanissime, giovani ,veterane e senatrici. Lei fa parte di quest’ultimo gruppo. Di tornei importanti ne ha giocati parecchi in maglia rossocrociata, difendendone i colori dal 2009. In che misura conta sulla sua esperienza in campo e fuori?
«Molto. Credo però che aver disputato diversi tornei internazionali con la Svizzera non valga poi così tanto. Ogni manifestazione è un’esperienza a sé, con caratteristiche uniche: cambia il contesto, il luogo in cui si gioca, ma anche la composizione della squadra rossocrociata, che è in continuo cambiamento. Naturalmente, dico sempre alle ragazze che, se hanno bisogno di un consiglio, io sono sempre disponibile. Ma alla fine bisogna lanciarsi, vivere il momento e divertirsi. Ci saranno esperienze bellissime e altre più difficili. Ed è giusto così: fa parte della vita».

In che modo questo Europeo sarà per lei speciale?
«In un modo incredibile. Prendere parte a un torneo come un Europeo o un Mondiale è il sogno di tutte noi. Giocarne uno nel proprio Paese è semplicemente il non plus ultra. Scendere in campo negli stadi di casa sarà fantastico e avere i nostri famigliari tutti presenti a sostenerci renderà il tutto indimenticabile ed emozionante».

Alcune settimane fa abbiamo parlato con Tatjana Hänni. Per lei, l’Europeo cambierà la mentalità del popolo svizzero, creando una nuova cultura rossocrociata quando si parla di calcio femminile. Lei cosa ne pensa?
«Io spero tanto che Tatjana abbia ragione (sorride, ndr). Ritengo però che una volta finito l’Euro non si potrà dormire sugli allori. Bisognerà essere bravi a calvalcare l’onda tenendo alto l’interesse nei confronti di questo sport. Solo così si potrà davvero sperare in un cambiamento profondo. Trasformare l’attuale situazione in Svizzera non è infatti qualcosa che può accadere dall’oggi al domani. Parliamo di un massimo campionato che non è professionistico, di ragazze che non trovano un club in cui poter giocare e di infrastrutture che andrebbero migliorate. Molto dipenderà anche da come affronteremo il torneo. Se riuscissimo a creare la sorpresa, aumenterebbero anche le possibilità di continuare ad attirare pubblico negli stadi. Altrimenti c’è il rischio che, una volta archiviata la rassegna, la gente sparisca dagli spalti. La mia speranza più grande, rimane però quella che con il tempo si smetta di guardare al nostro sport come qualcosa di noioso solo perché giocato da donne».

Credo sia inconcepibile che oggigiorno il nostro campionato non sia professionistico. Se una ragazza svizzera sogna di vivere di calcio, oggi è costretta ad andare all’estero

Restiamo ancora un attimo sulle potenzialità intrinseche all’imminente torneo in terra elvetica. Pensa che potrebbe avere un impatto anche sulla fuga di talenti rossocrociati che, non appena ne hanno la possibilità, scappano dalla Women Super League per abbracciare altre squadre in Europa o nel resto del mondo?
«Lo spero davvero tanto. Credo sia inconcepibile che oggigiorno il nostro campionato non sia professionistico. Se una ragazza svizzera sogna di vivere di calcio, oggi è costretta ad andare all’estero. Ma le giovani promesse dovrebbero poter costruire il proprio successo anche restando qui».

Com’è la relazione del gruppo con l’allenatrice Pia Sundhage? Abbiamo sentito che spesso e volentieri vi rallegra con dei canti...
«Sì, è così (sorride, ndr). Pia canta per noi. È un aspetto molto carino e particolare. In realtà, non è stata una sorpresa: sapevamo già che aveva sfruttato questa caratteristica anche quando allenava il Brasile e la Svezia. Per quanto riguarda la preparazione, invece, posso dire poco, essendomi appena aggregata al gruppo. So però che negli scorsi giorni Pia ha lavorato molto sull’aspetto fisico, e sempre su questo ci concentreremo anche nelle prossime sedute di allenamento».

La Svizzera, lo abbiamo detto, ha tanti diversi profili in rosa. Come si trova a dover collaborare con donne della sua età e al contempo con giovani che hanno quasi la metà dei suoi anni?
«Direi molto bene. Mi piace avere intorno ragazze che portano una ventata di aria fresca e che spesso non hanno troppi grilli per la testa. Mi spiego. Quando inizi ad entrare nell’esclusivo club delle veterane, le resposabilità aumentano. Devi avere tutto sotto controllo e spesso ti chiedono di partecipare a meeting importanti. Tutti aspetti interessanti, per carità, ma che tolgono un po’ di magia. Le giovanissime non hanno tutti questi pensieri e di conseguenza vivono con maggior leggerezza. Averle intorno aiuta noi senatrici a ricordarci di mettere il cervello anche in modalità più soft, di tanto in tanto (sorride, ndr)».

Avendo un pezzo di cuore blaugrana, che effetto le ha fatto vedere il Barcellona perdere contro l’Arsenal nella finale di Champios Leauge?
«Mi ha fatto sicuramente male. È vero, nonostante non vesta più la maglia catalana, in terra spagnola ho vissuto moltissimi momenti incredibili che porterò per sempre con me. Detto questo, il Barcellona non ha giocato come sa fare e per questo ha perso. L’Arsenal comunque ha meritato la vittoria, è un’ottima squadra. Sono inoltre molto contenta per la mia amica Lia (Wälti, ndr), che ha potuto alzare al cielo lo splendido trofeo che spetta alle regine della competizione più prestigiosa al mondo».

Lei, invece, di Champions League ne ha vinte tre. Una con il Francoforte e due con il Barcellona dei record. Arriva insomma all’Europeo casalingo con un bagaglio niente male...
«Sicuramente. Le finali sono tutte partite secche. Aver avuto l’opportunità di giocarne diverse ad altissimi livelli mi ha sicuramente insegnato che cosa vuol dire tenere i nervi saldi e dare tutto per 90 minuti. Un Europeo, tuttavia, è differente. Non basta fare bene per un solo match. Bisogna essere costanti nel tempo e gestire bene le energie. Ecco perché i successi che tengo nel mio palmarès - di cui ovviamente vado fiera - potranno aiutarmi solo fino a un certo punto in vista della rassegna casalinga».

Detto questo, il mondo del calcio, soprattutto femminile, ha un grande bisogno di giocatrici che non abbiano paura di dire le cose come stanno

Dopo tanti anni in campo si è dovuta abituare anche alle grandi frustrazioni. Possiamo ipotizzare che la peggiore sia stata quella del 22 aprile del 2022 quando - nell’andata della semifinale di Champions League tra Barcellona e il Wolfsburg che ha stabilito il nuovo record di pubblico per una partita di calcio femminile con 91.648 tifosi sugli spalti del Camp Nou - il suo gol è stato annullato per fuorigioco?
«Ah, che ricordo! (Ride, ndr). Sì, è stata una frustrazione enorme. Però cerco sempre di guardare il bicchiere mezzo pieno. Alla fine abbiamo vinto la partita e raggiunto la finale. È andata bene anche così».

Ana-Maria non ha paura di esprimere la sua opinione. Lo ha fatto per esempio in occasione del caso Rubiales, prendendo le difese di Jenni Hermoso. Non avere peli sulla lingua aiuta a costruirsi una carriera calcistica?
«Assolutamente sì. Ma se si sceglie di farlo, bisogna essere consapevoli che ci si espone a un alto numero di potenziali critiche. Detto questo, il mondo del calcio, soprattutto femminile, ha un grande bisogno di giocatrici che non abbiano paura di dire le cose come stanno. È normale che, da giovani, sia più difficile esporsi. Proprio per questo continuerò a dire la mia, perché spero che le nuove generazioni trovino il coraggio di fare lo stesso».