Marocco, il Paese che sognava i Mondiali

Un’ossessione. Per il Marocco, la Coppa della Mondo è un’ossessione. Eppure, il successo sportivo che in queste ore sta inebriando i Leoni dell’Atlante c’entra solo in parte. Sì, perché il Paese nord-africano la competizione ha sempre voluto ospitarla. Non vincerla. O quantomeno, non per forza. La lunga rincorsa al torneo risale addirittura alla fine degli anni Ottanta: nel mirino l’edizione del 1994. All’epoca Rabat contese l’organizzazione della manifestazione a Stati Uniti e Brasile. Perse con tre voti di scarto dalla candidatura a stelle e strisce. E fu il primo di addirittura cinque tentativi di convincere la FIFA.
Quanti smacchi
Va da sé, nessuno è sin qui andato a buon fine. Dopo il 1994, sono arrivati gli smacchi del 1998 (alle spalle della Francia) e del 2006 (ritiro dopo il primo scrutinio di voti). Le delusioni più cocenti, però, hanno interessato gli ultimi due dossier. Nel 2010, d’altronde, il sistema di rotazione promosso dalla FIFA mirò dritto all’Africa. Perse per strada Egitto e l’accoppiata Tunisia-Libia, rimase solo il Marocco a insidiare il Sudafrica. Ma il verdetto, una volta di più, fu infelice. E beffardo. A posteriori venne infatti provato il pagamento di tangenti milionarie - da parte della candidatura vincente - per comprare i voti di alcuni membri del comitato esecutivo della FIFA. Precisazione doverosa: pure il Marocco, per quanto concerne l’edizione del 1998 andata alla Francia, non ne uscì benissimo su questo piano. Anzi.
Il voto che cambiò tutto
A ostentare il primo Mondiale africano della storia, ad ogni modo, fu Pretoria. E lo stesso - oggi e dopo l’attribuzione del 2010 - sta facendo il Qatar, apripista del mondo arabo. L’assegnazione corrotta di dodici anni fa è legata a doppio filo con l’ultimo fallimento marocchino. Come rivelato ancora nelle scorse settimane dall’ex presidente della FIFA Sepp Blatter, i piani del comitato esecutivo erano altri. Il doppio voto per i Mondiali del 2018 e del 2022 avrebbe dovuto premiare la Russia da un lato e gli Stati Uniti dall’altro. Le grandi manovre sull’asse Doha-Parigi cambiarono tuttavia le carte in tavola. E, appunto, il riverbero di questo scandalo influenzò la decisione valida per la Coppa del Mondo del 2026. Quale contropartita per lo sgarbo del 2010 e - si sussurra - al fine di ammansire l’offensiva giudiziaria delle autorità americane, la fresca amministrazione Infantino spinse il torneo fra le braccia di Stati Uniti, Canada e Messico. È storia del giugno 2018. Un’altra storia amara per il Marocco, battuto per 134 voti a 65 dalla citata candidatura congiunta. E, certo, la sensazione è che senza le ombre e le manipolazioni che favorirono il Qatar (e che non smettono di allungarsi: è la volta dell’Europarlamento), il prossimo sarebbe potuto o dovuto essere per davvero il turno di Rabat.
Tra aree a rischio e ambizioni
Una sensazione, già. Poiché la proposta del Paese nord-africano non sfondò anche per ragioni oggettive. Pur avendo superato l’ispezione FIFA, il Marocco ottenne un giudizio scarso: 2,7 punti su 5. E ciò a fronte del 4 su 5 fatto segnare dalla concorrenza. Nel dettaglio, il dossier poi perdente venne giudicato ad alto rischio in tre aree: stadi, alloggi e trasporti. «La quantità di nuove infrastrutture necessarie affinché la candidatura di Marocco 2026 diventi realtà non può essere sopravvalutata» l’analisi - travestita da sentenza - degli estensori del rapporto. Insomma, l’investimento per decine e decine di milioni di franchi nell’Accademia calcistica Mohammed IV, operativa dal 2009 a Salé - periferia di Rabat - non bastò. E non basta tuttora, anche se molti la ritengono il perno dei successi attuali e futuri della nazionale marocchina. Stando a un’inchiesta realizzata negli scorsi mesi dal Consiglio economico, sociale e ambientale - un’istituzione governativa del Regno - il 60% delle persone interrogate auspicano che le politiche pubbliche si concentrino sullo sviluppo del calcio a livello locale. Un appello, questo, che non dovrebbe faticare a farsi largo a palazzo reale e in seno alla Federazione: tra il re Mohammed VI e il presidente Fouzi Lekjaa - che fra l’altro ricopre pure il ruolo di ministro del Budget nel governo marocchino - l’intesa a livello di strategie economico-sportive sarebbe totale. E il percorso clamoroso in Qatar della selezione di Walid Regragui - attesa mercoledì dalla semifinale con la Francia - non fa che alimentare l’entusiasmo e la voglia di pallone.
Un’alleanza magrebina?
Di qui il possibile - e finanche probabile - sesto tentativo di ospitare i Mondiali. Il sesto nel giro di una trentina d’anni. L’edizione cerchiata in rosso è quella del 2030, anche se al momento di candidature ufficiali non ne sono ancora state avanzate. A parole, però, Lekjaa ha già confermato l’intenzione di essere della partita. Okay, ma in che forma? In passato, a penalizzare il Marocco era stata per così dire la sua cultura monotematica. A interessare erano unicamente i Mondiali, non altri grandi eventi sportivi. La mancata (o scarsa) esperienza garantita da manifestazioni come Olimpiadi, campionati iridati e competizioni internazionali di altre discipline, ha puntualmente indebolito il Paese agli occhi della FIFA. Qualcosa, negli ultimi anni, si è mosso: dal Campionato delle nazioni africane nel 2018 alla IAAF Diamond League andata in scena a Rabat per cinque volte dal 2016 in avanti. Per colmare le lacune logistiche e - non da ultimo - attutire il contraccolpo finanziario, la ricerca di partner non è inoltre da escludere. Al proposito, la collaborazione con Spagna e Portogallo per la cosiddetta candidatura iberica sembrava quasi scontata, oltre che ben vista ai vertici della FIFA. L’avvento - tanto improvviso quanto strategico - dell’Ucraina ha tuttavia vanificato lo scenario in questione. Ora, alimentata dall’euforia panaraba di Doha, si vocifera quindi di una candidatura congiunta con Algeria e Tunisia. «Ma, a mio avviso, le chance di successo sarebbero minime» ci dice Arafat, giornalista tunisino: «Rispetto al Marocco, i Paesi vicini sono in chiaro ritardo sul piano infrastrutturale. Penso banalmente ai trasporti. Guardate cosa ha fatto il Qatar? Ecco, a un livello del genere non vi si arriva in così poco tempo». A vincere la Coppa del Mondo, dopo aver sognato a lungo di ospitarla, si rischia invece d’impiegarci meno.