Calcio

Murat Yakin: «Alcuni leader si sono guadagnati il diritto di scegliere quando lasciare»

A meno di dieci giorni dal ritorno in Ticino della Nazionale rossocrociata, che dal 10 al 15 giugno sarà in ritiro a Tenero, abbiamo incontrato il ct elvetico per un'intervista esclusiva
Il 48.enne basilese e il resto della selezione rossocrociata saranno in ritiro a Tenero dal 10 al 15 giugno. © Keystone/Laurent Gillieron
Nicola Martinetti
02.06.2023 06:00

Murat Yakin ci accoglie nella periferia di Zurigo, alla Yakin Arena di Oberengstringen. Un piccolo gioiellino per gli amanti del calcetto, concepito e realizzato assieme al fratello Hakan. Il viavai di appassionati è costante. Così come il sorriso sul volto di «Muri»: «Il calcio è la nostra passione. Ci ha dato tanto, e abbiamo deciso di investire in ciò che amiamo. Da piccoli io e Hakan eravamo sempre da qualche parte a giocare. Volevamo dare la stessa opportunità anche ai ragazzini di oggi».

Murat, ci ha detto che la Yakin Arena è soprattutto un progetto per i giovani, ma abbiamo saputo che poco dopo questa intervista prenderà parte a un torneo con altre ex stelle del calcio elvetico come Lulic, Sermeter, Da Costa e Benaglio...
«Diciamo che è una realtà aperta a tutti, e poi io ovviamente fungerò da allenatore (ride, ndr). Scherzi a parte, in tutta sincerità erano diverse settimane che non passavo di qui. Recentemente ho viaggiato molto per degli impegni legati alla Nazionale».

Presto con la sua Svizzera farà ritorno in Ticino. Un luogo che le aveva portato fortuna nell’autunno del 2021, quando vi aveva preparato le decisive sfide contro Italia e Bulgaria, che avevano sancito la qualificazione al Mondiale in Qatar...
«Come Nazionale cerchiamo sempre di girare tutto il Paese, per essere vicini ad ogni regione. Non nascondo tuttavia che ho un particolare apprezzamento per il vostro cantone. Mi ricorda molto un’altra realtà che amo, quella italiana. Del Ticino mi piace l’atmosfera che si respira, il cibo e il calore che la popolazione trasmette. C’è una grande passione per il calcio. Ad ogni buon conto, al netto di tutto ciò, a spingerci a sud delle Alpi è in primis la qualità del centro in cui ci alleneremo. A Tenero i campi sono davvero ottimi, ed è stata una prerogativa fondamentale nella scelta del luogo in cui effettueremo il nostro prossimo ritiro».

In precedenza ho menzionato la Coppa del Mondo in Qatar, il suo primo grande torneo da ct. A oltre sei mesi dall’evento, che emozioni prova oggi, ripensandoci?
«Ovviamente l’epilogo è stato doloroso, e i ricordi legati ad esso sono dunque negativi. Anche se la netta sconfitta ottenuta contro il Portogallo, per quanto visto in campo, era corretta. Tuttavia il resto del torneo è stato piacevole. Durante la fase a gironi, a mio avviso, avevamo ad esempio giocato un bel calcio. L’esperienza va dunque presa e valutata nel suo insieme. Abbiamo avuto modo di ripercorrerla e analizzarla, traendo degli insegnamenti importanti. Aspetti positivi da integrare nell’attuale campagna: le qualificazioni agli Europei del 2024».

Del Ticino mi piace l’atmosfera che si respira, il cibo e il calore che la popolazione trasmette. C’è una grande passione per il calcio

Se affermo che in Qatar, contro i lusitani, ha incassato la sberla più dolorosa della sua carriera da allenatore, sbaglio?
«Il risultato mi ha fatto male, è stato difficile accettarlo. Ma la verità è che nella fase ad eliminazione diretta, il punteggio finale in fondo conta poco. Puoi perdere 1-0 oppure 6-1, ma l’esito è lo stesso: sei eliminato e te ne torni a casa. Ripeto, abbiamo tratto le nostre conclusioni. E - ovviamente - abbiamo stilato un bilancio degli errori commessi, cercando di trarre il meglio dagli stessi. Poi lo sappiamo, non abbiamo le stesse possibilità di altre selezioni come il Brasile, lo stesso Portogallo, ecc. Quando una partita prende una determinata piega, non sempre disponiamo delle risorse per poterla raddrizzare. Almeno, al Lusail Stadium non è stato così. Mi auguro che in futuro possa andare diversamente».

Il presente, come accennato in precedenza, vi vede invece impegnati nelle qualificazioni agli Europei tedeschi del prossimo anno. Dall’esterno la vostra campagna appare poco stimolante. Quasi «noiosa», se mi concede il termine. Dall’interno, invece, come viene vissuta?
«Capisco il punto di vista di chi ci osserva da fuori e vede gli avversari che dobbiamo affrontare nel nostro girone. Ha effettivamente un peso specifico diverso rispetto a taluni fronteggiati in passato. Ad esempio il gruppo vinto sulla strada verso il Qatar. Tuttavia in ambito internazionale non si può mai abbassare la guardia, né dare meno del 100%. Altrimenti il rischio di andare al tappeto anche contro selezioni meno attrezzate della nostra è sempre dietro l’angolo. E poi, francamente, alla fine ciò che conta è qualificarsi per i grandi eventi. Potervi prendere parte. Come ci si arriva, spesso e volentieri, viene dimenticato (sorride, ndr). In conclusione, io vedo questa campagna di qualificazione come una grande opportunità. Da un lato vogliamo ovviamente esserci, in Germania, fra poco più di un anno. Dall’altro intendiamo sfruttare questi incontri per continuare a crescere, sviluppando il nostro gioco, le nostre tattiche e integrando sempre più giovani. Puntiamo ad essere flessibili, mantenendo positiva e gradevole l’atmosfera in seno al gruppo».

A proposito di sviluppo e progressi, recentemente al suo staff si sono aggregate delle nuove figure. Mi riferisco ai preparatori atletici Eduardo Parra Garcia e José Luis Estévez Rodríguez, nonché ai nutrizionisti Antonio Molina Lopez ed Heliodoro Moya Amaya. Senza dimenticare il cuoco Francesco Baraldo Sano. Avvertiva la necessità di poter contare su più persone?
«In realtà numericamente non siamo cresciuti, il nostro rimane uno staff relativamente piccolo. Ciononostante avvertivamo la necessità di ottimizzare il nostro lavoro, ed è quello che abbiamo fatto puntando sui profili da lei elencati. Credo che all’esterno questi cambiamenti non verranno particolarmente notati, ma all’interno l’impatto è stato enorme. I giocatori, abituati a lavorare con figure altamente professionali nei rispettivi club, riscontrano ora le medesime dinamiche anche in seno alla Nazionale. È un fattore molto importante».

Possiamo vantare dei giocatori che militano nei club di vertice delle migliori leghe al mondo

Prima abbiamo menzionato suo fratello Hakan, con il quale ha già lavorato in passato e che recentemente ha concluso la sua prima esperienza da allenatore a Sciaffusa. Pensa che presto potrebbe raggiungerla nello staff della Nazionale?
«Lo escludo (ride, ndr). Quando ho accettato il mio attuale impiego, abbiamo deciso che dopo alcuni anni trascorsi fianco a fianco era giunto il momento di separarci e prendere strade diverse. E la scelta si è rivelata corretta per entrambi. Credo che al momento Hakan sia intenzionato a focalizzarsi sulla famiglia, l’ottenimento del patentino da allenatore e la gestione della nostra Yakin Arena. Ma qualora in futuro dovesse tornare a sedersi in panchina, non credo che lo farà in seno alla Nazionale (sorride, ndr)».

Negli scorsi mesi, parlando con lui della sua esperienza a Sciaffusa, non le è venuta un po’ di nostalgia dei tempi in cui era un allenatore di club?
«A volte la gente pensa che in seno alla Nazionale il volume del mio operato sia inferiore rispetto al passato. In realtà lavoro quanto prima, ma in maniera diversa (altra risata, ndr). Per tornare alla sua domanda, di tanto in tanto ripenso a quando allenavo in seno a un club. E sì, può capitare che avverto un po’ di nostalgia. Come è normale che sia, del resto, siccome ho ricoperto quel ruolo per più di quindici anni. I mesi tra novembre e marzo, quando non giochiamo alcuna partita, sono i più difficili. Tuttavia amo moltissimo la vita da selezionatore. Allenare la Nazionale mi permette di concentrarmi parecchio sulla tattica, aspetto che - strano ma vero - non è così marcato in seno a un club. In conclusione, direi che sto molto bene dove sono».

Tornando all’imminente ritiro in Ticino, in gruppo si ritroverà giocatori che nei rispettivi club hanno appena smesso di battagliare l’uno contro l’altro per la conquista di un titolo. Penso a Xhaka ed Akanji in Premier League, con i loro Arsenal e Manchester City. O Sommer e Kobel in Bundesliga, con Bayern Monaco e Borussia Dortmund. Come legge questi duelli, in chiave Nazionale?
«A mio avviso è un aspetto molto positivo. Significa che possiamo vantare dei giocatori che militano nei club di vertice delle migliori leghe al mondo. Akanji, per dire, fra una decina di giorni potrebbe persino vincere la Champions League. Credo che sia fantastico per tutto il movimento avere degli esempi simili. E il nostro obiettivo, in ottica futura, dovrà essere quello di portare sempre più giovani a intraprendere la stessa strada. La Super League è un ottimo campionato nel quale crescere e lanciare la propria carriera, ma l’obiettivo finale dovranno sempre essere i migliori club d’Europa. Poi è chiaro, non sempre è facile imporsi in seno a certe squadre. Ma provarci è fondamentale».

Non teme dunque qualche piccolo rancore interno, nei prossimi giorni?
«Affatto, sono tutti giocatori che si rispettano molto e sanno come funziona il mondo del calcio».

Stando alle voci di mercato, Granit Xhaka potrebbe presto lasciare l’Arsenal per trasferirsi al Bayer Leverkusen. Non lo ritiene un passo indietro per un giocatore che è andato vicino a vincere la Premier League, e che disputerebbe la Champions League in caso di permanenza a Londra?
«La mia opinione è che Granit prenderà la decisione giusta, in qualsiasi caso. In circostanze simili ci sono diversi fattori che entrano in gioco, come ad esempio anche la situazione familiare. Non so cosa accadrà nei prossimi giorni o nelle prossime settimane, ma non sono preoccupato in ottica Nazionale. Certo, giocare la Champions League sarebbe l’ideale, ma in ogni caso penso che Granit sarà titolare ovunque giocherà».

Sempre stando alle voci di mercato, l’avventura di Yann Sommer al Bayern Monaco potrebbe già essere vicina all’epilogo. È uno scenario che la preoccupa?
«Ovviamente per un portiere qualsiasi trasferimento è delicato, perché non è mai scontato imporsi in una nuova squadra. E rispetto ai giocatori di movimento, che magari possono ricoprire più ruoli, in porta non ci sono compromessi: o giochi o sei fuori. Anche in questo caso non so cosa accadrà, ma credo che Yann propenderà per la soluzione che gli darà le maggiori garanzie e le migliori sensazioni. Per me, come ct della Nazionale, l’unica cosa importante è che continui ad avere spazio e giocare. Non importa dove».

Per come la vedo io, quando qualcuno ha l’opportunità di fare il salto di qualità, deve coglierla

Dopo il Mondiale in Qatar, qualcuno aveva paventato un possibile - e drastico - ricambio in seno al suo gruppo, ipotizzando l’addio di alcuni leader storici come appunto Xhaka, Sommer, Shaqiri, Rodriguez ecc. È un pensiero che le è mai passato per la mente?
«No, affatto. Non avrebbe alcun senso. Come detto in precedenza, sono giocatori che militano in club importanti. E noi basiamo le nostre scelte sulle loro prestazioni, che rimangono molto buone. Ovviamente ci auguriamo che in Nazionale tutti loro abbiano sempre concorrenza nei rispettivi ruoli. Ma ribadisco, non ho mai pensato di prendere decisioni drastiche. Anche perché alcuni degli elementi da lei citati, a mio avviso, si sono guadagnati il diritto di decidere nei loro termini come e quando congedarsi dalla selezione rossocrociata. Penso ad esempio a Sommer, che è il più “vecchio” tra quelli menzionati. Yann è un uomo intelligente, sono certo che quando il suo corpo non reggerà più determinati ritmi, oppure vorrà dare priorità ad altri aspetti come la famiglia, sarà il primo a dire basta».

Poco fa ha parlato di concorrenza interna. È anche per questo motivo che ha deciso di sfruttare l’attuale campagna di qualificazione a Euro 2024, per dare spazio a diversi giovani?
«In parte sì, ma integrare nuovi talenti nel nostro gruppo deve essere un obiettivo costante. Lo avevamo ad esempio già fatto portando con noi in Qatar elementi come Rieder e Jashari. Molto dipende poi anche dalla situazione al momento di diramare le convocazioni. Se per caso in un reparto siamo più scoperti che in altri a causa delle assenze, ecco che allora si presenta l’occasione perfetta per dare maggiore spazio a un giovane che sta facendo bene».

Un talento elvetico, più di altri, sembra essere definitivamente esploso in questo 2023. Mi riferisco a Zeki Amdouni, che da mesi sta brillando con la maglia del Basilea. Ai suoi occhi diventerà il prossimo giocatore rossocrociato ad imporsi in un grande campionato?
«Penso di sì. Ha tutte le qualità necessarie e anche la giusta mentalità. Lo ha del resto dimostrato anche in Nazionale, andando a segno di recente sia contro la Bielorussia, sia contro Israele. Sta godendo di un ottimo stato di forma ed è per questo motivo che ho comunque scelto di convocarlo per gli impegni di giugno, nonostante prenderà poi parte agli Europei U21 con la selezione di Patrick Rahmen. Abbiamo parlato con il ragazzo, lui ha piacere ad unirsi ad entrambe le squadre e personalmente trovo corretto che lui - considerato come sta giocando - possa mettere le sue qualità anche a disposizione della Nazionale maggiore. Siamo tutti a nostro agio con la decisione presa».

In che ruolo lo vede, in seno alla selezione rossocrociata?
«A mio avviso è un jolly molto prezioso. Può giostrare come punta centrale o all’ala, ma anche da seconda punta o da numero dieci. È un giocatore istintivo, non lo si può confinare in una singola posizione. Deve avere la libertà di leggere la partita e le situazioni, agendo di conseguenza. È lì che dà il meglio di sé».

Molte squadre straniere hanno messo gli occhi su di lui, ma anche su Jashari. Secondo lei è giusto che entrambi spicchino il volo verso l’estero già questa estate, oppure ritiene che per il bene del loro sviluppo, sarebbe meglio rimanere in Svizzera ancora qualche mese?
«Per come la vedo io, quando qualcuno ha l’opportunità di fare il salto di qualità, deve coglierla. Anche perché fermarlo è pressoché impossibile. Ci sono diversi fattori in ballo e bisogna essere oggettivi: a dipendenza di dove si firma, all’estero c’è la possibilità di guadagnare molto più che in Super League. Ovviamente partire comporta anche dei rischi, come quello di non trovare spazio. E di conseguenza, va da sé, danneggiare il proprio sviluppo. Ma sono stato calciatore anch’io, so che la carriera è breve e nel calcio le cose vanno molto in fretta. I ragazzi da lei menzionati potrebbero anche decidere di rimanere in Svizzera, e poi subire un grave infortunio che ne minerebbe comunque il futuro. A mio avviso, se dovessero ricevere delle offerte verso le quali nutrono delle buone sensazioni, non sbaglierebbero ad accettarle».

La finale di Coppa Svizzera? Lugano e Young Boys se la giocheranno alla pari

Prima ha menzionato gli Europei U21. Come valuta le chance della rappresentativa elvetica, in vista della rassegna continentale?
«Diversi elementi che prenderanno parte alla spedizione militano in club e campionati di rilievo, e questo è molto incoraggiante. Non soltanto per l’imminente Europeo, ma anche per il futuro della Nazionale maggiore. Gli elvetici sono stati inseriti in un girone molto competitivo, ma si diceva lo stesso del nostro gruppo ai Mondiali in Qatar, e alla fine ci siamo guadagnati il diritto di accedere alla fase ad eliminazione diretta. Loro saranno chiamati a fare lo stesso, e vedendo quanta qualità può vantare il gruppo assemblato da Rahmen nutro molta fiducia nelle loro chance».

A proposito di giovani, per i prossimi impegni contro Andorra e Romania ha inserito il centrocampista del Lugano Uran Bislimi tra gli elementi di picchetto. Una mossa a sorpresa, un po’ come la selezione di Mattia Bottani un anno fa per gli impegni di Nations League. Ci sta prendendo gusto, con i giocatori bianconeri...
«È vero (ride, ndr). In realtà dipende sempre tutto dalle varie situazioni. Un anno fa eravamo un po’ scoperti nel reparto avanzato e Mattia era reduce non solo dalla conquista della Coppa Svizzera, ma anche da un’ottima stagione. Per quel motivo avevo ritenuto giusto dargli una chance. Un discorso che a questo giro vale invece per Bislimi. Conosco Uran dai tempi dello Sciaffusa, so bene quale sia il suo potenziale, che peraltro non ha ancora finito di sviluppare. Nella sua crescita ha sempre avuto bisogno dei suoi tempi, è un po’ uno “Spätzünder”, un fiore che fiorisce tardi. Mi ricorda molto Remo Freuler, in questo senso. Ma è un elemento sul quale è giusto puntare. E non è detto che in caso di imprevisti, possa avere la sua occasione già fra pochi giorni. Ci tengo inoltre a sottolineare che, in ottica Nazionale ha perfettamente senso puntare anche sui giocatori provenienti da Lugano. Stiamo parlando di uno dei club di punta nel panorama elvetico».

Un’altra presenza fissa in Nazionale proveniente da Cornaredo rimane Renato Steffen. Il quale, dopo un avvio piuttosto complicato a Lugano, è ora tornato sui suoi migliori livelli...
«Conosco Renato molto bene, so cosa può dare alla nostra selezione. Non soltanto dal punto di vista della qualità, ma anche dal profilo caratteriale e a livello di polivalenza. Posso infatti schierarlo in tanti ruoli ed è una presenza positiva per tutto il gruppo. Questo è il motivo per cui avevo deciso di puntare su di lui pure nelle ultime finestre internazionali, anche se magari a Lugano non stava rendendo come avrebbe voluto. Gli abbiamo dato l’occasione di sfruttare la Nazionale per rilanciarsi e lui l’ha colta a piene mani».

Un’ultima domanda: domenica il Lugano affronterà lo Young Boys nella finale di Coppa Svizzera. Quante chance dà ai bianconeri di centrare uno storico bis?
«Secondo me entrambe le squadre se la giocheranno alla pari, non vedo dunque lo Young Boys in netto vantaggio rispetto al Lugano. Quest’anno ho guardato diverse partite della squadra di Mattia Croci-Torti e sia il tecnico ticinese sia i suoi ragazzi mi hanno fatto un’ottima impressione. Giocano un calcio molto intenso, che riescono sempre a proporre a dispetto dei cambiamenti di modulo o interpreti. Domenica non sarò al Wankdorf, perché mi recherò a Monaco per incontrare Embolo, ma seguirò con interesse la finale».