Quella volta che Gigi Riva disse: «Portatemi una copia del Corriere del Ticino»

Gigi Riva è morto questa sera all’ospedale Brotzu di Cagliari, dove era ricoverato in seguito a un malore. Aveva 79 anni. Il mondo del calcio ha perso un’altra stella, una delle più luminose. Perché Riva è stato unico e inimitabile. Non tanto, o non solo, per quel soprannome affibbiatogli da Gianni Brera: Rombo di Tuono. Evocativo come pochi altri soprannomi. No, Riva è stato unico perché la sua intera storia calcistica assomiglia a un poema epico. Un poema che intreccia la maestria con il pallone e la passione, ardente, per due maglie. Quella azzurra dell’Italia, con cui vinse l’Europeo del 1968 e sfiorò il Mondiale nel 1970 in Messico e, soprattutto, quella del Cagliari, a cui giurò eterna fedeltà e con cui vinse un formidabile scudetto.
È proprio nel capoluogo sardo che, chi scrive – tifoso rossoblù – l’aveva incontrato, quasi dieci anni fa, per un’intervista pianificata da tempo ma mai veramente realizzata, in occasione del suo 70. compleanno. «Sì, d’accordo, compio settant’anni: e allora?». Gigi Riva era così: educato, certo, ma schivo e riservato. Un sardo vero, più che d’adozione. Quel giorno, perfino i compagni dello scudetto avevano provato a far squillare il suo cellulare, senza ricevere risposta. A noi (fortunati) Gigi parlò, ma tagliando corto: «Ho già chiacchierato abbastanza: portami una copia del Corriere del Ticino quando torni qui così leggo l’articolo».
A Cagliari, in quel periodo, viveva un’isolata quotidianità: caffè nel bar sotto casa, un salto nel suo ufficio in pieno centro, lettura dei giornali, due chiacchiere con i pochi amici fidati, passeggiata pomeridiana e, la sera, cena fissa (quasi sempre solo) da Giacomo, al ristorante Stella Marina di Montecristo, locale storico di fronte al porto dove Gigi aveva, ha e avrà un tavolo riservato a vita, con una sedia che assomiglia tanto a un trono. Lui, d’altronde, di Cagliari era, è e sarà sempre il re: nato il 7 novembre 1944 a Leggiuno, in provincia di Varese, in Sardegna viveva ininterrottamente da oltre sessant’anni. Nella terra che nel 1963 l’ha accolto e poi coccolato – e alla quale ha regalato gioie indelebili come la prima promozione in Serie A e soprattutto l’unico leggendario scudetto del 1969-70 – non se n’è mai andato, declinando, all’apice della carriera, ricche offerte dei club più blasonati, come quella della Juventus che per averlo offrì un miliardo di lire e sette giocatori in cambio.
Lì dentro, nel ristorante da Giacomo, il tempo sembra essersi fermato: alle pareti, decine e decine di sue foto sbiadite, tutte rigorosamente autografate. Riva, bello ed elegante come un dio greco, in azione con il suo terrificante sinistro – il marchio di fabbrica per il quale Gianni Brera lo soprannominò appunto Rombo di Tuono dopo una doppietta all’Inter e infine ritratto con la maglia della Nazionale, di cui è ancora il bomber indiscusso con 35 reti in 42 partite malgrado in azzurro si sia fratturato due volte la gamba.
«Giggirriva», come lo chiamano in Sardegna, amava talmente Cagliari da lasciarla (per breve tempo) solo per tornare nel suo paese natale: «Sì, a Leggiuno vado ogni tanto – si era lasciato scappare all’epoca prima di salutarci – ma qui è sempre caldo e si sta talmente bene che volare via è difficile». Nel 2005 Cagliari gli ha conferito la cittadinanza onoraria in segno di eterna gratitudine, il club (di cui è presidente onorario) ha ritirato da tempo la sua maglia numero 11. Ma lui, il re di Cagliari, allergico alle celebrazioni, fino alla fine ha sempre preferito rimanersene in disparte, «protetto» dai suoi figli e dai suoi nipotini. E dalla sua isola.