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«Che gioia svegliarsi all’alba per vedere trionfare Colorado»

L’ex portiere David Aebischer, che nel 2001 ha conquistato la Stanley Cup come membro degli Avalanche, traccia un filo diretto tra passato e presente commentando il terzo sigillo della squadra di Denver
Jun 26, 2022; Tampa, Florida, USA; The Colorado Avalanche pose for a team picture with the Stanley Cup after their game against the Tampa Bay Lightning in game six of the 2022 Stanley Cup Final at Amalie Arena. Mandatory Credit: Geoff Burke-USA TODAY Sports TPX IMAGES OF THE DAY
Nicola Martinetti
28.06.2022 06:00

Signor Aebischer, 21 anni fa lei era sul ghiaccio a festeggiare in prima persona la conquista della Stanley Cup. Questa volta come ha seguito l’ultimo atto?
«Beh, partiamo dal presupposto che col passare degli anni la differenza di fusorario si è fatta sempre più difficile da gestire (ride, ndr). Detto ciò, ho cercato di seguire da vicino la serie tra Colorado e Tampa Bay, trovando il modo di adattarmi. I giorni delle partite mi svegliavo all’alba per gustarmi il terzo tempo di ogni match. Sono ancora molto legato alla franchigia di Denver, che assieme al Friburgo avrà sempre un posto speciale nel mio cuore. È una gioia immensa averla vista conquistare la sua terza Stanley Cup. Gli Avs mi hanno draftato dandomi la chance di coltivare un sogno, poi divenuto realtà una manciata di anni più tardi. Anche se sono passati decenni da quel momento, in un certo senso mi sento ancora parte dell’organizzazione».

Nel 2001 conquistò il trofeo quale membro di un gruppo tanto forte quanto iconico, che annoverava fenomeni del calibro di Joe Sakic, Peter Forsberg, Patrick Roy, Raymond Bourque , eccetera. All’epoca avrebbe mai pensato che ci sarebbe voluto così tanto prima di rivedere gli Avalanche sul tetto della NHL?
«Sinceramente no. Anche perché l’anno successivo sfiorammo nuovamente l’ultimo atto, perdendo la finale di Conference contro Detroit a gara-7. Tutto lasciava insomma presupporre che si potesse aprire un ciclo vincente. Invece nel giro di poche stagioni la franchigia perse velocità e finì con lo sprofondare nella mediocrità, attraversando ben due “rebuild” (ricostruzioni, ndr) prima di tornare protagonista».

La figura chiave dietro la rinascita di Colorado è l’ex star Joe Sakic. Otto anni fa l’oggi 52.enne canadese ha assunto il ruolo di general manager, dando il la a un processo culminato con il trionfo dell’altra notte. Il cammino, però, non è stato privo di ostacoli.
«Come spesso accade in questi casi, è stato necessario passare attraverso qualche fase dolorosa prima di poter gioire. Nei suoi primi anni da GM Sakic ha dovuto prendere decisioni difficili, aggrappandosi a quella che era la sua visione per il futuro della franchigia. Essa differiva da quella del nostro ex compagno Patrick Roy, all’epoca tecnico della squadra. Che infatti decise di dimettersi nell’estate del 2016, creando un po’ di caos. Sakic fu lucido e reattivo, puntando su Jared Bednar per la sua successione.La prima stagione sotto la sua gestione, gli Avalanche arrivarono ultimissimi raccimolando la miseria di 48 punti in 82 partite. Da lì in poi vi è però stato un crescendo costante. Con la calma che lo contraddistingueva già da giocatore, unita a una bella dose di lungimiranza, Sakic ha costruito una pretendente al titolo. Ha fatto un capolavoro aggiungendo un tassello dopo l’altro, tra mercato, scambi e draft. Dimostrando grande pazienza, lasciando lavorare Bednar con serenità. E alla fine è stato ripagato».

Nelle scorse ore ha provato a contattare Sakic, Nolan Pratt o qualche altra sua conoscenza a Denver?
«Non ancora. Penso che lascerò passare qualche giorno e poi farò le mie congratulazioni a Joe. Probabilmente ora il telefono gli starà esplodendo (altra risata, ndr). Nel corso degli anni sono rimasto in contatto con lui e con altre figure all’interno della franchigia. Principalmente per lavoro, ma non solo».

Lei ora allena i portieri del Friburgo. Non ha mai pensato di provare a fare ritorno a Denver, dopo aver appeso i pattini al chiodo?
«Decisamente sì. Dopo il ritiro ho intrapreso questa via proprio perché aspiravo a tornare oltreoceano, nello staff di una squadraNHL. Col passare degli anni, però, le mie priorità sono cambiate. Ho deciso di anteporre la famiglia e i miei figli al lavoro, dunque per il momento quel sogno rimane accantonato in un cassetto».

In Colorado nel frattempo ci si prepara per la parata dei campioni, in programma giovedì. Dopo i doppi bagordi in barca di Tampa Bay, si tornerà a delle celebrazioni più tradizionali...
«L’ambiente sarà pazzesco, ve lo posso assicurare. Denver è una citta di sport, che ribolle di passione per le squadre locali. Cercherò di reperire qualche video dei festeggiamenti, per vedere se si avvicineranno ai nostri (sorride, ndr)».

E la finalissima, invece, le ha fatto tornare alla mente il vostro epico scontro con i New Jersey Devils di Martin Brodeur?
«Sono andati in scena in epoche così diverse che è veramente difficile tracciare un paragone. Sicuramente entrambe le finali hanno messo a confronto il meglio che la massima lega nordamericana poteva offrire in quel momento. Noi però a un certo punto ci ritrovammo sotto 3-2 nella serie. Per vincere dovettimo inscenare una clamorosa e insperata rimonta. Stavolta gli Avs hanno sempre condotto le danze, senza fornire appigli ai Lightning. Tanto di cappello a Landeskog e compagni, perché venire a capo di una corazzata come Tampa Bay, forte peraltro del miglior portiere di tutta la lega, non era affatto scontato. Per quasi tre anni Andrei Vasilevsky è stato pressoché imbattibile nei playoff. Ci è voluto un grandissimo sforzo collettivo per riuscire a piegare la sua resistenza».

Negli USA hanno già affermato che la dinastia di Tampa Bay è ormai terminata, lasciando il posto a una nuova era targata Colorado. Concorda con questa lettura, o forse si corre un po’ troppo?
«Non mi esprimo per quanto concerne i Lightning, ma il gruppo assemblato da Joe Sakic ha certamente le qualità per provare a inanellare più titoli nel corso dei prossimi anni. E se scorro i nomi del roster, i vari Mackinnon, Makar, Landeskog e Rantanen potrebbero presto diventare i moderni Sakic, Forsberg, Bourque, Blake e Roy. Giocatori da Hall of Fame, per intenderci, che fanno e faranno per sempre parte della leggenda di questo sport».