Viaggi

In moto dal Ticino al Giappone: un incontro di culture

Quando un viaggio è avventura e itinerario attraverso noi stessi
Silvano Pulga
17.11.2023 09:13

Marta Brambilla, traduttrice freelance, ticinese originaria di Chiasso, è una viaggiatrice, nel senso vero del termine. Gestisce un blog (“www.Paroleontheroad.com”) e una pagina linkedin (https://www.linkedin.com/in/marta-brambilla-7510481b0/) con lo stesso nome. Dai contenuti, si capisce già di essere di fronte a una persona non banale: una viaggiatrice, appunto, e non una turista. Alcuni anni fa si è resa protagonista di un viaggio decisamente fuori dall’ordinario: un itinerario in solitaria dal Ticino al Giappone, in moto. L’abbiamo incontrata, sulle strade di internet e dal vivo, e ci siamo fatti raccontare un po’ la sua bellissima esperienza. 
La scelta di partire in solitaria credo sia stata fortemente influenzata dal mio carattere e dal mio modo di essere. Di natura tendo a essere solitaria, malgrado apprezzi la buona compagnia; soprattutto in termini di viaggi, amo poco scendere a compromessi. Inoltre, anche volendo, non credo sarebbe stato facile trovare una o un compagna/o di viaggio per un’avventura del genere. Non da ultimo, mi sento di aggiungere anche che questo viaggio ha avuto, fin da subito, una forte componente emotiva e personale: mi sarebbe stato difficile condividerlo con qualcuno. Mentre, per quanto riguarda la meta beh, che dire: ho sempre amato il Giappone, al punto da studiarne lingua e cultura all’università (solo come materia facoltativa, non era quella principale dei miei studi). Fin dai tempi degli studi ho sempre desiderato visitare questo Paese che, su di me, ha sempre esercitato un fascino particolare. Non ti saprei citare una ragione specifica: credo mi affascinasse (e continua a farlo tutt’ora) per via della sua lontananza da tutto ciò che conoscevo, sia in termini geografici che socioculturali. Sono di natura curiosa e sempre aperta a ciò che è diverso, e sicuramente il Giappone ben soddisfaceva questa mia curiosità.” 
Un viaggio così lungo potrebbe dare luogo a qualche inconveniente, e non è sempre facile affrontare certe situazioni da soli. Manca magari anche qualcuno con cui confidarsi.
“Questo per me è stato un viaggio molto intimo, come dicevo prima, più un viaggio dell’anima che la semplice copertura di un itinerario “da A a B”. Per cui no, non mi è mai mancato non avere qualcuno con cui condividere nell’immediato sensazioni o pensieri. Anche perché la persona con cui avrei voluto condividerlo non era più tra noi. Come ogni lungo viaggio che si rispetti sì, anche in questa mia avventura ci sono stati momenti difficili. A volte nulla di molto complesso: in Norvegia, per esempio mi è venuta la febbre e sono stata costretta a fermarmi. 
La grossa difficoltà è arrivata quando ero in Siberia. Come ho già raccontato più volte nel blog, mi sono resa conto di essere arrivata a un punto del percorso in cui avevo perso la serenità, rischiando di trasformare un viaggio epico in una sofferenza (fisica, ma anche emotiva). Scegliere di prendere il treno è stata la decisione più difficile, più di quella di partire, molto più semplice. Viaggiare sino a Vladivostok in Transiberiana è però stata un’esperienza affascinante: è un mondo davvero a parte.”  
Di Russia si è parlato molto, soprattutto in questi ultimi tempi. Poche persone però possono dire di conoscere questo Paese al di fuori delle grandi città come Mosca o San Pietroburgo: averla attraversata via terra ne può sicuramente dare un’idea più reale. Vediamo cosa ci ha detto Marta.
“Parlare di Russia è molto difficile. Primo perché non ho le conoscenze o competenze storiche o geopolitiche necessarie e, secondo, perché è un Paese enorme. La Russia è pressoché infinita in termini di spazio e, di conseguenza, in termini di persone, popoli ed etnie. Quello però che ho potuto constatare, in base alla mia esperienza personale, è che i russi si identificano molto attraverso la lingua. Ricordo che un giorno conobbi una coppia di russi e parlando raccontai che in Svizzera abbiamo quattro lingue nazionali, che quindi non parliamo tutti la stessa lingua. Per il marito della coppia, un militare in pensione, questo era semplicemente inconcepibile. Non riusciva ad accettare l’idea che un Paese non parlasse la stessa lingua.
La riflessione che feci settimane dopo, avendo incontrato altre persone, fu che in Russia convivono molte etnie, molti popoli diversi. Gli stessi siberiani, ad esempio, non sono tutti uguali e a oggi è difficile assegnare un confine preciso a quella regione. In Russia poi incontri popolazioni di origine mongola che vivono attorno a Ulan-Ude e, ancora, quelle del Caucaso, a loro volta, sono ancora diverse. Non dimentichiamo le deportazioni del secolo scorso, con i prigionieri politici deportati dalle città in Siberia e, al contrario, i contadini mandati a forza nelle città per lavorare nelle fabbriche. Si capisce come persone letteralmente sradicate dalle loro terre di origine si siano aggrappate alla lingua comune per continuare a sentirsi un popolo, facendolo anche attraverso la scuola e la letteratura, per esempio. Ho spiegato questo fatto provando la sensazione che, con l’eccezione di San Pietroburgo, le città russe sono senz’anima, senza storia. Era una sensazione davvero strana per chi, come me, vive in Occidente, dove la storia si respira ovunque. Aggiungiamoci il fatto che oggi, in Russia, fuori dalle grandi città, resistono ancora molto le costruzioni del periodo sovietico, che danno un tocco particolare. Ovviamente la mia opinione è soggettiva: ma la sensazione che ho avuto viaggiando per due mesi da San Pietroburgo a Vladivostok è che i russi si sentono tali perché sono un popolo di persone, tenuto insieme dalla lingua più che da una storia comune.” 
Anche dopo anni dal rientro in Ticino, un'esperienza del genere non può che arricchire chi l’ha fatta, lasciando tracce indelebili, anche se il tempo può cancellare qualche particolare.
“Sono assolutamente d’accordo con la tua affermazione. Questo viaggio mi ha completamente cambiata, credo che l’immagine che renda meglio la cosa sia “rivoltata come un guanto” – in senso positivo, s’intende. Naturalmente il passare del tempo attenua un pochino le emozioni e sfoca i ricordi. Tuttavia, ancora oggi mi rendo conto delle lezioni di vita che ho appreso e di come questo viaggio mi abbia cambiata.
Quando è iniziata la guerra ho subito scritto ad alcuni amici che vivono là per sapere come stavano e, anche se erano anni che non ci sentivamo, sono stati tutti molto felici del mio gesto. Ho anche avuto qualche giorno di preoccupazione perché la figlia della persona che, a Tomsk, mi aiutò a spedire la moto, è stata arrestata a San Pietroburgo perché manifestava contro l’invasione dell’Ucraina. Per fortuna, dopo un paio di giorni, ho ricevuto la notizia che era stata scarcerata e stava bene. Ad ogni modo, credo non passi giorno in cui io – in un modo o nell’altro – non pensi o non faccia riferimento a quel viaggio. È una parte di me, ormai completamente fusa nella mia storia, come se fosse entrata nel mio DNA.”