In moto dal Ticino al Giappone: un incontro di culture
Marta Brambilla, traduttrice freelance, ticinese originaria di Chiasso,
è una viaggiatrice, nel senso vero del termine. Gestisce un blog (“www.Paroleontheroad.com”)
e una
pagina linkedin (https://www.linkedin.com/in/marta-brambilla-7510481b0/) con
lo stesso nome. Dai contenuti, si capisce già di essere di fronte a una persona
non banale: una viaggiatrice, appunto, e non una turista. Alcuni anni fa si è
resa protagonista di un viaggio decisamente fuori dall’ordinario: un itinerario
in solitaria dal Ticino al Giappone, in moto. L’abbiamo incontrata, sulle
strade di internet e dal vivo, e ci siamo fatti raccontare un po’ la sua bellissima
esperienza.
“La scelta di partire in
solitaria credo sia stata fortemente influenzata dal mio carattere e dal mio
modo di essere. Di natura tendo a essere solitaria, malgrado apprezzi la buona
compagnia; soprattutto in termini di viaggi, amo poco scendere a compromessi.
Inoltre, anche volendo, non credo sarebbe stato facile trovare una o un
compagna/o di viaggio per un’avventura del genere. Non da ultimo, mi sento di
aggiungere anche che questo viaggio ha avuto, fin da subito, una forte
componente emotiva e personale: mi sarebbe stato difficile condividerlo con
qualcuno. Mentre, per quanto riguarda
la meta beh, che dire: ho sempre amato il Giappone, al punto da studiarne
lingua e cultura all’università (solo come materia facoltativa, non era quella
principale dei miei studi). Fin dai tempi degli studi ho sempre desiderato
visitare questo Paese che, su di me, ha sempre esercitato un fascino
particolare. Non ti saprei citare una ragione specifica: credo mi affascinasse
(e continua a farlo tutt’ora) per via della sua lontananza da tutto ciò che
conoscevo, sia in termini geografici che socioculturali. Sono di natura curiosa
e sempre aperta a ciò che è diverso, e sicuramente il Giappone ben soddisfaceva
questa mia curiosità.”
Un viaggio così lungo potrebbe dare luogo a qualche
inconveniente, e non è sempre facile affrontare certe situazioni da soli. Manca
magari anche qualcuno con cui confidarsi.
“Questo per me è stato un viaggio molto intimo, come dicevo prima, più
un viaggio dell’anima che la semplice copertura di un itinerario “da A a B”. Per
cui no, non mi è mai mancato non avere qualcuno con cui condividere
nell’immediato sensazioni o pensieri. Anche perché la persona con cui avrei
voluto condividerlo non era più tra noi. Come ogni lungo viaggio che si rispetti sì, anche in questa mia
avventura ci sono stati momenti difficili. A volte nulla di molto complesso: in
Norvegia, per esempio mi è venuta la febbre e sono stata costretta a fermarmi.
La grossa difficoltà è arrivata quando ero in Siberia. Come ho già
raccontato più volte nel blog, mi sono resa conto di essere arrivata a un punto
del percorso in cui avevo perso la serenità, rischiando di trasformare un
viaggio epico in una sofferenza (fisica, ma anche emotiva). Scegliere di
prendere il treno è stata la decisione più difficile, più di quella di partire,
molto più semplice. Viaggiare sino a Vladivostok in Transiberiana è però stata
un’esperienza affascinante: è un mondo davvero a parte.”
Di Russia si è parlato molto, soprattutto in questi ultimi tempi.
Poche persone però possono dire di conoscere questo Paese al di fuori delle
grandi città come Mosca o San Pietroburgo: averla attraversata via terra ne può
sicuramente dare un’idea più reale. Vediamo cosa ci ha detto Marta.
“Parlare di Russia è molto difficile. Primo perché non ho le conoscenze
o competenze storiche o geopolitiche necessarie e, secondo, perché è un Paese
enorme. La Russia è pressoché infinita in termini di spazio e, di conseguenza,
in termini di persone, popoli ed etnie. Quello però che ho potuto constatare,
in base alla mia esperienza personale, è che i russi si identificano molto attraverso
la lingua. Ricordo che un giorno conobbi una coppia di russi e parlando
raccontai che in Svizzera abbiamo quattro lingue nazionali, che quindi non
parliamo tutti la stessa lingua. Per il marito della coppia, un militare in
pensione, questo era semplicemente inconcepibile. Non riusciva ad accettare
l’idea che un Paese non parlasse la stessa lingua.
La riflessione che feci settimane dopo, avendo incontrato altre
persone, fu che in Russia convivono molte etnie, molti popoli diversi. Gli
stessi siberiani, ad esempio, non sono tutti uguali e a oggi è difficile assegnare un
confine preciso a quella regione. In Russia poi incontri popolazioni di
origine mongola che vivono attorno a Ulan-Ude e, ancora, quelle del Caucaso, a
loro volta, sono ancora diverse. Non dimentichiamo le deportazioni del secolo
scorso, con i prigionieri politici deportati dalle città in Siberia e, al contrario, i contadini mandati a forza nelle città per lavorare nelle fabbriche.
Si capisce come persone letteralmente sradicate dalle loro terre di origine si
siano aggrappate alla lingua comune per continuare a sentirsi un popolo,
facendolo anche attraverso la scuola e la letteratura, per esempio. Ho spiegato
questo fatto provando la sensazione che, con l’eccezione di San Pietroburgo, le
città russe sono senz’anima, senza storia. Era una sensazione davvero strana
per chi, come me, vive in Occidente, dove la storia si respira ovunque. Aggiungiamoci
il fatto che oggi, in Russia, fuori dalle grandi città, resistono ancora molto
le costruzioni del periodo sovietico, che danno un tocco particolare. Ovviamente
la mia opinione è soggettiva: ma la sensazione che ho avuto viaggiando per due
mesi da San Pietroburgo a Vladivostok è che i russi si sentono tali perché sono
un popolo di persone, tenuto insieme dalla lingua più che da una storia comune.”
Anche dopo anni dal rientro in Ticino, un'esperienza del genere non
può che arricchire chi l’ha fatta, lasciando tracce indelebili, anche se il
tempo può cancellare qualche particolare.
“Sono assolutamente d’accordo con la tua affermazione. Questo viaggio
mi ha completamente cambiata, credo che l’immagine che renda meglio la cosa sia
“rivoltata come un guanto” – in senso positivo, s’intende. Naturalmente il
passare del tempo attenua un pochino le emozioni e sfoca i ricordi. Tuttavia,
ancora oggi mi rendo conto delle lezioni di vita che ho appreso e di come
questo viaggio mi abbia cambiata.
Quando è iniziata la guerra ho subito scritto ad alcuni amici che vivono là per
sapere come stavano e, anche se erano anni che non ci sentivamo, sono stati
tutti molto felici del mio gesto. Ho anche avuto qualche giorno di
preoccupazione perché la figlia della persona che, a Tomsk, mi aiutò a spedire
la moto, è stata arrestata a San Pietroburgo perché manifestava contro
l’invasione dell’Ucraina. Per fortuna, dopo un paio di giorni, ho ricevuto la
notizia che era stata scarcerata e stava bene. Ad ogni modo, credo non passi
giorno in cui io – in un modo o nell’altro – non pensi o non faccia riferimento
a quel viaggio. È una parte di me, ormai completamente fusa nella mia storia,
come se fosse entrata nel mio DNA.”