L’intervista

Filippo Colombo: «L’amore per il pedale è sbocciato presto»

Il fenomeno ticinese della mountain bike si racconta fra aneddoti, obiettivi, vittorie e delusioni sportive
Filippo Colombo nella newsroom del Corriere del Ticino. © CdT/Gabriele Putzu
Raffaele Soldati
21.09.2019 06:00

Un anno da incorniciare per Filippo Colombo, 21 anni, argento agli Europei e ai Mondiali U23. Per il biker di Bironico una crescita costante. Se la stagione può dirsi conclusa, l’atleta della BMC già pensa al futuro. Il passaggio di categoria non sarà un salto nel buio.

Dicono che la bicicletta faccia parte del tuo DNA.

«È vero. L’amore è iniziato presto, già alle elementari. Vedevo mia madre che pedalava con un certo successo e poi seguivo mio zio, Rocco Cattaneo, a suo tempo professionista e adesso presidente dell’Unione europea di ciclismo. La passione è poi cresciuta anche grazie a una bella iniziativa di Ticino Cycling, il cosiddetto Kids Tour. Allora la tendenza era quella di indirizzarci alla polivalenza. Così ho iniziato a scoprire la MTB. Devo innanzitutto dire grazie a Daniele Zucconi».

A lui si deve la creazione del team di MTB all’interno del VC Monte Tamaro.

«Non solo. Da una parte la creazione, dall’altra la capacità di motivare un gruppo di giovani, compreso il sottoscritto. Dai 15 anni in poi, come altri, mi ero trovato a un bivio. Continuare l’attività su strada o dedicarmi di più alla mountain-bike? La scelta non è stata facile. Ma alla passione non si comanda. Piano piano sono arrivati i risultati. Oggi posso dire che non ho sbagliato».

Come è stato l’impatto con le competizioni?

«All’inizio piuttosto complicato: il livello in Ticino rispetto al resto del Paese era bassino. Il confronto con i corridori della Svizzera interna era improponibile. Il gap era immenso. Si trattava di lavorare per ridurlo, immaginatevi le difficoltà».

Schurter era già sulla breccia?

«Nino oggi ha 33 anni. Partecipò da 21.enne alle Olimpiadi di Pechino e già conquistò il bronzo. D’altra parte in Svizzera la mountain-bike aveva regalato grandi soddisfazioni con diversi atleti, a incominciare da Thomas Frischknecht, che tra l’altro oggi è team manager di Nino. In Svizzera interna sono così nati molti club che lavorano benissimo sullo sviluppo dei talenti. Il che ha favorito il ricambio generazionale».

Bici su strada e mountain-bike. Sembra che oggi siano di più quelli che si dedicano alla seconda.

«Lo si vede osservando la partecipazione alle gare. Se nelle prove di MTB ci sono 70-80 iscritti, in quelle su strada si stenta ad arrivare alla cinquantina. C’è stato un cambio di mentalità. Molti genitori sono più tranquilli se vedono i figli nei boschi o in montagna, lontano dal traffico. Paradossalmente ci sono meno pericoli nell’effettuare salti».

Il tuo è uno sport individuale, ma per certi versi anche di squadra.

«La Svizzera ha una squadra di altissimo livello ed è competitiva in tutte le categorie. Anche per questo abbiamo raccolto importanti medaglie a livello di staffette. Sono soprattutto le ragazze a fare la differenza. Tra gli uomini, questo va detto, c’è un maggiore equilibrio. Alla Federazione svizzera fa ovviamente piacere avere squadre di altissimo valore. Le staffette ti permettono di fare gruppo, ma la competizione individuale ha comunque un peso diverso».

La tua più cocente delusione?

«Sicuramente la gara individuale ai Mondiali di Lenzerheide dello scorso anno. Con la staffetta avevamo vinto l’oro. Poi, pur essendo motivatissimo, non ero riuscito a dare il meglio di me stesso. Avevo addosso troppa pressione. Quel 16. posto mi aveva davvero bruciato moltissimo. Però mi ha anche insegnato tanto. E penso che i risultati di quest’anno, in particolare la vittoria conquistata proprio a Lenzerheide, siano stati la migliore risposta».

Nel 2019 hai avuto nel romeno Dascalu un avversario solido.

«Io e Dascalu avevamo qualcosa in più fra gli U23. Lui si è rivelato il più competitivo in assoluto, vincendo l’oro sia ai Mondiali sia agli Europei. Io mi sono tolto le mie soddisfazioni. È probabile che Vlad e io ci ritroveremo di fronte anche il prossimo anno, ma nell’élite cambieranno le prospettive e anche le aspettative».