Il ricordo

Ken Brady, il gigante gentile della pallacanestro ticinese

Mauro Rossi ripercorre la vita e la carriera di uno dei giocatori-simbolo del basket cantonale
Ken Brady con la maglia numero 10 del Viganello.
Red. Online
27.07.2021 21:56

Il basket ticinese piange uno dei suoi simboli: si è infatti spento lunedì a Basilea dopo una lunga malattia Ken Brady, indiscusso protagonista dei mitici anni Settanta-Ottanta, quelli del «boom», delle quattro formazioni cantonali nella massima divisione nazionale, delle piccole palestrine stracolme di pubblico, della storica finale di Coppa al Palazzetto di Mezzovico e di un entusiasmo per la palla a spicchi difficilmente replicabile. Un periodo dorato di cui il gigante americano, approdato quasi per caso nel nostro cantone nel 1974 e da allora, salvo qualche breve parentesi, mai allontanatosi, è stato un emblema. E questo in virtù di un indubbio talento che nell’arco di quasi un ventennio ha messo al servizio di quasi tutte le compagini cantonali (la Federale Lugano in cui approdò per creare un irripetibile asse tattico con Manuel Raga; il Viganello che portò ai vertici nazionali assieme a Dan Stockalper e a Charlie Yelverton; eppoi il MoMo Basket, il Bellinzona, la Muraltese...), ma anche grazie alla sua figura slanciata e atletica (duecentootto centimetri e un fisico rimasto asciutto e atletico fino all’ultimo) in grado di risaltare immediatamente e ad un carattere che al di fuori dei parquet, dove sfoderava gesti di straordinaria esplosività, colpiva per semplicità, pacatezza e positività.

Un gigante gentile, insomma, subito innamoratosi di un Ticino al quale non ha saputo più rinunciare. Neppure quando, terminata una carriera agonistica che gli aveva permesso di marcare presenza anche in campionati importanti come quelli italiano, spagnolo e francese (anche se lì lasciò meno il segno, frenato, probabilmente, da quella fama di «buono» che lo ha sempre accompagnato e che nello sport non sempre è così positiva) provò a tornare negli USA, in quel Michigan, regione anch’essa di lago, dove era nato e dove «più per la mia altezza e per una naturale predisposizione che per un’autentica passione» (come ha più volte ammesso) aveva iniziato a giocare a basket, scalando tutti i gradini nazionali e arrivando nel 1973 ad essere «draftato» dalla franchigia NBA dei Detroit Pistons. Ma si trattò di una breve parentesi. «Dopo tanti anni trascorsi in una dimensione piccola e tranquilla come il Ticino in cui tutti bene o male ci si conosce, ritrovarsi in un contesto così grande dove i rapporti umani sono più freddi e distaccati, non faceva per me», spiegò in occasione di quello che è stato il suo definitivo «come back». Era infatti il Ticino e l’Europa più in generale la dimensione in cui si trovava a suo agio. Un’Europa che per lui significava non unicamente Svizzera ma anche Danimarca, dove vive la figlia Sarah, che da Ken ha ereditato altezza e talento sportivo, non applicato però al basket bensì al canottaggio disciplina che l’ha portata a disputare un paio di Giochi olimpici sotto il vessillo danese. Un’Europa dove a settant’anni ha concluso la sua avventura terrena lasciandoci il ricordo delle sue straordinarie giocate ma anche di un sorriso e un’affabilità che faticheremo a scordare.