L'intervista

Elvis Merzlikins: «La mia vita è cambiata, ma non smetto mai di sognare»

I Columbus Blue Jackets in NHL, la vita di famiglia, la nazionale e il desiderio di chiudere la carriera a Lugano: a cuore aperto con il portiere lettone
©USA TODAY Sports
Flavio Viglezio
21.11.2023 06:00

Ha 29 anni, Elvis Merzlikins. Si è sposato ed è diventato papà: non è più il ragazzo spensierato e un po’ matto che aveva lasciato il Lugano per la NHL. Al suo quinto anno con i Blue Jackets, il portiere lettone traccia con noi un bilancio della sua esperienza: «Con un figlio le mie priorità sono cambiate, ma ho ancora tanti desideri: sogno di vincere la Coppa Stanley, il Trofeo Vezina e di chiudere la mia carriera in bianconero»

Allora, Elvis, come va la vita in Nordamerica?
«In generale va tutto bene, ma la mia vita è cambiata parecchio negli ultimi tempi, soprattutto da quando sono diventato papà. Lo scorso anno mia moglie ed io abbiamo deciso di investire in una casa: abbiamo finito di costruirla e ci siamo trasferiti da poco. Siamo in un quartiere di Columbus che ci piace molto, è tranquillo e si vive bene. Adesso posso dire di sentirmi a casa anche qui, come quando vivevo a Lugano. Ormai ho quasi 30 anni, ho messo su famiglia, sono cresciuto e maturato: non sono più il ragazzo un po’ matto di prima (ride, NdR). Fuori dal ghiaccio, a volte, è dura: sono spesso via, in trasferta con la squadra, e mi capita di non vedere mio figlio per un’intera settimana. Poi torno a casa, sto con lui qualche giorno e in seguito mi tocca partire di nuovo. Ora capisco gli stranieri che decidono di trasferirsi in Svizzera per la qualità della vita».

La paternità ti ha insomma cambiato…
«Certo, quando si decide di fondare una famiglia e arriva il primo figlio, le priorità cambiano. Ha iniziato a frequentare il pre-asilo, ma nel limite del possibile cerco di trascorrere il maggior tempo possibile con lui. Mi rendo conto che il tempo passa in fretta e voglio godermelo il più possibile. Ha un bel caratterino, ha preso tutto da me. Ho chiesto a mia mamma se da piccolo ero anche io così: mi ha detto che ero uguale. Credo che il karma mi stia punendo… (ride, NdR)».

È cambiato anche il Merzlikins portiere, in questi anni?
«Sì, sono cambiato tanto. Ho dovuto adattarmi al gioco sulle piste più piccole e imparare a conoscere le caratteristiche dei giocatori della NHL. Ora mi sento molto più a mio agio, in questo senso. D’altra parte è un percorso che avevo dovuto affrontare anche in Svizzera, quando ero arrivato in prima squadra a Lugano. Quando per esempio giochiamo contro i Washington Capitals, so che Ovechkin proverà sempre a tirare, anche se non riceve un disco pulito. Altri attaccanti preferiscono magari un passaggio in più. Giocare in NHL è bellissimo, ma non è sempre evidente. Volo dopo volo, partita dopo partita, il corpo deve abituarsi a gestire una stanchezza quasi costante. Me lo diceva anche Gregory Hofmann, nei pochi mesi in cui è rimasto qui con noi».

Purtroppo i Columbus Blue Jackets faticano a ritagliarsi un ruolo di primo piano nella massima Lega nordamericana. Anche in questa stagione la squadra non sta andando bene…
«In effetti i risultati tardano ad arrivare, purtroppo. Siamo una squadra giovane e le difficoltà non mancano, anche se la situazione è un po’ diversa rispetto alle ultime stagioni. Abbiamo perso tante partite solo all’overtime o ai rigori: ci siamo, insomma, anche se manca ancora qualcosa per effettuare un vero e proprio salto di qualità. In power-play, per esempio, fatichiamo troppo. A Columbus si respira comunque entusiasmo per l’arrivo di un grande talento come Adam Fantilli. La terza scelta assoluta dell’ultimo draft ha solo 19 anni, ma sta già rendendo oltre le aspettative. Ha tante qualità con il disco sul bastone – e questo lo sapevano tutti – e ha già dimostrato di saper giocare duro. Ci mette il fisico e non ha paura dei contrasti: ha la mentalità giusta e credo che potrà fare grandi cose in NHL. Tornando alla squadra, tutti dicono che ci vuole tempo. Purtroppo però il tempo, per quel che mi riguarda, inizia a scarseggiare».

Il tuo contratto con i Blue Jackets scade al termine della stagione 2025-2026. Non hai mai sognato, o sperato, di passare in una franchigia più ambiziosa?
«Bella domanda. Se penso ad un giocatore di grandissimo talento come Linus Klasen, mi accorgo che in carriera non ha praticamente vinto nulla. Ci sono invece elementi molto meno forti che hanno avuto la fortuna di vincere due o tre campionati. Fin da ragazzino il mio sogno era quello di vincere la Stanley Cup, di poterla portare in Lettonia e poi in piazza a Lugano, per mostrarla a tutti. I sogni non muoiono mai, mi danno la motivazione per dare sempre il meglio di me stesso: a livello personale non ho abbandonato la speranza di aggiudicarmi un giorno il Vezina Trophy che premia il miglior portiere della NHL, per esempio. L’hockey è un business, un giorno sei in un posto e il giorno seguente ti ritrovi in un’altra squadra. Non si sa mai cosa può succedere nella carriera di un giocatore».

Tutti sapevano che la franchigia avrebbe dovuto fare una scelta tra me e Korpisalo. Hanno puntato su di me e ora devo assumermi le responsabilità di un portiere titolare

Merzlikins è ormai a tutti gli effetti il titolare di Columbus. L’ex “rivale” Joonas Korpisalo già nel corso della passata stagione era stato ceduto ai Los Angeles Kings, prima di passare agli Ottawa Senators. Un bell’attestato di stima nei tuoi confronti, vero?
«Sì, è stato un bel segnale. Tutti sapevano che la franchigia avrebbe dovuto fare una scelta tra me e Korpisalo. Hanno puntato su di me e ora devo assumermi le responsabilità di un portiere titolare. Devo dire che in questo il club mi sta aiutando molto: è molto attento alle esigenze del mio fisico, mi permette di gestirmi come meglio credo. E gioco tanto».

Stai già pensando a cosa farai il giorno in cui il tuo contratto con i Blue Jackets terminerà? Nel 2026 avrai 32 anni…
«Onestamente non so ancora cosa mi riserverà il futuro. Anche se un po’ già ci penso. Mia moglie ed io ogni tanto ne parliamo. Ci piace vivere in Nordamerica, ma non sappiamo dove ci porterà la mia carriera, anche perché il giorno in cui appenderò i pattini al chiodo vorrei rimanere nel mondo dell’hockey. Mi piacerebbe allenare, per esempio. Prima parlavo di sogni: ho sempre detto che uno dei miei desideri più grandi sarebbe quello di portare un titolo a Lugano. Il club bianconero e la città mi hanno dato tutto e senza la famiglia Vassalli oggi non sarei sicuramente qui. In un mondo ideale vorrei terminare la mia carriera con il Lugano: vedremo se sarà possibile».

Oggi a Lugano c’è un altro giovane lettone, Roberts Cjunskis. Ci ha raccontato di aver trascorso un paio di mesi a casa di… Elvis Merzlikins, appena arrivato in Ticino. Te lo ricordi?
«Certo che me lo ricordo. Era un ragazzino che aveva intrapreso il mio stesso percorso e sono stato felice di dargli una mano. Avevo vissuto la stessa esperienza e sapevo che non è sempre facile lasciare casa e trasferirsi da un giorno all’altro in una realtà totalmente diversa. Ho visto che ora gioca regolarmente con la prima squadra e che ha anche segnato la sua prima rete in NL: sono fiero di lui, spero che continui così. Quando ho tempo seguo ancora il Lugano, guardo le “highlight” delle partite e faccio il tifo per i bianconeri. Anche se ovviamente non è più il Lugano che ho lasciato: tanti ex compagni hanno cambiato squadra, altri hanno messo un termine alla loro carriera».

A proposito di Lettonia. Hai vissuto da spettatore la conquista di una storica medaglia di bronzo della tua nazionale ai Mondiali casalinghi di Riga. Non ti è dispiaciuto non fare parte di quel gruppo?
«Questa è una lunga storia. Al termine della scorsa stagione ero davvero cotto. Ho detto alla Federazione lettone che preferivo rinunciare ai Mondiali, anche per preparare al meglio il campionato a venire. I Columbus Blue Jackets sono il mio datore di lavoro, ho degli obblighi e delle responsabilità nei loro confronti. Purtroppo tanti tifosi lettoni non hanno capito la mia decisione. L’hanno interpretata nel modo sbagliato, pensando che rinunciassi ai Mondiali solo per una questione finanziaria. Certo, in nazionale non si riceve uno stipendio, ma non ho mai vestito la maglia del mio Paese per una questione di soldi. Ho ricevuto tantissime critiche, anche feroci, che mi hanno fatto davvero male. La gente non sa che ero al bordo di una depressione, dovevo assolutamente ricaricare le batterie fisiche e mentali: non credo che sarei stato utile alla Lettonia, in quelle condizioni. Ho comunque vissuto con gioia ed emozione quello storico percorso, è stato qualcosa di eccezionale. Oggi sono di nuovo in forma e con la Federazione – come ho detto – non ci sono mai stati problemi».

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