L'intervista

Elvis Merzlikins: «Tornare a casa, a Lugano, è nei miei pensieri»

Chiacchierata con il portiere dei Columbus Blue Jackets in NHL, cresciuto nel club bianconero: «Senza l'HCL non sarei qui, per questo oggi sostengo la sua Fondazione Academy»
© AP/Nick Wass
Fernando Lavezzo
05.12.2025 06:00

Le gioie e i dolori della NHL, le prime Olimpiadi all’orizzonte, un futuro ancora denso di incognite e l’impegno per i giovani. Elvis Merzlikins, 31.enne portiere dei Columbus Blue Jackets cresciuto nel Lugano, si racconta.

Elvis, il tempo passa e stai già disputando la tua settima stagione in NHL. Da ottobre hai giocato 10 partite su 26, vincendone la metà. Qual è il tuo bilancio?
«Fin qui ho vissuto una stagione di alti e bassi. Non ho giocato quanto dovrei, ma le cose funzionano così. Questo è anche un business in cui entrano in considerazione tanti fattori. A volte non resta che stare in panchina e aspettare che torni il proprio momento, facendosi trovare pronti. Avevo iniziato bene, credo. Poi mi sono ammalato e l’altro portiere – il 24.enne canadese Jet Greaves – ha colto la palla al balzo. Per me è ovviamente una situazione difficile. Tutti vorrebbero giocare, ma la porta è una sola. Come dicevo, entrano in ballo vari fattori: l’età che avanza, il contratto in scadenza nel 2027. La NHL è la migliore lega del mondo e io vorrei godermela il più possibile, perché le partite sono sempre divertenti. Soprattutto quando si vince. Anche a livello di squadra stiamo procedendo tra alti e bassi. In un’altra Division, con gli stessi punti, saremmo più in alto. Nella nostra – la Metropolitan, molto tosta – ogni vittoria è pesante. Ed è stato bello festeggiare da titolare quella di lunedì contro i Devils. Un successo di squadra, in cui tutti hanno lottato gli uni per gli altri».

Quanta attesa c’è per le Olimpiadi, che segneranno il ritorno dei giocatori di NHL dopo 12 anni?
«I Giochi stanno dando a tutti una motivazione in più. Mettersi in evidenza significa avere più chance di essere convocati. Per quanto riguarda l’hockey, quelle di Milano saranno le Olimpiadi più belle da Sochi 2014. Lo spettacolo per i tifosi sarà eccezionale. Io, però, non ci sto ancora pensando. Lo dico toccando ferro, ma mancano tante partite e non si sa mai cosa può succedere. Normalmente dovrei essere ai Giochi con la Lettonia, e sarà fighissimo. Ma il mio focus non va così lontano. In questo momento le priorità sono altre. Poi, con l’avvicinarsi dell’evento, la trepidazione si farà sentire. Ho sempre sognato di giocare le Olimpiadi e il fatto che si svolgano a Milano, praticamente a casa mia, è fantastico. La pista è a un’ora e mezza da Lugano e confido di vedere qualche amico sugli spalti».

A proposito di Lugano: la squadra bianconera si è rilanciata…
«Purtroppo non ho tempo per vedere le partite, ma cerco di seguire almeno gli highlight. La classifica però non la guardo. Guardo poco anche quella della mia squadra, figurarsi quelle degli altri campionati».

Prima hai accennato al tuo contratto in scadenza nel 2027. Cosa ti riserva il futuro?
«È una bella domanda. Ci sono varie opzioni, diverse possibilità. E in questo momento non saprei proprio cosa rispondere. Dovrei tirare a indovinare. Ma il pensiero di tornare a casa c’è. Ne ho già parlato anche con mia moglie Aleksandra».

Giusto per essere sicuri: quando dici casa intendi…?
«Intendo Lugano. Vedremo cosa succederà e dove sarò. Gli scenari sono tanti e in NHL il mercato ha regole complesse. Magari un giorno verrò scambiato, o sarò libero di firmare dove voglio. Potrei finire in un’altra squadra negli USA oppure in Canada. Chi lo sa? Mi aspettano decisioni importanti. Di sicuro, una volta rientrato in Ticino, non tornerei più qui. Questo è chiaro per me e per la mia famiglia. In questi anni mia moglie ha seguito il mio sogno, mollando tutto per starmi vicino. Ora lei ha un sogno tutto suo: vorrebbe studiare psicologia. E potrebbe toccare a me assecondare i suoi desideri con le mie prossime scelte professionali».

Negli ultimi anni i Blue Jackets sono stati colpiti da due tragiche morti, quella del tuo amico e connazionale Matiss Kivlenieks nel 2021 e quella di Johnny Gaudreau nel 2024. Come ha reagito la comunità?
«Sono stati due colpi terribili. Tante persone, qui, si sentono ferite. Siamo feriti come club. Ma questo ci ha anche reso più forti, più uniti. Come squadra, abbiamo sentito il supporto della gente. Siamo diventati una famiglia, una cosa unica: da chi lavora in ufficio a chi guida la Zamboni, fino a noi giocatori. Anche con i tifosi ci siamo avvicinati molto, tirandoci su il morale a vicenda».

Domenica alla Cornèr Arena il Lugano ospiterà il Berna in una partita dedicata alla Fondazione Academy HCL, che sostiene finanziariamente il settore giovanile con l’obiettivo di avvicinare i giovani alla pratica dell’hockey fornendo un supporto anche nel percorso di formazione scolastica e professionale. Tu, dell’Academy HCL, sei diventato ambasciatore e la sostieni anche finanziariamente. Cosa rappresenta per te questo impegno?
«Significa tanto. Quando me lo hanno proposto, non ho dovuto pensarci. Ho accettato perché ci credo, ma anche per gratitudine verso l’HCL. Senza questo club, io non sarei dove sono oggi, a livello di opportunità e di educazione. Sono cresciuto senza niente e il Lugano mi ha dato tanto. Era logico ricambiare in qualche modo. Oggi, nella sezione giovanile dell’HCL, c’è sicuramente un piccolo Elvis che sogna di giocare a hockey, ma che deve far fronte a una situazione difficile. Magari la sua famiglia fa fatica. Mi ricordo quanto fosse ben organizzato il vivaio del Lugano: i viaggi in pulmino, il cibo garantito in ogni trasferta, l’impegno dei volontari. Da padre, apprezzerei che i miei figli ricevessero tutto questo dal loro club sportivo. Negli USA i genitori si fanno 6 o 7 ore d’auto per portare i loro bambini alle partite. E magari devono dormire fuori. A Lugano, mamme e papà sanno che i loro figli sono in buone mani. E che la sera torneranno a casa sani e felici. L’ultima volta che sono stato in Svizzera, inoltre, ho visto quanto si lavora bene nelle scuole hockey. Ne sono felice, perché un giorno i miei figli saranno nella sezione giovanile dell’HCL».

Come se la cava sui pattini il tuo primogenito Knox Matiss?
«Viaggia, viaggia. Ha 4 anni e in ogni momento libero lo porto alla nostra pista. Mi fa ridere vedere lui, così piccolo, in una grande arena di NHL. Alla sua età, io potevo al massimo pattinare sul lago. Sinceramente, non so se Knox Matiss abbia davvero l’indole del giocatore di hockey. Quando vado a prenderlo dopo i suoi allenamenti lo trovo sempre sdraiato sul ghiaccio a disegnare angeli di neve con le braccia. In porta non l’ho ancora messo, ma prima o poi proveremo…».