Monzon, vent'anni dalla morte del "Campeon"

L'argentino fu grandissimo nella carriera di pugile, ma dannato nella vita
Andrea Colandrea
08.01.2015 16:30

BUENOS AIRES - È considerato uno dei migliori pesi medi della storia della boxe, ma anche uno dei suoi eroi più dannati: Carlos "Escopeta" Monzon. Quest'oggi ricorre il ventennale della morte del più titolato pugile argentino di tutti i tempi, che divenne campione del mondo in un epico match nel lontano 7 novembre 1970 a Roma contro l'Italiano Nino Benvenuti e che negli anni a venire estasiò ovunque i cultori della nobile arte con un'impressionante sequenza di vittorie e di KO che ne fecero un'autentica leggenda.

Monzon, che prima di Benvenuti non aveva mai combattuto fuori dal Sudamerica (pur essendone il campione riconosciuto) e che per potersi misurare per il titolo iridato dei pesi medi dovette far capo a una colletta organizzata dal suo manager Tito Lectoure per poter prendere l'aereo verso l'Europa, nella sua carriera sconfisse i migliori pugili dell'epoca: Griffith, Bouttier, Tonna, Mundine, Napoles, Briscoe e Valdez. Furono anni di successo, di soldi (l'argentino divenne molto ricco) e di belle donne. Monzon, complessivamente, difese il titolo mondiale per ben sette anni in cui impose a tutti gli avversari il suo stile essenziale e l'incredibile potenza dei propri colpi, prima di ritirarsi a 34 anni suonati, con un palmares impressionante.

Geniale sul ring, si diceva, ma maledetto al di fuori del quadrato. Il momento più drammatico della vita del "Campeon", nato in una famiglia poverissima a San Javier il 7 agosto 1942, fu quando in preda ai fumi dell'alcol, irritato dall'ennesima, virulenta discussione con la terza moglie - la modello uruguaiana Alicia Muniz - percosse la donna violentemente fino al punto di strangolarla. Il corpo di Alicia fu poi trovato senza vita al di sotto del balcone della villa di un amico nella quale la coppia (già in crisi) aveva litigato e dove poche ore prima aveva tentato un riavvicinamento insieme al figlio di due anni Maximiliano, che al momento del delitto si trovava nella casa e stava dormendo.

Omicidio o fatalità? Monzon, è ormai storia, finì in carcere con l'accusa di aver ucciso in modo spietato la moglie e di averne gettato il corpo dal balcone, anche se il campione non si stancò mai di proclamare la propria innocenza, dichiarando che si trattò di un tragico incidente: di un fatto involontario, che lo distrusse nel profondo. L'eroe di un tempo fu presto scaricato tutti. Gli spettri del passato dell'eroe ammirato e osannato da tutta una nazione - povertà e violenza -ripescarono l'indio dagli occhi di ghiaccio, senza concedergli attenuanti. La morte di Alicia fu infatti l'inizio della fine per Monzon, che non si riprese mai da quel terribile ko inflittogli dalla vita lontano dal ring.

Rientrando dopo un permesso per buona condotta nel carcere di Las Flores, ormai 53.enne, e dopo aver scontato sette degli undici anni di carcere che gli erano stati inflitti dalla giustizia argentina per omicidio, Monzon finì fuori strada a velocità elevata, a bordo di una Renault, alla quale si trovava al volante con due persone a bordo, nei pressi del penitenziario: morì anche un suo amico di lunga data. Era l'8 gennaio 1995. Si spense per sempre la vita di un grande del ring. Un campione indiscusso della boxe mondiale, ma dannato da un destino inclemente.

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