Tilke: «La sfida? Far convivere traffico e F1 nei cittadini»

Ci siamo appena lasciati alle spalle il Gran Premio di Las Vegas. Ora mancano solo Qatar e Abu Dhabi. Tutti e tre i circuiti sono stati disegnati dal famoso architetto Hermann Tilke. A questi si aggiungono altri tracciati iconici come Austin, Sepang o Marina Bay. Il 70.enne tedesco ci racconta il dietro le quinte della realizzazione dei capolavori della Tilke Engineers & Architects.
Signor Tilke, lei è una leggenda vivente nel mondo della Formula 1. In special modo nel settore della progettazione dei circuiti. Tra una sua creazione e l’altra ha spesso menzionato la necessità di bilanciare tre aspetti chiave: spettacolarità, sicurezza e sviluppo dell’ambiente circostante la pista. Quale di questi è diventato predominante negli ultimi anni? E perché?
«Tutti e tre gli elementi sono sempre stati centrali, ma con l’andare del tempo la sicurezza è diventata indiscutibilmente il fattore dominante. Gli standard per la protezione dei piloti, le caratteristiche delle regole safety e le installazioni dei circuiti per tutelare i conducenti sono in aumento. Il tutto è molto positivo, ciononostante naturalmente esiste ancora un margine di miglioramento. Il nostro compito diventa quindi quello di adattare i progetti, ma senza compromettere la qualità della pista o le azioni di gara. Ad ogni modo non vedo questo aspetto come un ostacolo. Per me è una sfida. Anche il terzo punto, ovvero lo sviluppo dell’ambiente circostante, è importante. Non si tratta solo del circuito in sé, ma anche dell’esperienza offerta agli spettatori. I visitatori devono vivere un evento memorabile. Per renderlo tale, va curata la pianificazione logistica, i percorsi di accesso, le zone d’ingresso e, naturalmente, le varie fan zone. Da qui l’importanza nel trovare l’equilibrio tra questi tre compiti».
Con l’evoluzione della mobilità, e un’attenzione sempre più alta verso la sostenibilità, come cambierà il suo approccio alla progettazione dei circuiti?
«Questa domanda si collega naturalmente alla precedente. Rispettare gli standard di sicurezza, creare esperienze uniche per i fan, permettere gare spettacolari e fare tutto questo tenendo a mente la sostenibilità. Ecco le sfide principali. Vedo il motorsport come un motore d’innovazione. L’ingegneria e la competenza tecnica coinvolte sono di altissimo livello. Queste qualità generano un enorme potenziale per sviluppare e migliorare ulteriormente lo sport e ciò che lo circonda. Detto questo, è vero, il mondo dei motori sta cambiando, e i nostri circuiti si modificano con esso. Ecco perché anche noi lavoriamo basandoci su concetti innovativi con obiettivi di sostenibilità».
In passato ha detto che gli architetti dei circuiti possono influenzare la possibilità di creare una gara ricca di emozioni. In che modo il design di un tracciato influisce sull’emozione di una gara? E qual è il limite che non si può superare in nome dello spettacolo?
«La costruzione della pista è assolutamente cruciale per lo spettacolo in gara. Se le auto guidassero semplicemente in cerchio, sarebbe piuttosto noioso. Quindi il layout del circuito influisce enormemente sul “divertimento”. Lunghi rettilinei veloci, sezioni tecniche impegnative, curve strette, curve veloci, curve sopraelevate, tutto questo ha un ruolo cruciale in termini di spettacolo. Ma, come già accennato, tutto deve rispettare i requisiti di sicurezza. Alla fine ci sono esseri umani seduti in quelle auto, e il motorsport rimane un’attività pericolosa. Il nostro compito è dunque renderlo il più sicuro possibile senza perdere di vista il divertimento e l’emozione delle gare. Ma penso che l’uno non escluda l’altro. È impegnativo, sì, ma non impossibile da realizzare».
Quanto influisce il contesto economico locale (investitori, turismo, ecc...) sulle sue scelte progettuali? Detto altrimenti, come evita che l’essenza sportiva e tecnica venga oscurata dalle esigenze commerciali?
«Non ci occupiamo molto di questi aspetti. Il nostro focus è sulla pista in sé, sulle strutture circostanti - comprese le fan zone - e naturalmente sul lato sportivo delle operazioni e della gestione dell’evento. Alla fine, ogni progetto è diverso. Le persone in Medio Oriente, per esempio, danno valore a cose diverse rispetto ai progetti europei o statunitensi».
La sostenibilità, dicevamo, è ormai un tema chiave. Dal suo punto di vista, qual è ancora la sfida più grande prima che un circuito possa essere considerato veramente sostenibile?
«Ci sono requisiti piuttosto precisi da parte della FIA che noi, naturalmente, dobbiamo rispettare. La Federazione ha un obiettivo chiaro (ovvero raggiungere emissioni nette pari a zero entro il 2030), e penso che il motorsport sia sulla strada giusta per conseguirlo. Tra l’altro, come azienda abbiamo ottenuto il livello più alto dell’accreditamento FIA per la sostenibilità. Ed è qualcosa di cui siamo davvero orgogliosi».
Lei è stato un pioniere nella progettazione moderna dei circuiti di Formula 1. Guardando indietro, c’è un circuito sul quale oggi apporterebbe un grande cambiamento?
«No, direi proprio di no».
I circuiti cittadini sono diventati una parte importante dei calendari di Formula 1, ma lei li ha descritti come alcuni dei progetti più difficili da realizzare. Perché?
«Confermo quanto detto, i circuiti cittadini sono davvero impegnativi dal punto di vista del layout. Questo perché si è molto più limitati dalle strutture urbane e dalla rete stradale rispetto ai circuiti permanenti. E anche la costruzione è estremamente complicata. Immaginate di allestire una pista di 6 km in una città viva, con molto traffico, residenti e turisti. Già solo l’allestimento e il riasfaltamento richiedono mesi. E durante questi mesi bisogna fare tutto con il minor disturbo possibile per la città. Non si possono semplicemente isolare edifici dalla rete stradale. Bisogna trovare soluzioni uniche letteralmente a ogni angolo. E il lavoro continua anche durante l’evento: tra una sessione e l’altra in alcuni casi il circuito viene ripetutamente aperto e chiuso al traffico pubblico durante il weekend del Gran Premio. Questo significa assemblare e smontare continuamente alcune barriere. E ogni volta bisogna pulire la pista prima che le auto di F1 possano tornare sul tracciato. È una grande sfida logistica».
Qual è il progetto che rende l'azienda Tilke più orgogliosa?
«È una domanda che mi viene fatta molto spesso, ma onestamente non ho una pista preferita. Naturalmente ci sono progetti che spiccano nei miei ricordi, come Abu Dhabi, Spielberg, Jeddah, Las Vegas. Ma potrei citarne altri. Alla fine ogni progetto ha la sua storia, e noi siamo fieri di ciascuno di questi».
E qual è stato il progetto più difficile da realizzare? Sia per condizioni esterne, vincoli, problemi logistici o difficoltà riscontrate con i committenti.
«Ogni progetto ha avuto le sue sfide. In Malesia costruivamo la pista in una zona paludosa. A Gedda invece il problema era l’estrema ristrettezza dei tempi, mentre a Las Vegas lo sforzo logistico si è rivelato particolarmente intenso. Insomma, non ci si annoia mai (sorride, ndr)!».
Piano piano lei sta passando il testimone a suo figlio Alexander. Da diversi anni ormai operate fianco a fianco. Lavorare insieme come padre e figlio su progetti così prestigiosi deve creare una dinamica unica. Come gestite il passaggio della Tilke Engineers & Architects da una generazione all’altra?
«Innanzitutto confermo, è qualcosa di speciale lavorare a stretto contatto. Ci vediamo ogni giorno, discutiamo dei progetti e delle questioni interne all’azienda, prendiamo insieme decisioni grandi e piccole. C’è un forte livello di fiducia. Al momento non è ancora veramente in atto un passaggio di consegne. Lavoriamo ai progetti in modo paritario, completandoci a vicenda. Sono davvero orgoglioso di quanto bene funzioni questa relazione. Non è qualcosa che do per scontato».
