Hockey

«Per noi Landry la Coppa Spengler è anche un album di famiglia»

Eric, vice allenatore dell'Ambrì Piotta, e suo figlio Manix, attaccante dei biancoblù, ci raccontano le emozioni e i ricordi che da vent'anni li legano al torneo grigionese
Eric Landry festeggia con i figli Lukas (a sinistra) e Manix (a destra) la vittoria della Spengler nel 2008 con la Dynamo Mosca. © Keystone/Salvatore Di Nolfi
Fernando Lavezzo
28.12.2023 20:40

Domani alle 15.10 l’Ambrì Piotta tornerà in pista alla Coppa Spengler per il quarto di finale contro il Frölunda. Oggi i leventinesi si sono goduti la tradizionale giornata in famiglia sul ghiaccio esterno del centro sportivo grigionese. Un momento speciale anche per l’attaccante biancoblù Manix Landry, che su quella stessa pista, una ventina d’anni fa, mosse i primi passi con i pattini ai piedi, sorretto da papà Eric, oggi assistente di Luca Cereda. Li abbiamo incontrati.

Quanti ricordi

Nel 2008, quando Eric Landry vinse la Spengler con la Dynamo Mosca, il trofeo era diverso da quello attuale. Niente legno. Quattro bastoni da hockey trasparenti reggevano una sfera di cristallo. Se avesse provato a leggerci il futuro, l’attaccante québécois avrebbe visto sé stesso a 48 anni, sulla panchina dell’Ambrì, impegnato a dirigere il suo primogenito Manix durante lo stesso torneo grigionese: «Negli scorsi giorni, prima di salire a Davos, mio figlio mi ha detto di avere dei ricordi abbastanza nitidi legati alla mia vittoria con i russi nel 2008, quando lui aveva 6 anni», racconta l’ex head coach dei Ticino Rockets. «Ma non è tutto: è stato proprio qui a Davos, durante le mie prime due partecipazioni alla rassegna nel 2003 e nel 2004, che Manix ha visto per la prima volta la neve e ha mosso i primi passi con i pattini ai piedi».

«Ci sono tante bellissime foto scattate durante le giornate dedicate alle famiglie», interviene Manix. «Una delle mie preferite, però, è quella che ci ritrae nello spogliatoio, con il trofeo tra le mani. La coppa era più grande di mio fratello Lukas (ride, ndr.) e agli occhi di un bambino era l’oggetto più bello del mondo. Essere qui oggi, nella stessa squadra di mio padre, per provare a vincere il trofeo, mi regala emozioni indescrivibili. Per la nostra famiglia la Spengler significa davvero molto. Non è solo hockey. Sono momenti di vita. Ricordi d’infanzia. Le partite vengono trasmesse in diretta anche in Canada, dunque molti nostri parenti e amici ci stanno seguendo. Sarebbe bello poter affrontare il Team Canada nel corso del torneo».

Manix Landry (a destra con il numero 13) sotto gli occhi di papà Eric (a sinistra, in piedi sulla panchina). © Keystone/Melanie Duchene
Manix Landry (a destra con il numero 13) sotto gli occhi di papà Eric (a sinistra, in piedi sulla panchina). © Keystone/Melanie Duchene

La quinta volta

Eric Landry è un grande esperto di Coppa Spengler. Per l’assistente di Luca Cereda, quella di quest’anno è già la quinta partecipazione. La prima in panchina, dopo quattro da giocatore. Il suo esordio risale al 2003, quando il suo club, il Losanna, lo prestò al Davos per la settimana di fine anno. Con 5 gol e 5 assist in 5 partite, il québécois fu il topscorer del torneo. All’epoca 28.enne, segnò anche la prima rete della finale, poi persa 4-7 contro il Team Canada. Con la foglia d’acero sul petto, Eric prese parte alle edizioni del 2004 e del 2010 (quando era in forza all’Ambrì), ottenendo un terzo posto e perdendo un’altra finale. Il suo unico successo lo ottenne appunto nel 2008 con la Dynamo Mosca, club nel quale si era trasferito l’anno precedente. «Giocare la Spengler con tre squadre diverse mi ha permesso di vivere esperienze sempre nuove», racconta il vice biancoblù. «Il Davos, essendo il padrone di casa, era completamente a suo agio, immerso nel suo mondo. Io e gli altri rinforzi (tra i quali Oleg Petrov, ndr.) trovammo un ambiente rilassato. La Dynamo, invece, era la mia squadra, quella con cui giocavo da un anno e mezzo. Avevamo un sistema collaudato, venivamo da lontano e volevamo farci valere. Vincere fu stupendo. Nel Team Canada, invece, noi giocatori ci conoscevamo soprattutto per essere stati avversari in campionato e dovevamo trovare una buona intesa in poco tempo. Non era evidente, a volte neppure i coach ci conoscevano bene. La situazione con l’Ambrì, seppur dalla panchina, è molto simile a quella vissuta con la Dynamo. Sono qui con la mia squadra. Speriamo che anche il finale sia uguale». Per una nuova foto di famiglia con la coppa c’è sempre posto.

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