Girardelli: «Odermatt? È il personaggio di cui aveva bisogno lo sci»

Cento podi in Coppa del mondo. Otto dei quali a Wengen, in ben quattro discipline. Marc Girardelli è una leggenda vivente dello sci alpino. E, tra i 46 successi collezionati in carriera, conta anche quello nel superG disputato sul Lauberhorn nel 1994. Sino a domani, l’unico della storia. Con l’ex re del Circo bianco abbiamo discusso di questo e di tanto altro.
Signor Girardelli, dopo 28 anni Wengen tornerà a ospitare un superG maschile. Che ricordi ha del precedente - l’unico - da lei conquistato?
«Ricordo bene quella gara. Anche perché si è trattato di una delle mie ultime vittorie in Coppa del mondo. Riuscii a firmare il successo grazie alla strategia. Fisicamente, infatti, non ero più all’altezza. La schiena mi dava grandi problemi. Ma in quel superG era presente una sezione, prima dell’arrivo, dove era possibile fare la differenza. E così fu».
Eiger, Mönch e Jungfrau hanno fatto da cornice a sei suoi capolavori: in slalom (una volta), in discesa (due volte), in combinata (due volte) e - appunto - in superG. Amava questo pendio?
«Sì, ho sempre sciato con gioia a Wengen, una location che non ho mai smesso di apprezzare. Detto ciò, non è stata la mia pista preferita (Girardelli ha centrato 11 podi a Kitzbühel, ndr.). Le piste del Lauberhorn, comunque, erano ammantate da un velo di nostalgia. Come se il tempo non se la sentisse di progredire. Durante le ispezioni mattutine, ad esempio, ci si poteva imbattere nelle mucche in libertà. Una scena, questa, che ho sempre trovato molto divertente».
Wengen quest’anno ospiterà addirittura quattro prove: un superG, due discese e uno slalom. In questo modo non rischia di perdere il suo fascino?
«Non credo sia il periodo giusto per lamentarsi. Anzi. Bisogna solo essere felici di poter correre con regolarità. Ciò non toglie che, in futuro, la Coppa del mondo andrà in parte riorganizzata. E l’avvento di un nuovo presidente alla testa della FIS, in tal senso, potrebbe non essere una cattiva notizia».
A 24 anni Marco Odermatt è entrato a far parte dell’Olimpo dei gigantisti, imponendosi ad Adelboden. Il Chuenisbärgli, lei, lo seppe domare meglio di tutti a due riprese. Sabato si è emozionato per la vittoria del fenomeno elvetico?
«Vincere ad Adelboden, dove hanno trionfato Killy, Schranz, Thöni e Stenmark, è e sarà sempre qualcosa di spettacolare. Parliamo della storia dello sport. Non entusiasmarsi di fronte a essa è impossibile».

Sarebbe disposto a scommettere su una vittoria di Odermatt nel superG di domani?
«Io non scommetto, perdo sempre. Battute a parte, quello di Wengen è un superG piatto. A mio avviso, dunque, i discesisti godranno di un piccolo vantaggio».
Insistiamo. Odermatt è pronto anche a vincere in discesa? Sarebbe sorpreso se accadesse già venerdì o sabato?
«Odermatt ha già dimostrato di poter flirtare con un successo in discesa. E qualora la vittoria dovesse concretizzarsi sul Lauberhorn, beh, proietterebbe Marco al fianco dei più grandi. Il potenziale, di certo, non gli manca».
In che misura il talento nidvaldese assomiglia a Marc Girardelli?
«Non è la prima volta che mi viene chiesto un paragone con Odermatt. Personalmente, ritengo che ogni atleta sia unico. E Marco lo è veramente. La sua aura è già speciale. È come se facesse parte del circuito da molti anni. Lo sci alpino ha un tremendo bisogno di caratteri forti. Di personaggi nei quali identificarsi. Negli ultimi anni purtroppo ho osservato molti sciatori buoni, ma per certi versi innocenti. Di quelli che passano per strada senza essere riconosciuti. Ecco, Odermatt è diverso».


Lei è stato il re degli sciatori polivalenti. Marco Odermatt può diventarlo?
«Penso di sì. Tuttavia, non so se ciò sarà necessario. E mi spiego: io abbracciai tutte le discipline per tenere testa a Zurbriggen. Pirmin era troppo forte e gareggiare in sole tre specialità non mi sarebbe bastato per rivaleggiare in vetta alla generale. Di qui la decisione di lanciarmi anche in discesa, dove poi fui in grado di vincere. A Odermatt, in questo momento, è sufficiente imporsi in due, massimo tre discipline. Lo slalom, insomma, è tutto fuorché fondamentale per mettere le mani sulla Coppa del mondo. Se aggiungesse i paletti stretti nel suo programma, comunque, sono sicuro che darebbe del filo da torcere ai più forti».
Perché agli atleti di oggi non interessa competere in quattro discipline?
«Lo stress è eccessivo. Ma c’è anche dell’altro. Far parte della top 3 di una sola disciplina assicura molti più soldi che figurare nella top 15 in quattro specialità».
Le piace, dunque, questo sci fatto di tanti specialisti e pochi polivalenti?
«Per il sottoscritto non è un problema. Lo è, semmai, per il pubblico. Nel tennis, nel golf o ancora in F1, c’è solo un numero uno. Nello sci, al contrario, ne abbiamo uno in ogni disciplina. Ai quali vanno pure aggiunti i principali avversari. Ebbene: nessuno è in grado di ricordare i nomi di tutti i migliori sciatori, suddivisi per specialità. E, in termini di concorrenza con gli altri sport, questo è un grande problema d’immagine per lo sci alpino».


Lei come riuscì a vincere l’enorme sfida della polivalenza, rinunciando oltretutto alla corazzata austriaca per correre con il Lussemburgo?
«Nel mio caso tutto ruotava attorno a due persone: io e mio padre, che fungeva da allenatore. Una terza figura si occupava poi degli sci. In quegli anni non avvertivo il peso, estremo, generato dalla preparazione in quattro discipline. Ora, al contrario, me ne rendo pienamente conto. In assenza di una squadra alla quale appoggiarmi, all’epoca bruciai tanta energia. Forse troppa. E ciò per tutta una serie di attività inutili. Poter contare su un’organizzazione è di gran lunga preferibile. Anche solo per tessere relazioni sociali, creare amicizie. E, di riflesso, sviluppare molto più velocemente la propria carriera».
Wengen, dicevamo, ospiterà quattro gare. Sarebbe favorevole a concentrare più prove sulle migliori piste del circuito, evitando così delle scene imbarazzanti come quelle viste a Zagabria? O ritiene giusto che gli atleti continuino a spostarsi da un lato all’altro dell’Europa solo per una prova?
«A conti fatti, la Coppa del mondo è la grande ambasciatrice dello sci alpino. Promuove il turismo legato a quest’attività e per questa ragione è corretto che abbracci più Paesi possibili. Certo, non ogni gara può essere perfetta o quasi come accaduto nel weekend ad Adelboden. Zagabria è stata sfortunata, succede. Non dimentichiamo che lo sci è uno sport all’aperto. Ma immaginatevi il Mondiale di Formula Uno che si disputa in un solo circuito. È impensabile. No, lo sport - sci compreso - deve essere presente in tutto il pianeta».
A proposito: alle porte ci sono le Olimpiadi di Pechino. Crede che il Circo bianco dovrebbe aprirsi maggiormente all’Asia, come auspicato da Didier Défago in una recente intervista a Le Temps?
«Sono d’accordo. Di più: sono sicuro che accadrà, anche se ci vorranno ancora alcuni anni. Lo sport unisce le persone. Perché - quindi - non metterlo in mostra e installarlo in altre parti del mondo?».