Il caso

Se la Russia fa scacco matto all’Europa

A inizio mese la Federazione scacchistica russa è entrata a far parte della confederazione asiatica, staccandosi dalla controparte europea - Una reazione alle sanzioni legate alla guerra in Ucraina, che potrebbe fare scuola - Lorenzo Longhi: «È plausibile che altre federazioni facciano lo stesso»
La portata dell’evento, seppur passato sottotraccia alle nostre latitudini, è storica. © Shutterstock
Nicola Martinetti
23.03.2023 06:00

La notizia è passata quasi inosservata. Sottotraccia, salvo agli occhi degli addetti ai lavori. Quando invece, per il suo peso specifico, avrebbe dovuto fare rumore. Molto rumore. Da inizio mese, infatti, la Federazione scacchistica russa è entrata a far parte della confederazione asiatica. Dando uno schiaffo alla controparte europea e alle sue sanzioni, figlie del conflitto armato attualmente in corso tra Russia e Ucraina. «La portata dell’evento è indubbiamente storica - ci conferma Lorenzo Longhi, giornalista ed esperto di sport e geopolitica per Treccani e Avvenire -. Soprattutto in virtù di un presente che conosciamo bene, e di un aspetto che non va mai dimenticato. Ovvero che noi, tuttora, siamo abituati a considerare lo sport su paradigmi che sono sostanzialmente novecenteschi. E quindi quando qualcosa cambia all’interno di queste relazioni, di solito fa un certo effetto. In questo caso molto meno, ed è un’anomalia, poiché gli scacchi - seppur noti in tutto il mondo - non hanno un grandissimo seguito alle nostre latitudini. Di qui il silenzio che è parso avvolgere la notizia».

Tra geografia e diplomazia

Il cammino intrapreso dalla Federazione scacchistica russa, va da sé, è pregno di significati che esulano dall’ambito sportivo, sfociando nella politica e nell’economia. «Passare da una confederazione a un’altra, a tal proposito, è sintomatico - prosegue Longhi -. Per quanto concerne questo caso specifico, parliamo evidentemente di una convenienza a 360 gradi rispetto alla costellazione venutasi a creare dopo l’avvento del conflitto russo-ucraino. La mossa, insomma, potrà forse aver spiazzato qualcuno. Ma in generale, a mio avviso, era quasi prevedibile. Del resto negli scorsi mesi in più discipline era stata paventata questa possibilità. Proprio perché rispetto ai divieti e le restrizioni imposte dalle varie confederazioni europee, quelle asiatiche si erano da subito mostrate più aperte. Anche perché per quanto concerne ad esempio gli scacchi, l’ingresso di una superpotenza come quella russa porterà soltanto benefici dal punto di vista puramente agonistico».

Guarda caso, tuttavia, al netto dei valori sportivi, determinate dinamiche ricalcano le relazioni tra Paesi sul fronte diplomatico. «Non è un segreto che in questo momento la Russia, se deve cercare delle sponde, le può trovare soltanto in Asia. La recente visita a Mosca di Xi Jinping, presidente della Repubblica Popolare Cinese, è eloquente in questo senso. In aggiunta, sottolineerei però un dato di fatto, ovvero che oltre il 70% del territorio russo (il 77%, ndr) si trova effettivamente sul continente asiatico. Sebbene il 75% della popolazione viva nella porzione europea, dunque, quantomeno dal punto di vista geografico vi sono motivazioni legittime che supportano e giustificano gli eventuali cambi di confederazione. Fermo restando che come accennato in precedenza, quanto accaduto nel mondo degli scacchi è figlio delle sanzioni conseguenti alla guerra in Ucraina, e non di un vero e proprio senso di appartenenza territoriale».

Un esempio da poter seguire

La domanda, ora, sorge però spontanea: le federazioni russe delle altre discipline, compreso ad esempio il calcio, seguiranno l’esempio di quella scacchistica? «Non dispongo di una sfera di cristallo, dunque è difficile azzardare ipotesi in tal senso - afferma scherzosamente Longhi -. Si possono comunque fare un paio di considerazioni. La prima è che gli sport non olimpici, come appunto gli scacchi, incontrano un minor numero di complicazioni rispetto agli altri nel caso di un’eventuale cambio di confederazione. Questo perché la presenza di un’istituzione apicale forte come il Comitato Olimpico Internazionale (CIO), con le sue linee guida, influenza la posizione delle singole federazioni internazionali. Un discorso che, va da sé, vale anche per la FIFA nel calcio e tutte le altre massime istituzioni. La seconda considerazione che possiamo fare concerne invece l’arco temporale della guerra attualmente in corso. Qualora il conflitto dovesse proseguire ancora per mesi, o addirittura anni, è plausibile che altre federazioni russe decidano di muoversi e abbracciare la causa asiatica per evitare di perdere competizioni ed eventi internazionali. In questo senso sarà interessante vedere se e come il CIO interverrà sulla vicenda nel breve-medio termine. Sappiamo che, per esempio, sta attualmente valutando un accantonamento della linea dura sin qui portata avanti, in favore di sanzioni meno stringenti. Con la conseguente possibilità di far gareggiare gli atleti russi - sotto bandiera neutra - anche negli sport dove sono attualmente banditi. Durante il prossimo anno mi aspetto insomma che il quadro si delinei con maggiore chiarezza».

Un mondo destinato a cambiare

Nel caso in cui lo status quo dovesse tuttavia permanere, qualcuno ipotizza addirittura un clamoroso ritorno al passato. Ai tempi delle Spartachiadi dell’Unione Sovietica, ad esempio. Le quali, organizzate in risposta ai classici Giochi olimpici, avevano a loro tempo ulteriormente diviso lo sport mondiale, definendone confini e spaccature. Uno scenario oggi impensabile? «Mi verrebbe da dire che ci siamo quantomeno lontani, ma io tendo a non escludere mai un’ipotesi. Anche perché l’idea di una manifestazione simile alle Spartachiadi è effettivamente emersa nel corso degli ultimi mesi. Alla luce di tutto ciò, vorrei allora avanzare una riflessione. Ovvero che il paradigma novecentesco di cui parlavo in apertura, che abbiamo sempre considerato immutabile, in realtà non è indifferente ai cambiamenti. Come quelli innescati, negli ultimi decenni, dalla globalizzazione, dal capitalismo e - in ultima istanza, pochi mesi fa - dal conflitto russo-ucraino. Lo sport, in parole povere, evolve - non necessariamente nell’accezione darwiniana - con la geopolitica. E la sua visione universale, ormai data per assodata da quasi un secolo, anche perché auspicata dalle grandi federazioni, in realtà non è inscalfibile. Oggi siamo abituati - anche troppo - all’immutabilità delle Olimpiadi, dei Mondiali, degli Europei, dei Giochi asiatici e via dicendo. Ma non è detto che l’attuale costellazione sia destinata a durare per sempre. Il concetto “si è sempre fatto così, quindi si continuerà a fare in questo modo”, a mio avviso, verrà a cadere nel corso del prossimo ventennio. Quantomeno parzialmente» chiosa Longhi.

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