Calcio

«Sulle orme di Haaland e Frei lavoro per realizzare i miei sogni»

Il giovane attaccante elvetico Bradley Fink, da molti indicato come il futuro della Nazionale rossocrociata, si racconta dal suo primo ritiro con la U21 di Patrick Rahmen
© Keystone/Ennio Laenza
Nicola Martinetti
22.09.2022 06:00

Tre anni fa, quando era ancora sedicenne e militava nelle giovanili del Lucerna, lo hanno cercato sedici grandi club europei. Alla fine la sua scelta è ricaduta sul Borussia Dortmund, dove è cresciuto osservando da vicino il fenomeno norvegese Erling Haaland. Da poche settimane Bradley Fink ha fatto ritorno in Svizzera, dove con la maglia del Basilea - e ora anche della Nazionale U21 - insegue un futuro da predestinato.

Bradley, dopo aver fatto tutta la trafila nelle selezioni giovanili rossocrociate, ora per la prima volta sei stato inserito nella formazione U21, anticamera della Nazionale maggiore. Cosa provi?

«Mi sento onorato, è stupendo essere qui a Marbella (Spagna, ndr) con il resto del gruppo, che mi ha accolto benissimo. Mi sento a casa, come del resto era già accaduto in passato con le altre selezioni. La Nazionale U21 sta aprendo un nuovo ciclo sotto la guida di Patrick Rahmen, dopo l’ottimo lavoro svolto da Mauro Lustrinelli. E per me è importante essere presente fin dal primo giorno di questa nuova “era”. Voglio dimostrare il mio valore, sia in campo sia fuori, già a partire dall’odierna amichevole contro il Giappone».

Hai soltanto 19 anni, eppure sembra che si parli di te già da una vita. Il tuo nome è infatti stato spesso accostato al futuro della Nazionale maggiore, da tempo in cerca di una prima punta di peso. Come hai convissuto e come convivi tuttora con questa attenzione, e la pressione che ne consegue?

«È semplice: non è affatto un problema, perché in realtà mi piace parecchio. E anzi, spero che in futuro - grazie alle mie prestazioni - queste discussioni si intensifichino ulteriormente. È bello quando la gente parla di te in quest’ottica, riponendo grandi aspettative nei tuoi confronti. Per quanto mi riguarda, si tratta di un’enorme motivazione. Sono affamato e voglio continuare su questa strada per realizzare i miei sogni, sia con il mio club sia in Nazionale».

Grazie a tua madre Yvonne, originaria di Liverpool, possiedi anche la cittadinanza inglese. Quanto sei legato a quel ramo della tua famiglia?

«Direi moltissimo. Ho un bel rapporto con i miei parenti oltremanica, che solitamente vado a trovare per le festività natalizie, anche se recentemente la pandemia ha messo i bastoni tra le ruote a questa nostra tradizione. Anni fa si sono trasferiti a metà strada tra Manchester e Londra, ma la città di Liverpool resta sempre nel nostro cuore. Non a caso seguo da vicino la Premier League inglese, tifando per i Reds di Jürgen Klopp, la mia squadra del cuore fin da ragazzino».

In virtù di questo grande attaccamento alle tue radici, non hai mai pensato di vestire la maglia dei «Tre Leoni» a livello internazionale?

«Ai tempi in cui militavo nella SvizzeraU17 e mi ero appena trasferito a Dortmund, la federazione inglese mi ha contattato mostrando interesse nei miei confronti. Mi hanno chiesto se mi andava di prendere parte a un campo d’allenamento con la loro U17. Io però ho declinato, perché avevo già deciso da tempo che la cosa migliore per me era scegliere una selezione e poi proseguire con quella, senza invertire la rotta in corso d’opera. Sono nato e cresciuto in Svizzera, adoro il nostro Paese e il nostro popolo. Per questo motivo ho scelto di difendere con orgoglio i colori rossocrociati».

A Dortmund hai potuto osservare da vicino un altro giovane attaccante col doppio passaporto e la cittadinanza inglese: il norvegese Erling Haaland. In molti nella Ruhr, per fisico - entrambi sopra il metro e novanta - e ruolo, ti vedevano come il suo erede naturale...

«È un paragone che mi ha sempre onorato, ma era oggettivamente difficile raccoglierne il testimone una volta ufficializzata la sua partenza da Dortmund. Lui infatti è giunto in Bundesliga dopo una gavetta tra i professionisti con Bryne, Molde e Red Bull Salisburgo, mentre io fino a lì avevo sempre e solo militato nelle formazioni giovanili. Di qui il mio addio ai gialloneri, per accasarmi al Basilea. Nei miei tre anni in seno al Borussia, comunque, ho appreso molto da Erling. Sia nelle sporadiche sedute d’allenamento che ho trascorso al suo fianco, sia osservandolo giocare ogni weekend. È una punta fenomenale, e il modo in cui attacca lo spazio con le sue accelerazioni è da esempio per tutti i giovani che aspirano a fare bene. Per non parlare della sua leadership e del modo in cui riesce a sfruttare il suo imponente fisico per farsi strada nelle difese avversarie. Sono tutte lezioni che ho fatto mie, e che in futuro proverò a sfruttare per crescere ulteriormente».

Quando hai lasciato le giovanili del Lucerna nel 2019 c’erano 16 grandi club pronti ad accoglierti nella loro «cantera». Considerando il fatto che per finire non hai mai debuttato con la prima squadra del Borussia Dortmund, sei deluso della scelta fatta?

«No, per niente. Certo, mi rattrista non essere riuscito a scendere in campo al Signal Iduna Park, davanti al famoso Gelbe Wand («il Muro giallo», la curva giallonera, ndr) e il resto degli oltre 81.000 spettatori che riempiono lo stadio del Borussia. Ma è altresì vero che almeno un paio di amichevoli con la prima squadra le ho disputate, e che in Germania ho continuato a progredire, vincendo anche il Campionato Primavera. A volte nella vita bisogna accettare ciò che ci viene concesso. Ho lasciato Dortmund senza rimpianti».

E dopo l’esperienza in Germania hai scelto di tornare in patria, firmando un quadriennale con il Basilea. Perché?

«Sentivo che era giunto il momento di misurarmi in una realtà professionistica e i renani mi hanno offerto un’opportunità incredibile. Parliamo infatti di un club che in patria punta a vincere ogni competizione a cui prende parte, e che disputa anche le coppe europee. Non sono sempre sceso in campo, ma ritengo che le mie prime settimane con i rossoblù siano fin qui state positive. Mi sto pian piano adattando alla SuperLeague, un campionato molto più fisico rispetto a quelli ai quali ero abituato. Ci vorrà ancora un po’ di pazienza, ma lavoro sodo per ridurre il “gap”».

Quanto ha influito sulla tua scelta il fatto che sulla panchina dei renani si è recentemente seduto Alexander Frei, capocannoniere della Nazionale elvetica e grande ex attaccante?

«Direi moltissimo. Tutti lo conoscono, in Svizzera e all’estero. Ho parlato con lui prima della firma con i rossoblù e il feeling che si è subito creato mi ha spinto a voler lavorare con lui. Sento che posso imparare molto sotto la sua ala».

Considerando il suo passato e le tue aspirazioni, un buon auspicio?

«Speriamo che sia un segno del destino (sorride, ndr). La combinazione sulla carta è ottima. Vedremo che risultati produrrà sul campo».