La parabola di Carlitos Alcaraz, il meno terraiolo degli spagnoli
Doveva essere il Roland Garros di Jannik Sinner e in parte lo è pure stato. In parte, solo. Certo, l’italiano ha lasciato Parigi da nuovo numero 1 al mondo – il primo italiano della storia sul tetto del mondo – ma avrebbe probabilmente atteso ancora un po’ prima di scalzare Novak Djokovic, in cambio di un trionfo alla Porte d’Auteuil.
La terra parigina – grazie al trionfo di Carlitos Alcaraz - resta allora una terra di conquista spagnola. Manuel Santana negli anni sessanta, Andrès Gimeno nel 1972, poi Sergi Bruguera, Carlos Moya, Albert Costa, Juan-Carlos Ferrero (l’allenatore di Alcaraz) e, ovviamente, sua maestà Rafael Nadal con i suoi 14 titoli.
È già entrato nella storia, Alcaraz. A 19 anni e 4 mesi era diventato il più giovane numero 1 della classifica ATP; ora è anche il più giovane vincitore di tre Grandi Slam su tre superfici diverse. Numeri che nemmeno Federer, Nadal e Djokovic sono riusciti a raggiungere.
L’omaggio di Rafa, l’idolo Roger
Tra i vincitori spagnoli al Roland Garros, Alcaraz è forse il meno «terraiolo» di tutti. Non è un caso che abbia vinto gli US Open e Wimbledon, prima di dominare sulla terra parigina. D’altra parte sulla rete circola un video di un Carlitos 12.enne che ammette candidamente di avere Federer, come idolo. «Il mio sogno – diceva allora – è vincere il Roland Garros e Wimbledon. Da piccolo correvo a casa dopo la scuola per guardare in televisione lo Slam parigino, adesso sono qui ad alzare il trofeo», ha poi affermato commosso dopo aver battuto Alexander Zverev in finale.
Il sogno è diventato realtà. «Cuore, testa e… campione!», ha pubblicato Nadal sul suo profilo Instagram. Ha trovato il suo erede, il toro di Manacor.
Margini di crescita
Eppure no, Alcaraz non è un terraiolo puro. È un campione completo, solidissimo da fondo campo e creativo al tempo stesso. Sa variare i colpi, rallenta e accelera a suo piacimento, e sa il fatto suo anche a rete. Al Roland Garros ha inoltre ancora una volta confermato di avere un mentale di acciaio, nonostante abbia solo 21 anni: sia in semifinale contro Sinner, sia nell’atto conclusivo, si è ritrovato sotto di due set a uno. Non si è minimamente scomposto: anzi, è stato in grado di alzare il livello del suo gioco per andare ad imporsi alla quinta frazione. Senza mai tremare.
E la netta impressione è che abbia ancora ampi margini di miglioramento. Lo confermano le parole di Ferrero: «Nessuno è maturo a 21 anni. Non ho più bisogno di stargli addosso come quando aveva 15 o 16 anni, però posso e devo aiutarlo affinché capisca come crescere ancora. Lo sviluppo di un giocatore non deve mai arrestarsi, perché altrimenti subentrano noia e demotivazione. Non sono suo papà: sono il suo coach, a volte mi trasformo in un amico. Ma il ruolo di padre lo lascio a suo papà».
Il più complicato
Un papà – entrambi con gli occhi lucidi – che Carlitos ha ringraziato in mondovisione, «per i sacrifici e il supporto che mi avete sempre dato, fin da quando ero piccolo, e che ancora mi date seguendomi sul circuito o sostenendomi da casa quando non potete essere con me».
E pensare che – come Sinner, d’altra parte – era arrivato a Parigi con tanti dubbi legati alle sue condizioni fisiche. I dolori all’avambraccio, che lo avevano costretto a rinunciare a parecchi tornei di preparazione, non lo lasciavano tranquillo. «È stata dura – ha ammesso – gestire questa situazione, non sapere se e quanto allenarmi. Ma insieme al mio staff abbiamo fatto un ottimo lavoro. Abbiamo discusso tanto, con Ferrero, trovando il modo giusto per arrivare pronti qui».
Dubbi che assillavano lo stesso allenatore valenciano: «Carlos è arrivato a Parigi in debito di ritmo. Le partite al meglio dei cinque set lo hanno aiutato a ritrovare le migliori sensazioni».
E Carlitos si è così messo in tasca il suo terzo Major: «Sognavo di vincere qui da quando avevo cinque o sei anni. Il successo all’US Open mi ha permesso di diventare numero 1 al mondo e il primo successo in un torneo del Grande Slam non si scorda mai. Anche il trionfo a Wimbledon è stato incredibile: battere Djokovic in cinque set, in finale, è stato qualcosa di molto speciale. Questo Roland Garros mi rende però particolarmente fiero: l’avvicinamento è stato parecchio complicato, nemmeno io sapevo esattamente cosa attendermi».
I nuovi fenomeni
A Parigi è probabilmente definitivamente finita un’epoca. Per la prima volta da vent’anni a questa parte, in semifinale non c’erano né Federer (ovviamente…), né Nadal, né Djokovic. E sta sempre prendendo più forma la rivalità che dovrebbe caratterizzare il tennis che verrà. I due nuovi fenomeni si chiamano Sinner e Alcaraz. «Normalmente – ha spiegato Ferrero – saranno loro due a dominare il tennis del prossimo decennio. Ma sarebbe un errore sottovalutare altri giocatori, che hanno già dimostrato di avere grandi qualità. L’obiettivo per noi è quello di portare Carlos a diventare un’icona del tennis dei prossimi anni, però c’è Sinner. E non solo Sinner». La mente corre allora già a Wimbledon: Alcaraz a Londra ha un titolo da difendere, Sinner un posto da numero 1 da onorare e una rivincita da prendersi.