L’intervista

Paolo Bertolucci: «Caro Roger, non mi hai fatto dormire»

L’ex tennista italiano ritorna sull’epica finale di Wimbledon fra Djokovic e Federer
Roger Federer immortalato di spalle, sullo sfondo l’erba di Wimbledon. (Foto Keystone)
Marcello Pelizzari
16.07.2019 06:00

«Se Federer è riuscito a dormire dopo la finale? Beh, di sicuro io non ho chiuso occhio». Parole e musica di Paolo Bertolucci, classe ‘51, ex numero 12 del ranking ma soprattutto vincitore della Davis con l’Italia nel 1976 a Santiago del Cile. L’ultimo atto di Wimbledon, lui, l’ha commentato per Sky. Poi ne ha riferito sulla «Gazzetta». «È come se Roger e Djokovic stessero ancora giocando» dice.

Signor Bertolucci, iniziamo dalle emozioni: è stato difficile commentare una finale del genere?

«Indubbiamente. Per molti è stata una delle partite più emozionanti di sempre. Di sicuro è fra le prime quattro o cinque che ho avuto la fortuna di commentare dal vivo. Per la location, perché appunto si trattava di una finale, perché Federer ha quasi 38 anni e perché giocava contro un altro mostro. Ecco, chiariamo subito una cosa: lui, Djokovic e Nadal non sono normali. Non hanno niente di umano. Sono tre fenomeni. Negli anni si sono aiutati a vicenda per alzare di continuo i rispettivi rendimenti, fino a raggiungere vette impossibili. Ma è anche vero che si sono tolti un sacco di trofei. Se Djokovic, Nadal o Federer non si fossero mai incrociati, avrebbero vinto almeno quaranta Slam».

Lei ha giocato ai massimi livelli: le gesta di questi fenomeni le fanno ancora più impressione?

«Rispetto ai miei tempi è cambiato tutto. Dai metodi di allenamento alla dieta da seguire. I giocatori oggi hanno un team al loro seguito mentre noi giravamo da soli. È cambiato tutto, ripeto: attrezzo, corde, scarpe, palle. È normale allora che ci siano stati dei miglioramenti a livello di performance. Questi tre però hanno esagerato. Lo dico da sempre: il resto del circuito è formato da campioni e atleti di alto livello. Umani. Roger, Nole e Rafa non appartengono alla razza umana».

Già, nessuno sarebbe in grado di reggere una finale di Wimbledon a quasi 38 anni. Tranne appunto Roger.

«Siamo fuori da ogni logica. Avesse vinto, sarebbe stata la grandezza eterna per lui. Battere Rafa Nadal e Djokovic uno dietro l’altro, in semifinale e in finale, a quasi 38 anni, dopo una partita epica. Se avesse chiuso sul 9-7 al quinto avrebbe dovuto posare la racchetta e dire: io vi ringrazio signori, ho finito la mia missione sulla terra e torno da dove sono venuto. E io, è bene ribadirlo, non so da dove arrivi uno come Federer. Evidentemente gli dei del tennis hanno deciso in un altro modo. Del tipo: no, aspetta, questo fenomeno teniamolo qui un altro po’ e godiamone ancora. Prendiamola così la sconfitta».

Paolo Bertolucci, ex tennista italiano oggi commentatore per Sky e «Gazzetta dello Sport». (Foto Web)
Paolo Bertolucci, ex tennista italiano oggi commentatore per Sky e «Gazzetta dello Sport». (Foto Web)

In tanti, all’indomani, si interrogano sul futuro di Federer: avrà la forza mentale per rialzarsi e puntare a nuovi obiettivi? Sconfitte del genere pesano come macigni nella testa.

«In molti mi chiedono se Roger avrà o meno dormito la notte dopo la finale. Di sicuro ho dormito poco anche io. Anzi, non ho chiuso occhio. Avevo addosso l’adrenalina della partita. Perdere così fa male. È dura da accettare. Ma è pur vero che simili dispiaceri Federer li ha spalmati in vent’anni di carriera. E tanti ne ha rifilati agli avversari. Parliamoci chiaro: era una finale di Wimbledon. Per come si è sviluppata e per come è maturata la sconfitta, questo kappaò peserà di più nella testa di Roger. E ogni volta, beh, fai più fatica a rialzarti. Ma Federer ci ha smentito mille volte. Sono sicuro: ci sarà anche la milleunesima».

Quindi si aspetta di rivedere il Maestro carico e sul pezzo?

«Finché avrà voglia, perché no? La classe tanto non la perde. Insomma, finché avrà voglia di alzarsi la mattina e finché sentirà le farfalle nella pancia quando si avvicina una partita, Roger Federer sarà competitivo. Il giorno in cui farà fatica a prendere la borsa per andare a giocare e allenarsi, dirà basta. E saranno lacrime per tutti gli appassionati di tennis».

Quelli della nuova generazione devono aspettare che i grandi escano di scena, oppure che calino un po’. I due più vicini, anche se la forbice è ancora abbastanza ampia, a mio avviso sono Tsitsipas e il canadese Auger-Aliassime

Parlavamo degli altri: perché possono soltanto accarezzare la grandezza dei big 3? Cosa manca loro, fisico o testa?

«Entrambe le cose. Di base, quelli della nuova generazione devono aspettare che i grandi escano di scena, oppure che calino un po’. I due più vicini, anche se la forbice è ancora abbastanza ampia, a mio avviso sono Tsitsipas e il canadese Auger-Aliassime. Ma finché i grandi tre non faranno un passo indietro, gli altri dovranno accontentarsi di stare in lista d’attesa. Il volo è pieno».

Piccola parentesi: Federer è amatissimo in Italia. Da italiano, potrebbe dirci come mai?

«Federer è nostro da vent’anni. E voi non avete idea di cosa è accaduto in Italia in occasione della finale. La gente ha perso la testa, è impazzita. Mi dicono che c’è chi ha spaccato il televisore. Nemmeno per un nostro atleta ci comportiamo in questo modo. Non saprei fornire una spiegazione al fenomeno. Forse non c’è. O forse c’è ed è semplicissima: Federer è sì un atleta svizzero, ma è un cittadino del mondo. Le persone hanno pianto per lui in Italia come in Giappone».

A proposito di Italia. Come giudica finora la stagione degli atleti azzurri?

«Direi che ci siamo comportati bene. Il movimento può finalmente contare su un top10 come Fognini. Ha impiegato tanto tempo per esprimersi e trovare una certa continuità. La qualità l’ha sempre avuta invece. E poi c’è questo Berrettini, esploso proprio quest’anno. Ha soltanto 23 anni ma è un ragazzo che dimostra già molta maturità. È capace, volitivo. Dirò di più: i vari Del Potro, Wawrinka, Isner e compagnia bella non sono esattamente di primissimo pelo, per forza di cose un domani dovranno lasciare spazio ai più giovani. Per questi motivi, penso che fra un anno anche Berrettini si affaccerà alla top10».

Lei si rivede in qualche talento italiano?

«Forse un pochino in Fognini, però il tennis è cambiato. È troppo diverso se paragonato a quello dei miei anni. Non si possono equiparare le due epoche. Oddio puoi farlo, ma sono chiacchiere da bar. In tutti gli sport nei quali c’è una misura o nei quali c’è un cronometro, gli atleti attuali sono migliori. Non vedo per quale motivo nel tennis debba essere il contrario»

Il tennis è cambiato, dicevamo. Di riflesso è cambiato anche Wimbledon, con l’introduzione del tie-break al quinto set sul 12-12. Ha gradito questa novità o avrebbe preferito un duello vecchio stampo all’infinito?

«Sarebbe stato bello se Roger e Novak fossero andati avanti in eterno. Nella mia testa stanno ancora giocando. Il tennis è spietato, eppure quella era la classica partita da X. Pareggio tutta la vita. Ma è proprio la natura spietata di questo sport a renderlo così bello e avvincente. Uno dei due alla fine avrebbe dovuto vincere. Trovo comunque ridicole alcune cose legate a questa regola e alle modifiche nel doppio».

Quali?

«Si è fatto di tutto per accorciare i tempi del doppio, ma poi vedi Wimbledon e ti accorgi che alcuni match in coppia sono più lunghi dei singolari. Seconda cosa: i quattro Slam devono uniformarsi. O tu togli completamente il tie-break, o lo prevedi sul 6-6 o ancora sul 12-12. Fai quello che ti pare, ma fai in modo che le quattro prove principali del circuito non abbiano quattro regolamenti diversi in materia. La trovo una cosa ridicola per non dire assurda».

C’è un’immagine che ha fatto il giro del mondo tramite social network: Federer e Nadal si stanno prendendo a pallate in semifinale e un bambino, in tribuna, sembra non curarsene preso com’è dalla lettura di un libro. Al di là delle emozioni che trasmettono ai più, i match di tennis non durano troppo?

«Da appassionato, resto della mia idea: non volevo che questa partita finisse. Mi sono beccato sia del pro Federer sia del pro Djokovic, tanto ero preso. Detto ciò, pensate se questa sfida fosse stata non la finale ma la semifinale. Tradotto: due giorni dopo Djokovic sarebbe entrato in campo per l’ultimo atto e, irreparabilmente, sarebbe caduto di fronte al suo avversario. Nonostante un fisico della madonna. È accaduto diverse volte a Wimbledon ma la gente ancora non lo ha capito. È tutto molto bello, davvero. Hai la sensazione di una sfida infinita. Però non vedo perché bisogna chiedere così tanto ad un atleta. È disumano. Sul 12-12 hai giocato 6 set in pratica».