«Artioli non ha tutti i torti, non demonizziamo lo sfitto»

L’imprenditore immobiliare Stefano Artioli, CEO della Artisa, in una intervista apparsa oggi sul Corriere del Ticino ha fatto delle affermazioni forti, che in certo senso vanno contro il comune sentire. «I media - ha detto - raccontano le storie a metà. In Ticino gran parte dello sfitto del 2% è generato dal settore del lusso, un mercato che va esaurendosi perché ci sono sempre meno russi e italiani che arrivano per affari. Poi un po’ di sfitto significa concorrenza, che fa bene al settore. Negli anni ’70 era al 4%. Ci sono molti edifici mai rinnovati, per cui ben venga ora la concorrenza del nuovo». Come considerano gli altri esperti del ramo questo tema? Lo abbiamo chiesto ad Alberto Montorfani, segretario della SVIT, l’associazione degli operatori immobiliari in Ticino, e a Nicola Bagnovini, direttore cantonale della Società impresari costruttori.
«Credo - commenta Montorfani - che per capire queste affermazioni bisogna un po’ immedesimarsi nell’ottica dell’imprenditore, ossia di colui che riesce a vedere degli squilibri ed è capace di porvi rimedio. Artioli ha capito che c’era ancora una domanda immobiliare, quella degli istituzionali, in un contesto già saturo, alla quale perlomeno in Ticino non era ancora stata data una risposta. Questi investitori non guardano solo all’immobiliare come ‘mattone’ ma come ‘finanza’, che di fatto sono due facce della stessa medaglia».
«Avendo individuato questo squilibrio - continua Montorfani - ha saputo porvi rimedio in un modo intelligente, creando e applicando non solo in Ticino, ma anche nel resto della Svizzera, un nuovo modello di business, che è in grado di rispondere alle necessità degli investitori istituzionali con un prodotto immobiliare attuale e moderno in termini di tipologia, di qualità e quindi anche di redditività attesa. Così costruisce grandi palazzi interessanti sia per gli investitori, sia soprattutto per gli inquilini. Infatti questi ultimi in un mercato saturo si spostano a seconda di diversi fattori, tra cui la qualità del prodotto, la durabilità nel tempo, il costo, la localizzazione, e via dicendo». «Combinare tutti questi fattori - precisa - non è così facile, e bisogna interpretare bene i segni di questo tempo un po’ strano, in cui tutti dicono che di immobili ne abbiamo già troppi, ma poi si fa la corsa a chi ne costruisce ancora. Inoltre il modello di Artisa prevede, da quello che so, la produzione integrale in casa, dalla selezione e acquisto del terreno fino alla costruzione finale, quindi senza intermediari. Questo permette di controllare i costi, fattore molto importante nell’immobiliare».
«Il ramo degli investitori istituzionali - nota Montorfani - che si concentra sugli oggetti in locazione, scelto da Artioli, non aveva esaurito il suo slancio, contrariamente a quello della proprietà per piani, dove è iniziato prima lo sfitto. Ora ci sono oggetti vuoti anche negli altri settori, ma un aumento dello sfitto e quindi un aumento della concorrenza fra proprietari permette di non far salire troppo le pigioni e offre maggiore opportunità agli inquilini. Il che è anche un bene, perché crea distensione sul mercato. Il nostro tasso di sfitto era rimasto per anni sotto l’1%, e si era sempre detto che un 2% sarebbe stato fisiologicamente corretto. Adesso siamo andati oltre, ma prossimamente è immaginabile un rientro attorno a questo livello. Quindi tendiamo ad un nuovo equilibrio del mercato locativo, Artioli non ha tutti i torti. La prova ne è che i suoi stabili sono di qualità e sono anche occupati, quindi hanno un prezzo interessate».
«È vero - rileva - che proprietari di vecchi immobili ora hanno un problema. Ma un prezzo è sempre espressione di un equilibrio, e se c’è molta offerta tenderà ad abbassarsi. Per loro la difficoltà risiede nel fatto che gli inquilini di alloggi datati trovano superfici con qualità migliore. Ma qui deve entrare in gioco una capacità riconvertire e rinnovare gli stabili datati, e qualche volta anche di demolirli».
«È vero anche - afferma - che i rendimenti nell’immobiliare stanno scendendo, ma in questo settore i cicli sono più lunghi rispetto agli altri settori economici, e in questo caso l’eccesso di produzione si è combinato con una riduzione dell’immigrazione, creando uno sfitto eccessivo. Ma se l’immigrazione fosse continuata non saremmo qui a parlarne. E questo non poteva essere previsto. Non dico che tutto questo sia un bene, ma bisogna adattarsi. E ora si vedono già alcuni istituzionali che preferiscono comprare immobili esistenti invece di costruirne dei nuovi».
Di avviso un po’ diverso Nicola Bagnovini, direttore cantonale della Società svizzera impresari costruttori. «A mio avviso - nota - entro certi termini si può essere d’accordo con Stefano Artioli sul fatto che un minimo di sfitto sia importante per contenere l’aumento delle pigioni. Bisognerebbe però mantenersi sotto il 2%, dunque a livelli accettabili. Ma ora in Ticino ci sono regioni dove i tassi sono ben superiori. Per esempio nel Mendrisiotto siamo al 4 o 5%. E questo é tutt’altro che positivo, soprattutto nell’ottica dell’imprenditore immobiliare».
«A mettere sotto pressione il mercato - continua - secondo me sono gli investitori istituzionali, che si accontentano di rendimenti bassi anche perché non vi sono alternative più redditizie e sicure. Quindi costruiscono anche se non vi è piena occupazione o garanzia di vendita in tempi brevi. E se normalmente un investimento immobiliare può rendere attorno al 4%, anche se si affitta solo un terzo degli appartamenti si raggiunge una resa superiore all’1%. Se a questo aggiungiamo il fatto che su questi soldi a risparmio bisognerebbe pagare interessi negativi, si capiscono le scelte attuali. Infatti sul mercato finanziario ci sono rendimenti inferiori, se non si è disposti a rischiare sul capitale».
«L’attuale situazione del mercato abitativo - sottolinea - non è positiva anche perché dietro l’immobiliare c’è tutta un’economia reale che deve funzionare per il bene dell’intero Paese. Inoltre, pure i nuovi edifici stanno soffrendo visti gli incentivi che vengono proposti ai nuovi inquilini (primi mesi gratuiti, posteggi inclusi, ecc.). Insomma, la situazione é negativa perché chi ha investito (e rischiato del proprio) non ottiene più il ritorno economico che aveva previsto e, se continuiamo di questo passo con il calo della natalità e dell’immigrazione di persone facoltose, la situazione peggiorerà. Non è poi detto che anche rinnovando il patrimonio immobiliare esistente si potrànno raggiungere i moderni standard edificatori, dunque occorrerà puntare maggiormente sulla costruzione sostitutiva (demolire e ricostruire almeno con il medesimo grado di sfruttamento delle terreno). In tal senso, sono attese risposte dalla pianificazione territoriale».
«L’importante è che il mercato immobiliare rimanga sano – conclude Bagnovini – visto che i cantieri aperti si concluderanno e ve ne saranno di nuovi. Occorre però rallentare, e al più presto, affinché la frenata non risulti troppo brusca».