La «canzone d’autore» compie cinquant’anni

La canzone d’autore compie cinquant’anni. O meglio, festeggia il cinquantesimo compleanno il termine con cui viene ormai universalmente definita. Era infatti la seconda settimana di dicembre del 1969 quando Enrico de Angelis, noto giornalista veronese che per oltre 20 anni è stato anche direttore artistico del Club Tenco, all’interno del quale fu braccio destro del fondatore Amilcare Rambaldi, utilizzò per la prima volta quest’espressione. «Era un periodo in cui ero alla ricerca di un lavoro», racconta de Angelis. «Per un colpo di fortuna fui assunto all’Arena, il quotidiano della mia città, Verona. Ero appassionato di cantautori, li conoscevo e li amavo da quando per la prima volta avevo sentito alla radio Quando, La gatta.... La prima cosa che cercai di fare fu quella di piazzare nella pagina Spettacoli qualche articolo sui cantanti sui generis che certo allora non conoscevano la fama di oggi: Tenco, De André, Gaber... Riuscii a fare di questi articoli una rubrica, e si trattava perciò di trovare la formula da mettere nella testatina. Mi vennero in mente due espressioni: "canzone d’arte" e "canzone d’autore". Scelsi quest’ultima, evidentemente mutuata dal cinema: si usava molto parlare di "film d’autore" ma mai di "canzoni d’autore". E dunque nel dicembre 1969 una rubrica di "canzone d’autore" apparve per la prima volta su un giornale. Il primo artista di cui parlavo era, guarda caso, Luigi Tenco».



I tentativi di Eco
In precedenza molti, in Italia, avevano cercato, con scarsi esiti, di dare un nome a quella corrente musicale che, ispiratasi da un lato ai chansonnier francesi (Jacques Brel, Georges Brassens, Charles Trenet, Leo Ferré...) e dall’altro ad artisti anglosassoni quali Bob Dylan, Leonard Cohen e Donovan (che in patria venivano etichettati come «folk singers»), avevano dato una scossa alla musica italiana attraverso testi più impegnati ma anche attraverso nuove modalità di scrittura. Ci aveva provato, ad esempio, Umberto Eco che, nel 1964, nella prefazione al libro Le canzoni della cattiva coscienza, propose un «canzoni diverse», ma non funzionò e il movimento, che nel frattempo iniziava sempre a prendere sempre più piede, rimase orfano di una... denominazione ufficiale. Finchè arrivo, come detto, de Angelis a dargli il nome che ancora oggi si porta dietro: canzone d’autore. «Come tante parole del linguaggio corrente – osserva de Angelis – anche questa espressione non ha un significato preciso, univoco, scientifico... Al Club Tenco se n’è discusso per anni, e vedo che se ne discute tuttora. La prima peregrina obiezione che certi fanno è che tutte le canzoni hanno un autore... (persino i canti popolari di tradizione orale, dice qualcuno...). Ma non è lì il punto». Se oggi molte cose vengono definite «d’autore», soprattutto se si vuole far passare un messaggio di qualità e di autenticità, «vuol dire – conclude – che l’espressione ha una sua forza, e sono convinto che queste filiazioni siano arrivate non tanto dall’uso fatto per il cinema, ma proprio da quello fatto per una materia di così largo consumo come la canzone».

La nascita del Club Tenco
La storia del «battesimo» della canzone d’autore si incrocia poi fatalmente con quella della nascita del Club Tenco. «Tre anni dopo – racconta de Angelis – sono andato ad incontrare il geniale inventore di questa cosa miracolosa, Amilcare Rambaldi, e tra noi è iniziata subito una stretta collaborazione. Rambaldi (che era stato il fondatore prima del Festival Jazz di Sanremo e, in seguito, l’ideatore del Festival della canzone) vista la piega che aveva preso la sua «creatura» meditava un festival riservato ai cantautori, la cui prima edizione vide poi la luce nel 1974. Il resto è storia.
Ma il cantautore è molto più vecchio...

Se il termine «canzone d’autore» compie cinquant’anni, la parola «cantautore» è più vecchia. La coniarono infatti nel 1959 i discografici Ennio Melis e Vincenzo Micocci (quest’ultimo poi divenuto famoso, suo malgrado, per una canzone di Alberto Fortis, Milano e Vincenzo in cui il cantautore cantava «Vincenzo io ti ammazzerò...») per il lancio di Gianni Meccia in un comunicato che diceva: «Sono state gettate le basi della categoria "cantautori ". Si tratta di giovani e quotati compositori di canzonette che vogliono scrivere testi "mica stupidi", canzoni che abbiano un significato nelle quali cuore non faccia rima con amore». Una dichiarazione d’intenti che però fu riconosciuta tale solo parecchi anni dopo.