Genuine Way: blockchain a servizio della sostenibilità

Fare l’imprenditore è spesso una scelta di vita. In molti sostengono che imprenditori si nasce - e non si diventa - in quanto significa mettersi in gioco anche, e soprattutto, personalmente. Sono quasi infinite in letteratura le definizioni di imprenditorialità (o imprenditore), ma quasi in tutte ritroviamo due parole chiave: rischio e sfida.
In questa rubrica, denominata “Ticino, terra d’imprenditori”, cerchiamo di raccontarvi questo; sfide che gli imprenditori del nostro Cantone hanno e dovranno affrontare (le interviste le potete trovare qui). Negli anni recenti la sostenibilità (in tutte le sue forme) è diventata parte integrante delle nostre storie e delle nostre notizie, ed è su questo che vogliamo concentrare le storie degli imprenditori intervistati. Storie di imprenditorialità e sostenibilità, esperienze e percorsi di persone che hanno deciso di rischiare e hanno vinto le proprie sfide o che, semplicemente, ne hanno trovate di nuove.
Il terzo imprenditore di questa edizione è Walfredo della Gherardesca, fondatore di Genuine Way, realtà specializzata nello sviluppo e nella distribuzione di soluzioni blockchain dedicate alle aziende produttrici nei settori dell’agrifood, moda, cosmetica e farmaceutica. Il format prevede 8 domande puntuali sull’imprenditorialità in Ticino e sulle nuove sfide legate alla sostenibilità.
Com’è nata Genuine Way e quali sono la sua visione e la sua missione aziendale?
Genuine Way è il primo fornitore di blockchain realmente verticale sulle tematiche della sostenibilità ambientale e dell’impatto sociale. La nostra missione è quella di riconnettere due soggetti: il “brand etico” e il “consumatore consapevole”, quindi di rendere accessibile alle PMI la tecnologia blockchain al fine di combattere il greenwashing (ambientalismo di sola facciata) e di riacquisire il proprio vantaggio competitivo.
Tecnologia e sostenibilità insieme: come siete riusciti a unirle?
Negli ultimi cinque anni c’è stata una grande evoluzione nell’ambito della sostenibilità. Da una parte, l’evoluzione del consumatore millenial, che non basa più i suoi acquisti solo sul prezzo e il gusto, ma anche su alcuni nuovi valori quali sostenibilità ambientale, impatto sociale e salute. Dall’altra parte, si sono allineati i brand che cercano di andare incontro a queste esigenze. Il divario è, in primo luogo, tecnologico: mancano alcuni strumenti per rendere comprensibile al consumatore cosa sia sostenibile e cosa non lo sia, e quindi facilitare il perseguimento di questo stile di vita.
Come definiresti blockchain per una persona che non è abituata al contesto tecnologico?
La definirei nella sua funzione essenziale, poiché ci si perde nella complessità delle sue applicazioni. La blockchain è un database online che risiede sulla rete e che è decentralizzato. Ciò significa che non è conservato sui server aziendali o privati, ma su decine e migliaia di nodi a seconda di quale blockchain pubblica si usa. Questo lo rende molto speciale, in quanto una volta inserito un dato o un documento (come nel caso di Genuine Way), nessuno ha il potere unilaterale di nasconderlo o rimuoverlo. Quindi diventa una sorta di luogo dove raccogliere i dati che possono così essere resi accessibili al mondo.
Si parla molto della sicurezza e della profondità delle informazioni per le aziende. Se si parla di blockchain pubblica, potrebbe essere un limite per quelle aziende che non desiderano far emergere determinati dati?
Bisogna dividere il mondo della blockchain in due ambiti: l’ambito della blockchain pubblica, che è quello in cui opera Genuine Way, e che si concentra sulla garanzia di trasparenza e pubblicazione delle informazioni. Genuine Way lavora con le aziende per reperire dei pacchetti di documenti (bundle) quali test di laboratori, contratti, certificati pre-acquisiti. Questa raccolta viene inserita sulla blockchain pubblica per certificare la produzione e soprattutto per individuare la responsabilità delle aziende che ne vogliono far parte. Inoltre, le imprese innovative hanno l’opportunità di raccontare nel dettaglio la propria produzione, non solo con strumenti convenzionali quali il Marketing e la Comunicazione, ma a uno stadio più avanzato. Questo significa combattere il greenwashing.
Il secondo ambito è quello della blockchain privata, che tratta l’efficientamento aziendale, eliminando tutta una serie di passaggi all’interno della propria azienda.
Quali sono i vostri obiettivi nei prossimi anni?
Siamo una start-up molto ambiziosa. Entriamo in un settore fiorente e siamo il primo operatore nell’area del Mediterraneo che offre innovazioni blockchain economicamente accessibili. Questo ci ha portato a lavorare già con 40 brand in sette paesi. Nel 2020 abbiamo interagito con 400 brand, dei quali il 95% non era mai stato contattato per parlare di blockchain o di digitalizzazione. Ci poniamo quindi l’obiettivo di diventare il più grande ecosistema europeo di brand sostenibili su blockchain e di consumatore consapevole, capace di interagire con realtà sostenibili. Per noi è importante essere non solamente fornitori di servizi, ma ci poniamo l’obiettivo, attraverso le realtà con cui interagiamo, di intercettare millenial interessati alla sostenibilità. Vogliamo cosi creare una comunità in maniera da poter dare sbocco commerciale ai brand che lavorano con noi. In sintesi questo è combattere il greenwashing, cioè fornire al consumatore gli strumenti per capire che cosa consuma e incentivare l’utilizzo di prodotti positivi. Il nostro obiettivo finale è di avere un portfolio con 1000 brand in Europa.
Come vede il ruolo delle banche a supporto degli imprenditori?
È sempre stato un ruolo essenziale. Ci muoviamo in un sistema che è incentivante, non solo da un punto di vista tecnologico, ma anche finanziario. Oggi la banca ricopre un ruolo a 360°, in quanto sostiene l’impresa sia dal punto di vista dell’accesso alla finanza che dal punto di vista dei servizi, della contaminazione di ecosistema e dell’open innovation con le aziende. Direi quindi che si tratta di un ruolo estremamente rilevante.
C’è un progetto che ha seguito e che le sta particolarmente a cuore?
Mi confronto quotidianamente con veri innovatori. I progetti che mi hanno più colpito sono legati al concetto di vera circolarità, cioè quelli che considerano l’abitudine al consumo parte integrante del ciclo produttivo aziendale. Un progetto a me particolarmente caro è quello di un’azienda ghanese, fondata da un’imprenditrice italiana, che produce abiti di alta moda e li commercializza negli Stati Uniti. L’imprenditrice desiderava certificare e raccontare che dietro a ogni loro collezione vi era l’apporto essenziale di una sarta ghanese. Promuovere sul proprio sito il sostegno a un paese come il Ghana può essere una via, ma collaborare a un progetto concreto con Genuine Way rappresenta un passo in più. Per questa azienda abbiamo certificato su blockchain tutti i contratti e i pagamenti tramite ricevute. Così facendo, è stato possibile certificare al consumatore, che ogni suo acquisto sostiene in maniera concreta le famiglie ghanesi coinvolte in questa produzione. Questo tipo di certificazione conferisce al consumatore un valore importante. Personalmente, questo modo di comunicare mi piace molto.
Quali saranno le maggiori sfide che il vostro settore dovrà affrontare nel corto e medio termine?
Se parliamo di blockchain, in qualità di fornitore di servizi, la grande sfida è rappresentata dal dialogo con il consumatore. In questa industria si è sempre partiti dalla tecnologia per poi concentrarsi sul B2B o sull’azienda e, solo in ultima misura, comprendere il consumatore. Dobbiamo iniziare a far capire al consumatore che può utilizzare la blockchain quotidianamente in maniera naturale, fornendogli in questo modo un nuovo servizio. La blockchain non è una tecnologia aliena e complessa ed è quindi fondamentale riuscire a cambiare questo linguaggio. Infine, è necessario riuscire a tradurre un concetto tecnologico come la blockchain in un’emozione empatica, che trasmetta buone sensazioni al consumatore in pochi secondi. La sostenibilità non deve rappresentare un peso o un atto puramente filantropico, ma va concepita come un’attività profittevole in grado di veicolare un grande numero di capitali e risorse.