Vacanze

Sant'Agata, tra sacro e profano

Ogni anno Catania festeggia la patrona della città. Una festa unica al mondo colma di emozioni
Prisca Dindo
20.10.2023 11:50

Tra il 3 e il 5 Febbraio Catania si ferma perché i devoti di Sant’Agata inondano le strade della città per onorare la santa patrona, vergine e martire catanese. Tre giorni tra il sacro e il profano che non hanno riscontro nel mondo, paragonabili soltanto  alla Settimana Santa di Siviglia in Spagna e alla festa del Corpus Domini a Cuzco, in Perù.La celebrazione catanese figura  dal 2005 come Bene Etneo Antropologico Patrimonio dell’Umanità. Agata è la santa dei miracoli: nel 252 “Santuzza”, come amano chiamarla i siciliani,  avrebbe salvato i suoi concittadini da una disastrosa colata lavica. Impossibile rimanere indifferenti alla storia della giovane martire. Bella, nobile e cristiana, Agata  fece resistenza alle lusinghe del governatore romano Quinziano, che la voleva a tutti i costi.  La giovane pagò con la vita la difesa della propria fede e della propria integrità morale. Morì nel 251, dopo aver subito torture terribili, fra cui lo strappo delle mammelle.La leggenda narra che un anno appena dopo la morte della martire, la città venne minacciata da una terribile eruzione. Disperati, gli abitanti dei villaggi attorno al vulcano fecero ricorso al velo che avvolgeva il sepolcro di Agata, opponendolo all’avanzata della lava. Il velo cambiò colore: da bianco divenne rosso vivo e arrestò l’eruzione proprio il 5 febbraio, giorno dell’anniversario del martirio.Da allora la città viene decorata a festa e la santa esce dalla sua chiesa per andare incontro alla sua gente. Per capire l’aria che si respira a Catania in quei giorni, basta leggere il sito visitSicily.it: “Il 4 febbraio, all’alba dopo la Messa dell’Aurora, il mezzobusto della Santa esce dalla camera blindata della Cattedrale. Questo è il culmine dell’attesa: la commozione è forte, tra urla e canti, comincia la processione del giro esterno alle antiche mura della città, con a capo il busto e le reliquie trainate dal fercolo. Dapprima si sposta verso la chiesa di Sant’Agata alla Fornace, dove avvenne il martirio, poi a Sant’Agata al Carcere, dove un ulivo piantato proprio lì davanti, ricorda come la vergine, fuggendo dagli uomini di Quinziano, riuscì a sfamarsi con i suoi frutti. E’ usanza trainare il carro a gran velocità su per la salita dei Cappuccini, e i cittadini devoti, col tradizionale costume votivo bianco ‘u saccu e un copricapo nero, agitando un fazzoletto – anch’esso bianco – invocano a viva voce “Tutti devoti tutti, cittadini, viva Sant’Agata!”.