A Teatro

Ago e filo: come nasce un costume di scena

Ne parliamo con Ilaria Ariemme, costumista teatrale
La costumista Ilaria Ariemme racconta la nascita di un costume teatrale, materia viva che partecipa al percorso di creazione di uno spettacolo. In particolare illustra l'esperienza di "Sogno di una notte di mezza estate", produzione Lac, con regia di Andrea Chiodi. ( ©LAC2021)
Benedetta Consonni
12.04.2022 10:30

Seta, paillettes e tulle. Cotone grezzo, tessuti damascati, semplici jeans. A ogni personaggio il suo costume, ciascuno con la propria particolarità. Ogni volta che si alza il sipario la magia si rinnova e il teatro attraverso le parole, i gesti, le scenografie e i costumi trasporta lo spettatore nel mondo immaginato (che racconta il mondo reale) dello spettacolo. Tra gli ingredienti della magia, il costume è uno dei più funzionali per far capire subito allo spettatore la direzione che sta prendendo il viaggio. Come nasce un costume di scena? «A differenza di quello che si può pensare, creare un costume è frutto di un lungo lavoro personale» spiega Ilaria Ariemme, costumista che ha collaborato di recente con il LAC per la produzione di «Sogno di una notte di mezza estate», spettacolo che ha chiuso la stagione 2021 di LAC en plain air, riportando il pubblico in sala a settembre. Laureata in scenografia all’Accademia delle Belle Arti di Brera, ha completato il suo percorso con una specializzazione sul costume teatrale, per poi diventare assistente di Carla Ricotti e al contempo lavorare su progetti indipendenti, tra prosa, lirica e teatro per ragaz

Ilaria Ariemme, costumista che ha collaborato di recente con il LAC per la produzione di «Sogno di una notte di mezza estate». ©MiguelBarreto
Ilaria Ariemme, costumista che ha collaborato di recente con il LAC per la produzione di «Sogno di una notte di mezza estate». ©MiguelBarreto

Ricerca e scavo drammaturgico
Il primo passo per la creazione dei costumi di scena sta nello studio del testo, che sia una prosa o un libretto per la lirica. Si approccia il racconto che va portato in scena per poi cercare riferimenti culturali e storici con molteplici fonti, dai libri a internet, dalle mostre agli spettacoli, come spiega Ilaria. «A seguire c’è una fase che io chiamo di scavo drammaturgico: è il percorso che il regista fa con tutto il team artistico, proponendo una chiave di lettura dell’opera. Sono coinvolti lo scenografo, il costumista, il light designer e il 'dramaturg', nuova figura che supporta il regista nella comprensione del testo e a focalizzare l’idea dello spettacolo». Nel corso dello scavo drammaturgico emergono i messaggi e gli spunti del testo che il team artistico vuole comunicare attraverso lo spettacolo. «In questa fase entriamo nel testo e capiamo cosa ci interessa far emergere: il linguaggio teatrale è universale e i messaggi possono essere sviluppati in diversi modi». Una volta stabilita la chiave di lettura, è il momento di procedere con la ricerca iconografica in base alla direzione da prendere per partire con la progettazione. «La progettazione non è altro che la traduzione grafica in un costume di scena di tutte le scoperte fatte durante lo scavo drammaturgico, attraverso la creazione dei figurini o bozzetti. Per farlo io disegno a mano la figura, poi scansiono il disegno e lo coloro a computer. Questo è il mio metodo, ciascuno ha il suo» spiega Ilaria. Tutto il lavoro di progettazione viene proposto al regista e con tutto il team artistico si cerca di migliorarlo. «Vorrei precisare che migliorare un costume di scena non significa renderlo più bello, perché non sempre un costume deve essere un bel costume, ma deve essere giusto per l’idea che si vuole raccontare. Il costumista crea un mondo visivo tradotto nel costume, in grado di raccontare il personaggio allo spettatore».

Consegna e produzione in sartoria
Dopo che i costumi sono stati approvati dal regista, si procede con la consegna alla produzione del teatro. «Quando si consegna il progetto al committente, il regista illustra alla direzione artistica tutto il progetto, non soltanto i costumi, e questo per procedere deve essere accettato. In questa fase si cerca un equilibrio tra tutte le proposte e richieste: talvolta la produzione può richiedere delle modifiche per una maggiore comprensibilità del messaggio o per incontrare la sensibilità del pubblico». Una volta accettato il progetto, si può partire con la realizzazione e nel caso dei costumi significa dare il via alla ricerca di un laboratorio di sartoria teatrale e dei tessuti secondo il budget stabilito. In alcuni grandi teatri ci sono delle sartorie interne che si occupano di tutto, dal taglio della stoffa all’ultimo bottone, mentre altri teatri si appoggiano a fornitori esterni. Il costumista si mette al tavolo della sartoria con chi la dirige, tira fuori i bozzetti e le idee prendono corpo con ago, filo e tecniche di sartoria teatrale frutto di anni di esperienza. «Il primo step è la campionatura – spiega Ilaria – ovvero la ricerca e scelta dei tessuti. Questo aspetto è importantissimo perché se si sbaglia il materiale il costume non verrà bene. Mentre si aspetta che arrivino i tessuti scelti, con i tagliatori vengono sviluppati dei modelli con stoffe di prova. Si tratta di uno studio tecnico per capire quale sarà la forma del costume e definire il cartamodello. Quando arrivano i tessuti, il costume di scena viene confezionato secondo il cartamodello. Tutto il team lavora per tradurre nel modo migliore possibile il figurino del costumista». Le sartorie teatrali hanno competenze differenti rispetto alle sartorie tradizionali. Sono specializzati in tutto ciò che è necessario fare per rendere un costume di scena adatto al racconto del teatro: tintura di stoffe, rielaborazione del tessuto, decorazione, reinvenzione dei materiali e antiche tecniche di sartoria teatrale tramandate di generazione in generazione. Non da ultimo, il costume teatrale non può prescindere dalla fisicità dell’attore. «Quando vesti un corpo non puoi prescindere dalla sua forma, che è semantica, ovvero portatrice di significato. E come sta il costume addosso a un attore serve per raccontare qualcosa. Negli spettacoli di prosa io disegno sulla fisicità degli attori, lo stesso si fa in sartoria con la scheda misure dell’attore, per valorizzare al massimo la fisicità ai fini del racconto» così Ilaria conclude il suo approfondimento sulla nascita di un costume per il teatro.

Sogno di una notte di mezza estate, con gli occhi di una bambina
La produzione Lac con regia di Andrea Chiodi, «Sogno di una notte di mezza estate», ha al suo centro il tema del passaggio dall’infanzia all’età adulta, sottolineato dai costumi attraverso contrati di colore marcati, attingendo all’immaginario del mondo infantile. «Il regista Andrea Chiodi ci ha invitato a guardare il testo con gli occhi di una bambina. Il sogno, durante il quale avviene il viaggio degli innamorati nel bosco, è il rito di passaggio dall’adolescenza all’età adulta, in cui si lascia un età incantata. Lo stratagemma narrativo del regista consiste nel guardare lo spettacolo con il filtro di questa età incantata e di conseguenza i costumi esprimono il mondo del gioco e della purezza, ma anche della danza classica, tanto cara alle bambine. La dimensione del gioco è stata fondamentale nello spettacolo, perché è nel gioco che i bambini esplicitano le loro paure». Ecco quindi che Lisandro, Demetrio, Ermia ed Elena hanno i panni candidi della fanciullezza mentre mettono in scena le loro schermaglie amorose, il re e la regina delle fate, Oberon e Titania, tramano nel bosco fasciati dal tulle di un tutù color carne, mentre nella città di Atene, il mondo degli adulti, si tinge della serietà del nero, con abiti e completi formali. «I costumi bianchi degli innamorati durante il viaggio nel bosco si destrutturano e quando i giovani vengono riammessi nella società degli adulti lo fanno con la divisa nera che contraddistingue questo mondo.  È nel sogno che va rintracciato lo sguardo del gioco della bambina, che nell’adattamento di Andrea Chiodi entra nella narrazione come vero e proprio personaggio con Puk che le fa da balia. Il rosa carne che veste il mondo fatato richiama la semplicità della nudità del corpo, la primitività non condizionata di questo rito di passaggio» racconta la costumista. Nell’opera di Shakespeare non mancano i cominci, che in questa produzione sono rappresentati come una banda di ragazzetti, semplici e festosi. «Per realizzare questi costumi mi sono immaginata un gruppo di ragazzini fuori da scuola. La loro rappresentazione è carnevalesca e i personaggi esprimono istinti semplici e genuini, non condizionati dai ruoli». Tutto è andato come preventivato all’inizio? «Assolutamente no! Il teatro di prosa è un work in progress e durante le prove alcune cose, anche nei costumi sono cambiate. Ad esempio la bambina il cui sguardo ci restituisce l’interpretazione dell’opera, doveva diventare fata ed entrare nel sogno, ma lavorando Andrea Chiodi si è reso conto che era più forte ed efficace che la bambina rimanesse sé stessa. Puck originariamente doveva indossare il tutù per tutto lo spettacolo, ma abbiamo capito che era più efficace per la narrazione mantenere per tutto il tempo il travestimento da Filostrato/balia, lasciando solo intravedere alla fine il vestito da folletto. Il costume è materia viva e partecipa al percorso di nascita dello spettacolo» conclude Ilaria Ariemme.

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