Il benessere

I nostri migliori amici anche un po’ dottori

Superare eventi traumatici, supporto nella riabilitazione, o semplice compagnia: quanti benefici grazie alla pet therapy
Il cane è per eccellenza il simbolo di questa terapia grazie alle sue capacità di relazionarsi sia con l’ambiente sia con la persona
Red. Online
05.12.2019 09:55

Il 1953 è l’anno in cui Elisabetta II d’Inghilterra viene incoronata regina di Gran Bretagna e quello in cui Fausto Coppi conquista il titolo mondiale di ciclismo su strada a Lugano. Ma è anche l’anno in cui uno psichiatra americano fin lì noto solo agli accademici – tale Boris Levinson – scopre la pet therapy. La nascita della terapia con gli animali si deve a un episodio fortuito e casuale: il dottor Levinson all’epoca si occupava delle cure di un bambino autistico con il quale non riusciva a stabilire un rapporto terapeutico. Un giorno il medico, durante un incontro, si dimenticò di far uscire il cane dallo studio e l’animale, quando vide il bambino, cominciò a giocarci. Il piccolo per la prima volta mostrò emozioni di gioia grazie a quel rapporto. Fu così che Levinson cominciò a usare regolarmente Jingles – questo era il nome del cane – come co-terapeuta ogni volta che incontrava il bambino affetto da autismo.

Conosciuta anche come AAT (Animal-Assisted Therapy), oggi è definita come una pratica “dolce” che sfrutta i benefici del rapporto tra uomo e animali da compagnia. Un rapporto che è in grado di stimolare la sfera emozionale dell’individuo, favorendone sia l’apertura verso il mondo esterno, sia una migliore capacità comunicativa. Nonostante la comunità scientifica sia d’accordo nel fissare la nascita di questa terapia negli anni Cinquanta del Novecento, in realtà i benefici del rapporto uomo-animale hanno radici ben più antiche. Già gli Egizi e i Greci credevano – pur senza solide basi scientifiche – che gli animali potessero essere d’aiuto alle persone malate. Ippocrate, siamo intorno al quinto secolo a.C., consigliava una lunga cavalcata per combattere l’insonnia: oggi quella pratica si chiama ippoterapia.

Con un salto in avanti di secoli, arriviamo al 1867, in Germania: il Bethel Hospital fu uno dei primi a impiegare gli animali domestici per supportare e aiutare i pazienti epilettici. I cani ebbero un ruolo non certo marginale anche dopo la Grande Guerra: nel 1919, negli Stati Uniti, furono utilizzati per aiutare i reduci del primo conflitto mondiale a superare la loro depressione. Altra guerra, altro supporto: questa volta fu il Pawling Army Air Force Convalescent Hospital a promuovere un percorso di pet therapy per gli ex soldati.

Nella seconda metà del Novecento la pet therapy si è sviluppata sempre di più. Gli animali maggioramene utilizzati sono, in particolare, cane, gatto, coniglio, cavallo, pesci, tartaruga, asino. Talvolta anche delfini, criceti, maialini, lama. La maggior parte degli animali, per poter praticare questa terapia, deve effettuare dei corsi presso organizzazioni specializzate, come ad esempio l’associazione svizzera Cani da terapia.

Ogni pet, inoltre, ha precise caratteristiche. Anche solo osservare i pesci, ad esempio, aiuta a ridurre i battiti del cuore e la tensione muscolare, creando così uno stato di rilassamento. Il gatto, grazie al suo essere estremamente indipendente, è perfetto per le persone che vivono sole e hanno difficoltà negli spostamenti. Mentre il cane è per eccellenza il simbolo di questa terapia grazie alle sue capacità di relazionarsi sia con l’ambiente che con la persona, riconoscendone le disabilità, senza avere pregiudizi.

La pet therapy è indicata soprattutto per pazienti che presentano segni di isolamento, solitudine, malinconia, talvolta depressione. Un altro canale di utilizzo è per le persone affette da fobie sociali o con difficoltà relazionali e di comunicazione. In generale, l’approccio delle pet therapy può essere suddiviso in cinque finalità d’applicazione. La prima: finalità psicologiche ed educative, ed è rivolta soprattutto a pazienti con disturbi del comportamento, per ridurne l’aggressività (spesso utilizzata nelle prigioni). La seconda: finalità psichiatriche, per persone autistiche o affette da sindromi depressive e stati d’ansia. La terza: finalità mediche, legate soprattutto alle convalescenze post operatorie o per assistere pazienti affetti da malattie croniche di tipo neuro-muscolare. La quarta: finalità motorie-riabilitative, per percorsi di recupero a seguito di deficit motori. L’ultima finalità è quella legata a motivazioni sociali, per un reintegro graduale delle persone all’interno della società.

IL VETERINARIO

«Empatici e generosi, danno senza chiedere»

L’empatia, che dovrebbe essere prerogativa umana, sembra spesso prevalere negli animali. Cani, gatti, coniglietti che donano affetto e coccole ai proprietari. Senza pretendere nulla in cambio. Danno e basta. «E soprattutto—sottolinea Petra Santini—veterinario comportamentalista, senza mai giudicarci».

Facile quindi avvicinarci a loro senza timori né ansie.

«Con loro la comunicazione è più semplice, potremmo dire. Non ci sono problemi di relazione e di linguaggio. Ottimo per i bambini, con i quali spesso instaurano una relazione particolare».

Ma perché la vicinanza di un animale ha un effetto calmante?

«Perché accettano le nostre carezze senza giudicarci. E poi sono empatici, ci ‘sentono’, capiscono perfettamente il nostro stato d’animo. Faccio un esempio».

Dica...

«Quando insegnavo partecipavo agli esami degli assistenti di studio veterinario. Un giorno avevo portato il mio cane. Se si avvicinava ad un allievo particolarmente teso per la situazione bastava che si scambiassero due carezze e un’occhiata e il ragazzo cambiava espressione».

Vicinanza benefica dunque?

«Eccome. Per me era solo l’ennesima conferma che gli animali ci fanno stare bene».

Lei si occupa del «servizio Grizzly» un progetto della Protezione svizzera degli animali. In cosa consiste?

«Propone assistenza, tanto ai privati alla ricerca di una soluzione per il proprio animale domestico quando alle case per anziani che ospitano dei quattrozampe o che prevedono di farlo».

Quando è importante per un anziano non separarsi dalla propria bestiola?

«Fondamentale per il suo equilibrio, sia fisico che mentale. Spesso l’animale è il loro unico compagno e occupa un posto importante nella loro vita».

Accarezzare un micio rappresenta una soluzione efficace per ridurre lo stress
Accarezzare un micio rappresenta una soluzione efficace per ridurre lo stress

Benefici per gli anziani Così si contrastano depressione e diabete

Secondo un sondaggio condotto l’anno scorso dalla Psa (Protezione svizzera degli animali) sono sempre più le case di riposo che permettono agli anziani di tenere con loro gli amici a quattro zampe.

La ricerca, che ha coinvolto circa 400 istituti, parla di una quota del 20% delle strutture: un numero importante, che conferma ancora una volta quanto la convivenza tra over 65 e animali sia davvero benefica. Non si tratta solamente di cani e di gatti, ma anche di pesci rossi e di uccellini: il minimo comune denominatore risiede nel mantenere attivi gli ospiti della case di riposo, oltre a farli affrontare meglio la fase della terza età.

Come avviene nel caso dei bambini, anche per gli anziani i benefici connessi alla convivenza con un animale domestico sono davvero molti. Chi sceglie di dividere la propria casa con un cane, ad esempio, ne può approfittare per dedicare un po’ di tempo ogni giorno al movimento. Portare fuori casa il proprio «Fido» per una passeggiata ha effetti molto positivi sulla salute: la camminata, infatti, consente al cuore di mantenersi in salute e, allo stesso tempo, favorisce una riduzione della pressione sanguigna. Anche la relazione con un gatto ha notevoli ricadute positive. Accarezzare un micio rappresenta una soluzione efficace per ridurre lo stress e per favorire il relax.

Un rimedio contro la solitudine

Gli over 65, soprattutto coloro i quali vivono soli, riscontrano quindi una serie di aspetti positivi legati al doversi prendere cura di un animale. I quattro zampe, infatti, sono in grado di fare in qualche modo ringiovanire chi convive con loro.

E il possesso di un animale rappresenta un toccasana soprattutto per le persone che devono fare i conti ogni giorno con patologie come la depressione e il diabete, ma anche per chi soffre di solitudine.

Con i bimbi convivenza positiva e ricca di stimoli

Quella tra animali e bambini è senza dubbio una convivenza benefica. Numerosi studi scientifici, dimostrano come crescere insieme a un pet rappresenti una soluzione senza dubbio efficace per favorire lo sviluppo psicofisico dei più piccoli.

L’unica possibile controindicazione potrebbe essere legata a problemi di allergia: una volta scongiurati questi, dunque, la relazione tra animali e bimbi è pronta a svilupparsi nella maniera migliore.

Alleati dei più piccoli

La pet therapy rappresenta un vero toccasana. Basti pensare, solo per fare un esempio, allo sviluppo del senso di responsabilità dei bambini. Insieme ai familiari, infatti, i piccoli devono occuparsi del benessere dei propri animali domestici: questo fattore li aiuta ad affrontare al meglio le situazioni che potrebbero presentarsi nel loro futuro, quando saranno adulti.

La compagnia di un cucciolo – ma anche di un esemplare più grande – si rivela benefica anche nello stimolare i bimbi al gioco, soprattutto nel caso dei figli unici. Poter trascorrere momenti di divertimento insieme a un cane o a un gatto consente ai più piccoli di migliorare la coordinazione e la capacità di attenzione.Un altro aspetto fondamentale, che spesso viene ignorato nel rapporto tra bimbi e animali, è quello connesso alla comunicazione non verbale. Le attività ludiche legate alla pet therapy, infatti, mettono in rilievo azioni come gli abbracci e le carezze e, di conseguenza, permettono ai bimbi di conoscere meglio il proprio animale domestico, con il quale il contatto è necessario.

Va ricordato, poi, come anche i più piccoli possano soffrire di stress. La convivenza con un amico a quattro zampe si rivela un’arma efficace per contrastare queste situazioni: le coccole, infatti, consentono ai bimbi di acquisire una maggiore serenità.