Saponi e pulizia: sicuri di sapere tutto?

Sembra fatto di proposito e con un’accezione vagamente provocatoria. In un periodo storico in cui l’igiene è, giustamente, osannata e raccomandata su tutti i fronti, Einaudi pubblica un saggio scritto da un autore che afferma orgogliosamente nella prima riga del prologo «Cinque anni fa ho smesso di farmi la doccia». La prima domanda che sorge spontanea è tanto semplice quanto complessa è la risposta: «perché?» Serve leggere «Puliti: la nuova scienza della pelle e la bellezza del lavarsi di meno» di James Hamblin per riuscire a rispondere.

Sgombriamo subito il campo a possibili equivoci. L’autore - che oltre ad essere un giornalista scientifico è anche un medico - non inneggia ad una società dello sporco, tanto che afferma di lavarsi le mani più volte al giorno, di continuare le abluzioni di piedi e parti intime e di osservare una rigorosa igiene quotidiana per quanto riguarda l’abbigliamento, ma si interroga sulla reale necessità dell’uso e dell’abuso della miriade di prodotti di igiene e di bellezza presenti sul mercato e venduti a quantitativi via via crescenti.
Scritto in modo scorrevole e accattivante, il libro offre curiosità e aneddoti sul mondo del sapone e della pulizia. Oltre a tracciare una storia dell’igiene - fino a tardo ‘800 comperare il sapone era un lusso - a spiegare ingredienti e funzionamento dei detergenti - i detergenti sono spesso derivati dal petrolio e, contrariamente ai saponi, si possono produrre anche senza avere a disposizione oli vegetali o grassi animali - a raccontare i primordi di marketing e campagne di comunicazione - la prima pubblicità del sapone fu un’opera d’arte, infatti nel 1893 il saponificio Pears, per farsi conoscere, appose il suo nome sul margine inferiore di un quadro che si poteva ammirare in una mostra - il volume si concentra su di un aspetto sempre più attuale e studiato da ricercatori di tutto il mondo: il microbiota della pelle.
Se il microbiota intestinale è ormai argomento conosciuto, seppur non ancora compreso nella sua interezza, le ricerche sui «batteri buoni» che ci vivono addosso sono in una fase decisamente più iniziale. Secondo Graham Rook, professore emerito di microbiologia medica allo University College London, si tratta di batteri che si sono evoluti in simbiosi con l’essere umano e l’utilizzo di prodotti aggressivi in quantità eccessiva può causare la perdita di biodiversità microbica. Secondo i suoi studi esiste un legame tra malattie infiammatori e autoimmuni moderne e la scarsa esposizione ai microbi. L’esposizione costante ai microrganismi, infatti, addestra il sistema immunitario ad affrontare adeguatamente le minacce. Il microbiota della pelle si sviluppa già nei neonati e «continua ad arricchirsi mediante il contatto con i membri della famiglia, i giochi all’aperto, la condivisione dei giocattoli con gli amici. Questa comunità di microbi influisce sullo sviluppo del sistema immunitario».
In un articolo del 2012 la ricercatrice Julie Segre affermava che i microrganismi che vivono dentro e sopra di noi sono «una fonte di diversità genetica, un agente modificatore delle malattie, una componente essenziale dell’immunità e un’entità funzionale che influenza il metabolismo e modula le interazioni con i farmaci». Da allora i suoi studi non si sono più fermati e oggi è impegnata nel tracciare una mappa del microbiota della pelle. In ogni centimetro quadrato ci sono circa un miliardo di batteri appartenenti a centinaia di specie diverse. Comprenderne a fondo biologia e funzionalità permetterà di agire in favore di questa popolazione. Inoltre, uno degli obiettivi delle ricerche in corso è capire come le modifiche all’equilibrio del microbiota della pelle influenzano la nostra salute e come potersi interfacciare con esso per renderlo parte attiva nella cura di alcune malattie e, addirittura, nella metabolizzazione dei farmaci.
Hamblin termina il suo volume con una riflessione: «la parola ‘pulito’ può sfuggire alle definizioni, ma è ricca di significati. Può alludere all’isolamento e all’asetticità, ma anche al multiforme, al variegato. È la società a stabilire cosa è accettabile e cosa non lo è, ma alla luce delle nuove conoscenze sul microbiota, probabilmente un maggior numero di persone prenderà coscienza che tutte le nostre pratiche di cura della pelle non incidono solo sulla nostra immagine. Sopra di noi, intorno noi, vivono vere e proprie comunità che influenzano ogni nostra azione, e da ogni nostra azione sono influenzate. Nella ricerca del pulito l’ideale sarebbe preoccuparsi meno di raggiungere una sorta di stato asettico e piuttosto accogliere le nostre complessità».