Fumetti, quando la Scienza si mette in mostra

Una settimana (dal 12 al 17 novembre) per raccontare la Scienza in modo piacevole e «informale» agli studenti delle scuole medie ticinesi, anche attraverso i fumetti, e per dialogare con i cittadini attraverso una mostra e due incontri pubblici, aperti a tutti e gratuiti. In estrema sintesi è questo il programma di «Let's Science!», che la Fondazione IBSA di Lugano ha organizzato in collaborazione con la Sezione dell'insegnamento medio del DECS (Dipartimento dell'educazione, della cultura e dello sport). Il filo conduttore: gli stili di vita corretti e l'alimentazione per prevenire i tumori e altre malattie gravi (qui sotto l'elenco dettagliato degli appuntamenti). Ma non basta: durante la settimana verrà presentata anche una nuova collana di libri (gratuiti) che la Fondazione IBSA realizzerà, sempre insieme alla Sezione dell'insegnamento medio, coinvolgendo i ragazzi delle scuole ticinesi su una decina di temi scientifici (dall'intelligenza artificiale, alle sostanze che provocano dipendenza), in modo innovativo. I libri verranno pubblicati dall'editore Carocci, e conterranno i disegni eseguiti dalla Scuola romana dei fumetti, sulla base di sceneggiature create dai ragazzi, insieme ai docenti e ai ricercatori che dialogheranno con loro.
«Il progetto "Let's Science!" – conferma Silvia Misiti, direttrice della Fondazione IBSA – si basa su un'idea di fondo precisa: fornire ai ragazzi informazioni scientifiche assolutamente corrette, ma in maniera divertente, per affrontare con un approccio gradevole anche gli argomenti più difficili (i fumetti sono un codice particolarmente adatto). Abbiamo cominciato due anni fa con una collana di piccoli volumi, intitolata I ragazzi di Pasteur (e realizzata, appunto, insieme all'Istituto Pasteur Italia), e poi siamo approdati a Milano, nel gennaio scorso, con una serie di eventi legati alle fake news. Adesso abbiamo ampliato l'orizzonte al Ticino, grazie a questa importante collaborazione con la Sezione dell'insegnamento medio, che si estenderà per i prossimi tre anni. Siamo orgogliosi di questo, e metteremo in campo le nostre migliori energie per aiutare i ragazzi e i docenti a "immergersi" sempre più nella Scienza. Il Ticino ha una forte vocazione per la Ricerca e per gli studi innovativi: lo dimostrano i numerosi centri presenti sul territorio, alcuni di rilievo internazionale, e lo dimostra anche l'arrivo della nuova Facoltà di scienze biomediche dell'Università della Svizzera Italiana. Insomma, il Ticino è il posto giusto anche per chi vuole realizzare un progetto di divulgazione scientifica come il nostro». Ma cosa pensa la scuola di un progetto come "Let's Science!" e della sua filosofia? «Abbiamo apprezzato, in particolare, l'idea di mettere in collegamento le medie ticinesi con la realtà scientifica della nostra regione – risponde Nicolò Osterwalder, consulente didattico della Divisione scuola per le scienze naturali. – Non tutti gli studenti sanno che in Ticino sono attivi centri di ricerca all'avanguardia. Grazie a "Let's Science!" avranno la possibilità di incontrare gli esperti che lavorano in questi istituti, dialogare e addirittura creare con loro una serie di libri a fumetti. Tutto questo potrà essere molto utile per l'apprendimento delle scienze, ma li aiuterà anche a orientarsi meglio nella scelta della professione che vorranno seguire in futuro».
Il libro di testo? Sostituito dai boschiLe scuole ticinesi sono all'avanguardia, da molti anni, nell'insegnamento delle scienze naturali (chimica, fisica e biologia). E il vecchio libro di testo è un lontano ricordo. «Abbiamo una serie di contenuti da proporre – dice Alessio Carmine, esperto di materia per la scuola media e formatore della SUPSI per l'area scienze naturali – ma i docenti hanno un'ampia libertà didattica. Per parlare di cellule, ad esempio, il professore può partire da una bustina di lievito (simile a quello usato dalle mamme per preparare la pizza) e invitare gli studenti a guardarlo con il microscopio. Nel lievito è facile distinguere gruppi di cerchietti. L'allievo inizia a interrogarsi, creando così un primo modello interpretativo. Ingrandendo ulteriormente l'immagine, si scopre che all'interno della cellula c'è anche il nucleo. Dal modello di cellula l'insegnante può poi passare agli organismi pluricellulari, allargando sempre di più il campo». Molto è lasciato alla sensibilità del docente, ma molto dipende anche dal luogo in cui si trova la scuola. «Ovviamente chi abita ad Acquarossa ha intorno a sé un ambiente e una fonte di ispirazione, diciamo così, diversi da chi vive a Lugano – spiega Daniele Milani, esperto di scienze naturali e formatore della SUPSI. – Spesso l'insegnante parte da elementi che fanno parte del mondo circostante per costruire le sue lezioni. Alcune scuole hanno anche un orto, uno stagno, un bosco: tutti elementi naturali che possono diventare l'inizio di molti percorsi di approfondimento. Certo, a scuola parliamo anche di savana, o di ambienti lontanissimi da noi. Ma i docenti cercano, comunque, di cominciare sempre dal nostro territorio, per caricare di senso l'apprendimento». L'assenza di un libro di riferimento uguale per tutti richiede, in verità, più impegno e maggiori capacità didattiche. «Ma le lezioni diventano più fresche e aggiornate – dice Nicolò Osterwalder – e la scuola ticinese riconosce un grande valore a quest'idea di insegnamento attivo, che deve aiutare ad acquisire le competenze per risolvere i problemi di tutti i giorni, oltre alle conoscenze di base più generali. Nell'ambito di questo modello, il progetto "Let's Science!" si inserisce molto bene». Anche i test internazionali di valutazione degli studenti, in ogni caso, come il PISA (Programme for International Student Assessment), danno ragione al modello ticinese di insegnamento. Conferma Michele Egloff, responsabile del Centro innovazione e ricerca sui sistemi educativi della SUPSI: «All'ultima indagine PISA, realizzata nel 2015, gli studenti (quindicenni) del Canton Ticino hanno ottenuto un punteggio medio di 509 in scienze naturali, che si situa in modo significativo sopra il valore medio dei Paesi dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (493), e supera, di poco, anche quello medio della Svizzera (506)».
L'INTERVISTA A GIOVANNI PELLEGRI, responsabile de L'ideatorio dell'USISe un bimbo mi chiede «chi siamo» rispondo: polvere di stelle
L'ideatorio dell'Università della Svizzera Italiana esiste da 12 anni e ha ospitato, finora, circa 140.000 visitatori. Tra loro anche moltissimi ragazzi. Ma che idea hanno della scienza? «Sembrano molto interessati agli argomenti scientifici (esplorazioni spaziali, cervello, dinosauri, e mille altri), ma quando si tratta, poi, di studiarli in modo sistematico e "obbligatorio", non vengono attratti. Forse l'iper-specializzazione del sapere scientifico ha ridotto il fascino di questi temi».
Dunque cosa si può fare? «A L'ideatorio cerchiamo, insieme ai docenti delle scuole con cui collaboriamo (400 classi ogni anno), di recuperare il senso di quello che vediamo...»
Può citare un esempio pratico? «Certo. Nel nostro piccolo planetario proviamo a fornire non solo la classificazione delle stelle, ma ascoltiamo anche le domande "difficili" che i bambini si pongono, come: "Da dove arriviamo?". Le risposte classiche che loro forniscono possono essere molte: c'è chi dice da Lugano, dalla pancia della mamma, dalle scimmie o anche da Adamo ed Eva. Ma io, a quel punto, dico: sapete qual è la risposta giusta? La risposta è che non lo sappiamo! Nessuno sa come è arrivata la vita sulla Terra. L'unica cosa certa è che tutti gli elementi chimici, come il carbonio, l'azoto o il ferro, ora presenti nelle nostre cellule, sono stati creati all'interno delle stelle, quando nell'universo c'era quasi soltanto idrogeno, subito dopo il Big Bang. Le stelle si sono poi polverizzate, nel corso di un tempo lunghissimo, e da quelle polveri si è formata anche la Terra, e dunque noi. Insomma, possiamo solo dire che siamo polvere di stelle...»
E i bambini? «Sono affascinati da queste storie, e da quello che non si conosce. E io sono contento se i ragazzi escono con qualche incertezza in più dalle nostre iniziative...».
L'INTERVISTA A MAURIZIO MOLINARI, responsabile del laboratorio sul controllo della produzione proteica all'IRB di BellinzonaLe proteine sono simili alle biciclette
È possibile raccontare ai ragazzi anche i risultati più avanzati (e difficili) della ricerca scientifica?«Bisogna avere molta creatività, e non si deve temere di "sporcarsi le mani" con parole e con semplificazioni che farebbero rabbrividire molti colleghi, durante i congressi. Senza una massiccia dose di fantasia non potrei spiegare, per esempio, qual è l'essenza stessa del mio lavoro: studiare come funziona il reticolo endoplasmatico delle plasmacellule».
In effetti sono termini che un po' «respingono»... «Non si spaventi, e pensi ai castelli di Bellinzona. Le plasmacellule (ma potremmo dire tutte le cellule) assomigliano, per certi aspetti, a un castello, con le torri e una serie di edifici interni. La torre è come il nucleo della cellula, cioè la centrale di controllo. Uno degli edifici interni, piuttosto vasto, è invece una fabbrica, dove si producono gli oggetti che servono agli abitanti del castello. Ebbene, il reticolo endoplasmatico è proprio come quella fabbrica».
Ah, e cosa produce?«Le proteine, elementi fondamentali dell'organismo. Ma non solo le produce: le piega anche, per dare a ogni molecola la forma giusta, seguendo una catena di montaggio che assomiglia in tutto e per tutto a quella di una fabbrica vera. Per esempio, a quella di una fabbrica di biciclette».
Le proteine come le biciclette? «Sì, certamente. Pensi a come vengono costruite: per funzionare, le biciclette hanno bisogno di pedali, ruote, freni, manubrio, campanello, e così via. Se manca anche uno solo di questi elementi la bicicletta non può uscire dalla fabbrica, per essere mandata ai negozi. Il controllo di qualità viene eseguito da un apposito reparto, ed è proprio quello che avviene anche nel reticolo endoplasmatico delle cellule. Se la bicicletta (pardon, la proteina) è completa, e ha la forma giusta, viene portata fuori. Altrimenti, se manca qualche pezzo, come il campanello, viene bloccata».
E il campanello, nell'analogia con le proteine, cosa sarebbe? «È, per esempio, un componente, anche minimo (un amminoacido), della proteina che può provocare, se manca, malattie anche molto serie, come la fibrosi cistica».
Ma quanti tipi diversi di proteine vengono prodotti nell'organismo? «Per vivere ci servono circa ventimila differenti "modelli" di proteine. Ogni tipo ha una sua precisa funzione e viene prodotto in innumerevoli copie... Insomma, le nostre fabbriche e i nostri castelli sono, effettivamente, sotto una forte pressione produttiva. È comprensibile che ogni tanto qualcosa non funzioni, nonostante tutti i controlli. Ma a volte, in realtà, sarebbe quasi meglio se le verifiche non fossero così rigide».
Che cosa intende? «Ci sono situazioni in cui la proteina funzionerebbe comunque, pur con qualche difetto (in fondo, anche una bicicletta funziona senza il campanello), ma l'inflessibile controllore di qualità la elimina ugualmente. È il caso della fibrosi cistica: per un errore genetico, una proteina (chiamata CFTR) che normalmente è composta da 1.480 amminoacidi ne possiede solo 1.479. Il controllore capisce che non è corretta, perché ha una forma un po' diversa rispetto a quella normale, e la blocca. Da lì, poi, nascono problemi molto seri. Sarebbe meglio tenerla così, anche se non funzionante alla perfezione, ma è difficile convincere il direttore della fabbrica a cambiare metodi... Tanti ricercatori nel mondo ci stanno provando».