«Plateau Royal» al Coronado: una serata di eccellenza e amicizia tra Bernard Fournier e Fiorentino Sandri

Giovedì scorso il Centro Congressi Hotel Coronado di Mendrisio ha accolto la Grande Cena «Plateau Royal», evento inserito nel programma di Sapori Ticino 2025. In tavola il mare secondo Bernard Fournier e Francesco Palmeri; nei calici, i vini di Pojer & Sandri di Faedo, raccontati da Fiorentino Sandri, uno dei protagonisti più curiosi e coerenti dell’enologia trentina.
La sala, curata senza orpelli, lasciava parlare i piatti e i bicchieri. È il segno della direzione intrapresa dal Coronado, che negli ultimi anni ha saputo ritagliarsi un ruolo di rilievo tra le location ticinesi capaci di ospitare eventi di gastronomia e cultura del vino, con un’impostazione da centro congressi ma un’anima sempre più conviviale.

Fournier e Palmeri, dialogo in cucina
Bernard Fournier, figura storica della ristorazione locale, ha riportato nel Mendrisiotto l’inconfondibile misura della sua cucina: classica, ma aperta al ritmo del presente. Dopo la chiusura del suo ristorante Da Candida a Campione d’Italia, ha scelto di restare vicino al lago, con un laboratorio gastronomico, Le Royal Fournier, dove elabora su richiesta i suoi piatti simbolo.
«Cucinare è ancora un piacere» ha confidato, «e a Mendrisio ho trovato libertà e spirito di squadra». Al suo fianco Francesco Palmeri, executive chef del Coronado, che ha condiviso fornelli e ritmo di servizio: «Servire pesce crudo è complesso — spiega — richiede precisione assoluta e rispetto del prodotto. Ma quando il risultato arriva, è la soddisfazione più bella».
Il menu ha seguito le linee della brasserie francese rivista in chiave leggera: tapenade d’oliva su crostone come apertura, poi una frittura di sperlano con rouille profumata. Il cuore della cena, il Grand Plateau Royal, ha offerto un mosaico di ostriche Amélie, gamberi rossi, vongole, canolicchi, astici e tartufi di mare, serviti su ghiaccio, in un equilibrio cromatico e materico più da atelier che da cucina.
A seguire, il risotto alla soupe de poisson alla Tropezienne, cotto interamente nel brodo di pesce e mantecato con stracciatella: un punto d’incontro tra Mediterraneo e pianura lombarda. Il dessert, cioccolato bianco e pistacchio, ha chiuso la sequenza con compostezza, firmato dal giovane pasticcere Alessio.

L’anima trentina nei calici
A condurre il viaggio enologico è stato Fiorentino Sandri, cofondatore della cantina Pojer & Sandri, che quest’anno celebra cinquant’anni dalla prima vendemmia. «Siamo partiti nel 1975 con due ettari e un sogno — ha ricordato —. In questi anni abbiamo imparato che il rispetto della natura è prima di tutto un metodo».
Dal 2000 l’azienda lavora senza solfiti in cantina, proteggendo i mosti con azoto per evitare ossidazioni; dal 2007 lava le uve prima della vinificazione, una pratica che elimina impurità e prolunga la vita dei vini. «Sembrava una follia, oggi è una garanzia di purezza» racconta Sandri, che con Fournier condivide una lunga amicizia: «Siamo stati la sua prima cantina quando arrivò a Trento. Poi a Campione abbiamo ritrovato il piacere di fare cose insieme. È un legame che dura da decenni».
Il suo racconto è diretto, concreto, con la voce di chi ha passato mezza vita fra botti e vendemmie. «Il vino deve sapere d’uva, non di legno — ripete —. La barrique serve solo a ossigenare, non a profumare. Se senti il legno, è un difetto».

Quattro vini, quattro storie
Il percorso in abbinamento ha mostrato la versatilità della cantina. Il Brut Rosé — metodo classico, 18 mesi sui lieviti, Pinot Nero e Chardonnay — matura in barrique che hanno contenuto prima il brandy di casa e poi il Merlino, vino fortificato. «Regala una nota mielata e morbida pur restando completamente secco», spiega Sandri.
Il Palai Müller Thurgau, da vigne tra i 700 e i 900 metri, è il simbolo della loro ricerca in quota: «Molti lo assaggiano e non ci credono. Dicono che non sembra un Müller, perché aspettano un vino semplice. Il nostro invece ha profumi profondi e carattere minerale».
Con il Faye Bianco (Chardonnay e Pinot Bianco), affinato in legni misti di rovere, acacia e ciliegio, emerge un’altra idea di eleganza: «Il legno non deve comandare, serve solo a far respirare il vino».
A chiudere, Essenzia, vendemmia tardiva nata nel 1986: un dolce di equilibrio, raccolto a dicembre, che conserva freschezza e acidità. «È un vino che accompagna la conversazione», sorride Sandri.
Gli aceti e i distillati: microcosmo artigianale
Tra un piatto e l’altro, la cantina ha presentato i suoi aceti spray di frutta — da pera Williams a lampone — ideali per il pesce crudo. «Due gocce sull’ostrica cambiano tutto. Il lampone, ad esempio, è una sorpresa», racconta.
Poi la parte dei distillati: la Grappa di Chardonnay, limpida e senza aromi aggiunti, tagliata con acqua di Pejo; un distillato di susine d’Idro, delicato e profumato; il brandy prodotto in appena mille bottiglie numerate l’anno; e infine l’Amaro Contrario, «nato quasi per caso, senza zucchero, con genziana, mallo di noce e caffè. È forte, ma chi ama gli amari lo capisce subito».

Il Ticino come punto d’incontro
Nel suo racconto, Fiorentino Sandri si è soffermato a lungo sul legame con il Ticino, un territorio che considera quasi una seconda casa. «Sono ormai molti anni che vengo qui, e ogni volta trovo qualcosa che mi sorprende. È un Cantone accogliente, ma soprattutto curioso: la gente vuole capire cosa c’è dietro a un vino, a un piatto, a una storia. E questo non succede dappertutto. Qui non basta che una cosa sia buona: deve avere un’anima, un’origine, un senso.»
Ha ricordato anche i rapporti costruiti nel tempo, nati sempre intorno a una tavola. «Con Bernard ci lega un’amicizia profonda, ma in Ticino ho conosciuto anche figure come Aniello Lauro o Angelo Delea: persone con cui abbiamo condiviso momenti bellissimi, sempre con quella semplicità che nasce solo tra chi lavora per passione.»
Sandri parla del Ticino come di una terra di confine capace di accogliere le differenze: «È un territorio unico, che unisce precisione svizzera e calore italiano. Da una parte c’è l’organizzazione, dall’altra la convivialità: due mondi che qui si fondono in modo naturale. Ed è per questo che, secondo me, Mendrisio è oggi uno dei luoghi più interessanti del Cantone. Si muove tra fiere, congressi, cene a tema, incontri di cultura del vino, e lo fa con serietà ma senza formalismi. In particolare non conoscevo così bene il Centro Congressi Hotel Coronado, e devo dire che mi ha colpito. È una struttura grande ma ben organizzata, dove tutto funziona. Ogni cosa al suo posto, il personale gentile, l’ambiente curato. Si percepisce un’attenzione vera, non di facciata. È bello vedere che anche qui si possono fare eventi di questo livello, dove la cucina, il vino e il territorio dialogano alla pari».

