La società

I maschi danzano, «Billy Elliot» crescono

I confini e gli stereotipi di genere stanno diventando sempre più fragili: l’evoluzione riguarda anche i ballerini sul palcoscenico, dove bimbi e ragazzi possono esprimersi con tenacia e creatività
Per molto tempo i pregiudizi hanno reso il ballo ai bambini maschi un mondo sconosciuto e di difficile accesso
Red. Online
10.10.2019 07:00

Femmine ballerine e maschi calciatori: questo è soltanto uno dei cliché più diffusi che riguardano il mondo della danza, una disciplina spesso considerata tabù per gli uomini. Per molto tempo i pregiudizi più diffusi hanno incoraggiato le bambine ad indossare le mezze punte e i collant, mentre per i bimbi il ballo ha rappresentato un mondo sconosciuto e di difficile accesso. Uno stereotipo radicato nella nostra cultura: basti pensare alla celebre frase «Il balletto è donna» pronunciata dal leggendario coreografo russo George Balanchine.

Il corpo «percorso da elettricità»

A contribuire alla lotta agli stereotipi ci ha pensato, in primis, il film del 2000 «Billy Elliot», diretto da Stephen Daldry e ispirato alla storia del ballerino Philip Mosley. Nella pellicola, ambientata nell’Inghilterra degli anni Ottanta, un ragazzo della classe operaia scopre di avere un talento nascosto per la danza, tanto da spiegare il ballo come una sensazione bellissima, attraverso la quale tutto il corpo cambia percorso da elettricità.

Si tratta di un lungometraggio che racconta come il palcoscenico sia uno spazio aperto anche ai maschi, in cui si dimostra come tenacia e passione siano gli ingredienti necessari per inseguire un sogno, anche quando sembra irraggiungibile.

Vantaggi per tutti, anche per l’attore Jean Claude Van Damme (esperto di arti marziali ed ex culturista), che a 16 anni ha seguito corsi di danza classica per aumentare l’elasticità fisica

Viva le coreografie di Fortnite

Oggi la situazione è cambiata: i confini di genere stanno diventando sempre più fluidi, gli stereotipi più fragili. Lo conferma l’esempio di Chase Johnsey, il primo uomo che, nella storia della danza classica, ha debuttato in una produzione della «Bella Addormentata» dell’English National Ballet tra le fila di un corpo di ballo composto finora da sole ragazze. Una grande soddisfazione per il 33enne americano, che ha imparato da solo e in segreto a ballare sulle punte e oggi segna una prospettiva inedita nell’ambito del balletto.

Un altro esempio, finalizzato all’inclusione di ragazzi, è il progetto lanciato dalla Royal Academy di danza e dal Marylebone Cricket Club, pensato per incentivare il ballo in Gran Bretagna e renderlo un’attività fisica per bambini sin dalle scuole elementari. L’iniziativa, ideata nel 2017, si propone di convincere i ragazzini ad utilizzare il proprio corpo per esprimere le loro sensazioni, ad allenarsi in palestra per rendere la muscolatura più flessibile. Il programma ha previsto percorsi di allenamento propedeutici alla danza abbinati ad attività che puntano alla creazione di coreografie del tutto originali, che prendono ispirazione dai movimenti e dai personaggi di Angry Birds o Fortnite.

Anche Terminator balla

La direzione, seguendo le orme di personaggi di primo piano che hanno inserito il balletto tra le loro attività formative, è quella giusta. Qualche esempio? Arnold Schwarzenegger durante il suo percorso come culturista ha frequentato lezioni di ballo per migliorare la postura, mentre l’attore Jean Claude Van Damme, a 16 anni, ha iniziato a studiare danza classica per aumentare l’elasticità fisica.

«I ragazzi sono pieni di qualità e capacità»

«Sì, confermo. Ci sono decisamente più ragazze che ragazzi alle nostre serate», dice Paola Pifferini, 37 anni, responsabile della scuola FreeBeat Dance Studio (sito: freebeat.ch) e organizzatrice di eventi di danza.

Perché questa differenza?

«Credo che ci sia ancora il peso di un certo retaggio culturale. L’immaginario collettivo tende legare la danza all’arte, alle emozioni interiori e all’espressività. Credo che i maschi siano indirizzati agli sport più ‘classici’, di squadra. Eppure anche le nostre coreografie sono fatte in gruppo e ci deve essere una grande intesa tra tutti gli elementi dela crew, ben oltre quella in una squadra di calcio... e poi i maschi che ci si mettono, hanno grandissime qualità e capacità!».

Cambierà mai qualcosa?

«Sì, rispetto al passato le cose sono molto diverse. C’è ancora un gran divario rispetto al resto del mondo. Ci sono realtà in cui stile urbano o la break dance, per esempio, appartengono piuttosto ai maschi che alle ragazze. In generale, però le crew sono più equilibrate».

Il contesto è importante?

«Il contesto è fondamentale. Qui nella Svizzera italiana non abbiamo certo un ambiente che favorisce lo sviluppo di queste realtà. Ci vuole una comunità, dei ritrovi... Certo, una mano ce la possono dare i social network come TikTok, dove si mimano le canzoni o i videogiochi come Fortnite, con i balletti dei personaggi. Ma prima di vederla qui a scuola, forse questa generazione deve ancora crescere...»

Idee per compiere passi avanti?

«Oltre ai nostri ‘open day’ e a serate e manifestazioni, un sogno ma anche una buona idea per ampliare gli orizzonti e mostrare i benefici di questa disciplina sarebbe quella di inserirla nelle ore di educazione fisica a scuola. Ma forse sto correndo un po’ troppo con la fantasia...»