Il cielo immobile del Ticino: la Michelin guarda davvero al Sud delle Alpi?

Ogni anno, quando la Guida Michelin accende il suo firmamento, la Svizzera gastronomica si ferma a guardare il cielo. È un momento di attesa e di curiosità, in cui si cerca il proprio nome tra le nuove costellazioni, come si scruterebbe l’orizzonte nella speranza di riconoscere una luce familiare. Ma da un po’ di tempo, sul versante sud delle Alpi, il cielo sembra immobile. Le stelle ci sono — solide, splendenti — ma appaiono sempre le stesse. Come una costellazione fissa, che non si arricchisce di nuove luci.
Sia chiaro: la Guida Michelin resta, e resterà, il punto di riferimento assoluto della gastronomia mondiale. È capace di cambiare la storia di un locale, la carriera di uno chef, persino l’immagine di una regione. È un sistema solare attorno a cui ruota buona parte del mondo del gusto. Ma se guardiamo alla realtà ticinese, da qualche anno la stessa domanda torna a galla, legittima e un po’ amara: la Michelin tiene davvero in considerazione il Ticino?
Negli ultimi due anni non si sono visti nuovi stellati nel Cantone. Sì, ieri Felix Lo Basso ha ottenuto la sua prima stella ticinese, ma parliamo di uno chef già consacrato da anni nella guida italiana: un nome che da tempo brilla nel panorama europeo. Difficile, dunque, definirlo una «nuova scoperta». Sembra incredibile che, tra le 24 new entry complessive in Svizzera negli ultimi due anni, non sia stato individuato uno chef ticinese degno di entrare nella guida rossa.
Anche le Stelle Verdi, simbolo di sostenibilità e rispetto per l’ambiente, non sembrano toccare il cielo ticinese: a oggi l’unico nome resta quello di Piero Roncoroni, che con coerenza porta avanti un progetto etico all’Osteria del Centro di Comano. E poi ci sono i premi speciali, quelli che valorizzano il servizio, l’accoglienza o le giovani promesse: da ben prima della pandemia nessun ristorante del Cantone li riceve. Possibile che tra i professionisti ticinesi — maître, sommelier o chef under 35 come Federico Palladino o Marco Campanella, che di stelle ne ha addirittura quattro tra Ascona e Arosa — non ci sia nessuno che meriti un riconoscimento?
Un dato, però, balza all’occhio: se si confrontano le valutazioni della Gault&Millau con le stelle della Michelin, emergono differenze significative. In diversi casi, i punteggi assegnati dalla Gault&Millau ai ristoranti ticinesi sarebbero teoricamente compatibili con una o due stelle secondo i parametri della Rossa. Per fare una corrispondenza tra i punteggi delle due guide, è come se mancassero all'appello un due stelle e 1/2 stellati. È chiaro che i criteri siano diversi — e non è questione di «avere ragione o torto» — ma la discrepanza fa riflettere su quanto le due guide percepiscano in modo diverso lo stesso territorio.
Detto questo, non si può parlare di discriminazione. In proporzione alla popolazione, la densità di ristoranti stellati in Ticino è tuttavia in linea con il resto della Svizzera, con un picco evidente nell’area di Lugano, oggi vero polo gastronomico del Sud delle Alpi. E la Michelin, pur avara di novità, ha mostrato una certa coerenza: non ha tolto stelle nemmeno in situazioni delicate, come i cambi di chef o di location. È accaduto, per esempio, al Meta, che ha mantenuto il riconoscimento dopo il trasferimento in Piazza Riforma, o lo scorso anno all’Ecco di Ascona, rimasto a due stelle anche dopo il passaggio di testimone in cucina. È un segnale di fiducia, e non va sottovalutato.
Forse, più che una questione di merito, si tratta di una mancanza di comunicazione. Di un dialogo che andrebbe rafforzato tra la guida e i ristoratori ticinesi, ma anche con i media e gli enti del settore. Il Ticino appare talvolta come un satellite lontano dalle grandi orbite Zurigo–Basilea–Losanna. Ma il talento non ha confini: la qualità della cucina ticinese è sotto gli occhi di tutti, e non manca certo di personalità, tecnica e identità.
Per questo, più che una polemica, questa vuole essere una riflessione ad alta voce. Forse la Michelin non ignora il Ticino. O forse sì. Ma la risposta, in fondo, conta relativamente: ciò che davvero importa è che i ristoratori ticinesi si impegnino maggiormente a raccontare il territorio con autenticità, costruendo relazioni, consolidando visibilità e offrendo un’eccellenza riconoscibile a ogni livello, dall’alta gastronomia alle trattorie. Perché le stelle non scendono da sole: bisogna saperle attrarre, guardarle, invitarle a brillare più vicino. Anche perché avere ristoranti nelle guide ma che poi non vengono riempiti dai clienti, gli unici veri giudici che contano, serve a ben poco.
E ricordarsi che fanno parte di un unico cielo — quello della gastronomia ticinese, che ha bisogno sì delle stelle, ma anche di tutti gli altri elementi che rendono vivo e pulsante un firmamento che ha ancora - tanto - da dire.
