La dittatura dei «like» verso il tramonto?

Qualche giorno fa chi ha aperto Instagram si è accorto di una cosa nuova e strana. Sotto ogni post non c’era più il numero dei like, ovvero di quanto fosse piaciuto alle persone che lo avevano visto. Ma soltanto che era piaciuto ad «altre persone». In sostanza Menlo Park, quartier generale di Mark Zuckerberg, ha eliminato il numero dei like dal suo social più in ascesa in questi ultimi tempi, e conta di farlo anche su Facebook. È una rivoluzione? Finirà l’era degli influencer che proprio attraverso la quantità di like hanno basato il loro successo e le loro ricchezze di questi anni? E finirà anche questo costume di comprare i follower su Instagram per dare più valore ai propri profili? Perché avviene anche questo. Accade che si passi da diecimila follower a centomila in un mese, che neanche se vinci un premio Oscar ti potrebbe accadere. E sono decine di migliaia di euro di spesa, ma soprattutto un’ossessione per il successo a ogni costo. Nel senso letterale della parola.
La storia è molto interessante, perché le motivazioni di Facebook e Instagram sono di un tipo, mentre i risultati culturali sono di un altro. Vediamo di capirlo bene. Da sempre Instagram è un attrattore di successo, o per dirla meglio: incoraggia a pubblicare immagini che piacciano al maggior numero di persone possibili. Così le persone pubblicano fotografie, non sempre perché hanno un particolare significato per loro, ma per attirare i like. I like sono il risultato di una serie di gusti e condizionamenti culturali. Se posti il gattino che cade nella scatola dei biscotti ne avrai molti. E in generale molti se hai l’abitudine di mettere foto di animali. E in particolare di cuccioli. I like sono la conseguenza ovvia di fotografie dedicate alla natura e al paesaggio, se parliamo di luoghi di particolare suggestione, o alla bellezza dei corpi. I selfie delle modelle e dei modelli sono molto graditi, e sono graditi i tramonti. E tutte quelle cose che hanno un riscontro molto popolare. Poi ci sono i divi. Ma quelli raccolgono consensi perché sono famosi o addirittura celebri. Ed è un’altra storia.



In poco tempo chi sta su Instagram (ma vale anche per Facebook) comincia a sviluppare una strana sindrome. Ovvero comincia a postare fotografie che raccolgano consenso. E ogni volta si aggiusta il tiro. Se un certo tipo di fotografia riceverà pochi like non verrà più postata. Non lo si fa in modo consapevole: è un automatismo. È vero che le persone comuni postano per gli amici e non per diventare degli influencer. È vero che per gli amici metti anche delle fotografie che hanno un valore e un significato quasi privato. Ma ai like ci fai caso. E allora ecco che si genera un gusto collettivo. E questo gusto, con il tempo, ha abbassato la qualità delle immagini che vengono postate. Ovvero: quelle davvero particolari, quelle con una loro bellezza non immediata, vengono scartate come a dire: se posto questa nessuno mi considererà, troppo difficile, troppo sofisticata. Zuckerberg e i suoi corrono ai ripari perché sono preoccu-pati del nostro futuro livello culturale? Neanche un po’. Per loro il problema è diverso. Se io posto delle fotografie e ho pochi like, dopo un po’ mi vergogno di mostrare quei miseri due o tre mi piace. Per cui, dopo aver constatato per un po’ di volte questo tipo di insuccesso, smetto di usare il social network, lo abbandono e gli affari di Facebook e Instagram calano. E allora togliamola questa cosa di quanto successo hai, oscuriamola. Il progetto è partito dal Canada e ora si diffonde nel resto del mondo. Ma per la verità l’oscuramento dei like è solo relativo. Perché basta cliccare sui «mi piace» senza più il numero e si apre una finestra che li indica uno a uno. Se sono 5.000 non li puoi contare ma scorrendoli ti rendi conto che sono tantissimi. Se invece saranno quei tre resteranno sullo schermo senza poter nascondere nulla. Ma è comunque un segnale, e forse un segnale positivo. E arriverà, come ormai sembra sicuro, anche per Facebook.



La ricerca del consenso in questi anni ha generato mostri, se così si può dire. Si postano foto e testi, si scrivono opinioni, si condividono parole e immagini che devono portare approvazione e visibilità. Per farlo va abbassata la qualità, per farlo si deve smettere di dire cose originali, sofisticate, o mettere foto particolarmente belle: va tutto semplificato. Questo abbassare di continuo il livello per cercare consenso ha generato il mondo di oggi. E una parte della responsabilità è certamente dei social. Così senza il numero dei like anche noi potremmo pensare più a quello che piace a noi e non a quello che piacerà a tutti. E si leggeranno meno banalità, meno proclami, meno slogan, e su Instagram meno foto che suscitino immediato consenso ma che dimentichiamo dopo un minuto, quando invece le parole e le immagini che contano devono restarci nella mente per molto tempo e contribuire al nostro gusto e alla vera bellezza del mondo. Non ad un successo effimero fatto di niente.