L'intervista

La pratica filosofica: i bambini e il «teatro della ragione»

Uno sguardo alla pratica filosofica, ambito oggi sempre più in fermento anche in Ticino, tra consulenza e laboratori.
Michele Castiglioni
19.05.2022 07:00

Si pensa al mondo filosofico e l’immaginario si popola di libri fatti di piombo e personaggi atipici che compiono profonde riflessioni lontane dalla praticità quotidiana. E invece no: la filosofia non solo è estremamente viva, ma è anche sempre più presente nel vivere comune. La filosofia pratica è un campo aperto, fecondo e stimolante che si sta facendo sempre più strada anche alle nostre latitudini. Ma come viene «applicata», qual è l’utilizzo della filosofia pratica? Ne abbiamo parlato con Silvio Joller, filosofo e curatore di diversi progetti di filosofia pratica sul territorio, dalla mediazione museale presso il Masi (LAC), dove propone laboratori di «Arte e Filosofia» alla collaborazione con la comunità socioterapeutica «Arco», come conduttore del laboratorio «Pensieri e parole». Inoltre, conduce laboratori di pratica filosofica per bambini e adulti in vari contesti: scuole elementari, festival, ditte e associazioni e collabora a livello svizzero e internazionale con associazioni di pratica filosofica.

Filosofia per bambini, filosofia «pratica»: di cosa parliamo?
«Cominciamo con il dire che il nome stesso è l’accostamento di due termini che dovrebbero essere antitetici, ovvero «filosofia» e «pratica»: la filosofia riguarda il pensiero e il pensiero in sé è una funzione naturale della mente. Ma il pensiero che riflette su sé stesso diventa filosofico. Mi piace separare il «pensare» dal «riflettere». Il primo è spontaneo, il secondo implica un lavoro. Tutte le domande che la filosofia classicamente si pone - «chi sono?», «qual è il senso del mondo?» - sono tutte domande che non hanno una vera risposta, ma implicano il riflettere sul «perché lo pensi?». In questo senso, la filosofia si riferisce appunto ad un lavoro meditativo sostanzialmente individuale. Ecco, il lavoro filosofico diventa pratico quando, nella seconda metà del ‘900, passa dall’essere individuale ad essere un lavoro «tra» le persone. Il pensiero si «costruisce» insieme ali altri, attivando una dimensione collettiva del pensiero che (ri)apre una dimensione che era un po’ andata persa, quella orale. E allora, ecco che «pratico» significa compiere questo lavoro di analisi del pensiero, ma in una dinamica intersoggettiva, grazie all’oralità. Normalmente l’attività filosofica è tradizionalmente legata alla scrittura: le grandi opere dei grandi pensatori sono delle opere scritte, risultato del lavoro individuale sopra descritto. La dimensione orale va, invece, a recuperare metaforicamente le «origini» della filosofia - Platone e i testi filosofici in forma di teatro. La filosofia pratica, lo è in quanto dialogica: si fa pensiero parlando, discutendo e mettendo in scena l’uso della ragione, una sorta di «Teatro della ragione». Il parallelo è con Socrate: il filosofo si toglie dalla posizione di portatore di un pensiero (già) elaborato, e assume quello della «levatrice», permettendo il nascere dell’opinione della persona, in un approccio evolutivo».

Quali sono le «correnti»?
«A partire dagli anni `70-`80 del ‘900 si sviluppano in modo più o meno autonomo due linee di pratica della filosofia: da una parte la corrente sviluppata negli Stati Uniti da Lipman, la «Philosophy for children» e, in Germania, la consulenza filosofica con Achenbach. Sono approcci anche distanti tra loro, con intenti molto diversi, ma che lavorano su questa dimensione dialogica, di costruzione di un pensiero condiviso».

E come si fa filosofia con i bambini?
«Anche qui, l’accostamento dei termini sembra rappresentare un ossimoro, con l’infanzia e quindi l’inizio dello sviluppo cognitivo da una parte e la filosofia che rappresenta l’acme dello sviluppo intellettuale e della maturità di pensiero dall’altra. Ma è proprio qui l’equivoco: con i bimbi non si fa storia della filosofia o chissà quale lavoro concettuale. È la questione che è mal posta, e si capisce se si inverte il senso della domanda, ovvero: «cosa succede alla filosofia di fronte all’infanzia?» L’infanzia ancora non «riflette» e quindi la filosofia nel confronto con essa viene trascinata al suo «punto zero», dove il riflettere ha il suo inizio. E con i bambini funziona molto bene, perché detengono una capacità che da adulti va perlopiù persa, ovvero la predisposizione verso la meraviglia, senza il peso di conoscenze pregresse. Così prendono di petto varie questioni che invece gli adulti mediano attraverso l’esperienza, l’immagine di sé, le conoscenze. Pensiamo ad esempio al tema della morte: una persona adulta affrontandolo dovrà per forza mediare fra tabù, paure, credenze. Il bambino no, è in grado di «restare» sulla domanda senza scappare (anche se ne ha timore), perché deve ancora crearsi le parole per affrontare il tema. La stessa cosa avviene con l’arte. Generalizzando direi che per gli adulti il lavoro è di decostruzione dei propri preconcetti, mentre coi bambini, all’opposto, è di costruzione (dei concetti)».

Il lavoro è volto al guardare, al sentire, al percepire la relazione con un’opera d’arte senza «chiuderla» con un mi piace/non mi piace

Parlando di arte, lei tiene delle sessioni con i bambini al LAC utilizzandola per generare un dialogo.
«Il lavoro è volto al guardare, al sentire, al percepire la relazione con un’opera d’arte senza «chiuderla» con un mi piace/non mi piace. L’invito è quello ad «indagare l’oggetto», a vedere come è fatto, cosa rappresenta, che elementi contiene senza soffermarsi alla prima questione di «gusto personale». Quello che io invito a fare è di cercare di comprendere cosa l’opera è al di là di quello che mi può apparire soggettivamente. E questo si può fare proprio perché in una dimensione intersoggettiva.»

Che ruolo può avere la pratica filosofica nella quotidianità del contesto contemporaneo?
«Nel ‘900 in particolare, la filosofia interviene nella sfera pubblica attraverso la figura dell’intellettuale, colui che interviene in un dibattito portando le sue idee, le sue riflessioni, con tutto il peso della propria conoscenza e capacità critica. La filosofia pratica è una cosa diversa (e complementare). Nel contesto attuale di post verità e disinformazione, dove ci formiamo le opinioni sui media e sui social, la pratica filosofica può essere un modo con il quale agire nella società in modo costruttivo. Oggi releghiamo la formazione dell’opinione sempre all’individuo, bombardato da «posizioni» tra le quali indentificarsi (anche acriticamente). La filosofia pratica cerca invece di costruire dei ponti; fa in modo che si possa creare e condividere un pensiero. Certo, all’atto pratico deve assumere una forma economicamente e formalmente definita, ed ecco quindi la consulenza filosofica. Ma ci sono anche spazi di altro tipo che permettono la pratica filosofica, in ambiti sociali, educativi, di mediazione, etc.»

Quale ruolo dovrebbe avere la filosofia a livello formativo?
«La filosofia pratica ha assunto un ruolo in vari paesi e contesti. Per esempio, in alcuni casi (Belgio e Francia in particolare, ma anche in qualche stato americano) è stata inserita nella griglia scolastica come momento che va a supplire civica, etica, religione, etc. Ma con griglie scolastiche già strapiene di contenuti, in che forma può presentarsi la pratica filosofica in una scuola già molto densa? Proponendo dei momenti «liberi», di riflessione, nei quali ai ragazzi è consentito dialogare e dove possano far emergere il loro pensiero, anche su ciò che imparano a scuola: la pratica filosofica è una grande occasione di crescita».

La realtà ticinese è stata mappata nel congresso «Sapere, potere, agire» della Società Filosofica Svizzera: diversi professionisti si muovono nell’ambito della consulenza, mentre c’è poco per ciò che concerne l’approccio più incentrato sul gruppo

E in Ticino che succede?
«La realtà ticinese è stata mappata nel congresso «Sapere, potere, agire» della Società Filosofica Svizzera: diversi professionisti si muovono nell’ambito della consulenza, mentre c’è poco per ciò che concerne l’approccio più incentrato sul gruppo - come faccio io - a parte un’iniziativa di Pro Juventute («Filosofare») che lavora con le scuole e alcune persone che lavorano in progetti specifici. Personalmente, quando ho cominciato qui in Ticino 12 anni fa non c’era nessuno, ma nel tempo sono riuscito a farne un’attività e oggi lavoro con il MASI/LAC con il citato progetto «estetico» basato sull’arte, ma anche con alcune comunità terapeutiche del territorio, come la comunità Arco e Archetto (dell’Istituto Canisio), in un laboratorio con adolescenti. E poi ci sono tutti gli atelier per bambini, per esempio con l’associazione Riccio Giramondo a Lugano. Inoltre, stiamo lavorando per creare un’associazione per la pratica filosofica a livello cantonale, perché a questo punto è molto importante cominciare a fare rete».

E se si volesse intraprendere questo percorso?
«Ci sono molti corsi a livello universitario che consentono un approccio formativo all’ambito». 

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