Pericoli dell'innovazione

L’auto elettrica non si avvia? Tranquilli, basta pagare il riscatto

Con le auto connesse non solo regaliamo tanti dati privati al costruttore, ma siamo pure esposti al rischio di una nuova pirateria.
Sempre più attuale è il rischio di attacchi informatici chiamati «car hacking».
Tarcisio Bullo
Tarcisio Bullo
21.04.2022 10:00

Non tutti ne sono consapevoli, ma sarebbe bene che lo fossero. Quando guidiamo un’auto di quelle che le case automobilistiche annunciano con orgoglio come completamente connesse (alla rete evidentemente), in quanto proprietari di questa automobile mettiamo nelle mani dei costruttori un’infinità di dati che sono assolutamente privati e che consegniamo loro gratuitamente. L’internet delle cose ormai si è abbattuto come un ciclone anche sul settore dell’automotive, che infatti stringe sempre più alleanze con i colossi della rete, come Google, Apple, Amazon e via dicendo. Il motivo è presto detto: l’automobile, specialmente quella elettrica, non si differenzia molto da uno smartphone al quale sono state applicate delle ruote. Quando si parla di auto connesse, si dice di un veicolo che abbia un sistema di comunicazione sviluppato in maniera tale da permettere l’invio e la ricezione di dati senza collegarsi con un dispositivo mobile. Una «connected car» dialoga direttamente con un cloud e tramite esso con il costruttore: può farlo anche con altre automobili, con altri dispositivi, finanche, se la casa è dotata della tecnologia necessaria, con la nostra abitazione.

I vantaggi dell’auto connessa li conosciamo: grazie al display e al sistema di infotainment del nostro veicolo, possiamo accedere anche in viaggio ad una miriade di informazioni utili, tutte aggiornate in tempo reale. Con l’auto elettrica, è probabile che in caso di guasto non dovremmo nemmeno recarci in officina: grazie alla connessione con i servizi tecnici del costruttore, qualche ingegnere lontano centinaia o migliaia di chilometri potrà intervenire direttamente per porre rimedio ai problemi del nostro veicolo. Non solo: ormai sul mercato stanno apparendo varie opzioni e servizi che si potranno attivare a pagamento e che possono rendere la nostra auto sempre aggiornata e sempre più performante. È la stessa strada che percorriamo con altri apparecchi elettronici dotati di software, per i quali vengono rilasciati degli aggiornamenti che possiamo accettare o rifiutare.

Il rovescio della medaglia è rappresentato dal fatto che il costruttore con l’auto connessa sarà messo al corrente delle nostre abitudini (dove andiamo, quando, dove ci fermiamo, che tipo di informazioni consumiamo,…) e proprio per questo finirà per proporci, direttamente o tramite qualche azienda associata, tutta una serie di offerte alle quali poi difficilmente saremo in grado di rinunciare. Non solo: è facilmente intuibile che a questo punto si apra un grosso punto interrogativo legato alla sicurezza e alla vulnerabilità della nostra auto. Si parla già infatti di car hacking alludendo al fenomeno di attacchi informatici che mirano a colpire l’automobile. Non tanto per poterla rubare, ma per magari riuscire a bloccarla o mettere fuori uso momentaneamente determinati sistemi di aiuti alla guida, riattivabili poi pagando un riscatto. Non è un caso se nel 2019 l’Unione Europea, consapevole del pericolo rappresentato dal car hacking ha deciso si stanziare 450 milioni di euro per proteggere da un punto di vista informatico le auto di nuova generazione.

In un’intervista concessa al Detroit Free Press, il più grande quotidiano di Detroit, Moshe Shlisel, Ceo e co-fondatore di Guard Knox, società con sede negli Stati Uniti e in Germania specializzata nella produzione di tecnologia destinata alla sicurezza delle automobili, è stato piuttosto brutale: «Più il sistema è sofisticato, più il tuo veicolo è connesso, più sei esposto», ha detto. Aggiungendo: «Abbiamo preso qualsiasi modello di auto a cui pensiate e lo abbiamo hackerato in vari punti. Possiamo controllare il tuo sterzo, spegnere e avviare il tuo motore, controllare i tuoi freni, le tue porte, i tuoi tergicristalli, aprire e chiudere il tuo bagagliaio».

Se questo appartiene ormai già alla realtà di tutti i giorni, un fatto inquietante è per contro capitato lo scorso mese di dicembre a Parigi, quando un tassista fuori servizio, al volante di una Tesla, ha perso il controllo della sua vettura, che ad un semaforo ha travolto una ventina di passanti e un ciclista, con un bilancio di alcuni feriti gravi ed un morto. Tutto rientrerebbe nella triste logica delle cose se non fosse che il conducente, un cinquantenne assolutamente sobrio e al quale non è stato riscontrato uno stato alterato per l’uso di droga, ha sostenuto caparbiamente che la sua Tesla ha accelerato a tutto gas appena superato un semaforo e non rispondeva più ai comandi. Avvisata di quest’altro incidente capitato ad un suo veicolo dotato di guida autonoma, da parte sua Tesla si è affrettata a comunicare che l’analisi dei dati eseguita dai tecnici della casa sulla «sua» auto non ha rivelato alcuna disfunzione. L’inchiesta avviata è ancora in corso e sicuramente non sarà facile chiarire la dinamica dell’incidente, anche perché il costruttore americano, noto per la sua propensione ad anticipare l’uso di tecnologie avveniristiche, ha potuto avere accesso ai dati custoditi dall’automobile prima ancora della giustizia francese. In questo caso, dunque, non è in ballo la protezione dei dati personali, quanto piuttosto l’ipotesi che da remoto potrebbero essere stati manipolati dei dati sensibili per pure ragioni di mercato. Si apre dunque un nuovo capitolo della storia, che chiama in causa la giustizia, la quale deve in qualche modo assicurarsi che i dati della scatola nera di un’auto coinvolta in un incidente siano bloccati e resi inaccessibili a chiunque, tranne a chi è incaricato dell’inchiesta.

Il problema non concerne evidentemente solo Tesla: tutti i costruttori di auto elettriche e connesse possono intervenire sulle loro «creature» e non è difficile immaginarsi, dal momento che questi colossi sono quotati in borsa con enormi capitalizzazioni, cosa succederebbe se un’inchiesta indipendente stabilisse che un sistema di guida autonomo, di qualsiasi livello, non è in grado di garantire la necessaria sicurezza.

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