Tra le pagine

Lo sguardo attento degli scrittori sulla nostra identità

Una breve e arbitraria antologia di citazioni letterarie tratte da opere di narrazione e non solo che hanno usato il paesaggio della Svizzera italiana come sfondo
Ticino: terra di libri, lettori, scrittori e citazioni.
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
22.09.2022 08:47

Forse è il modo migliore per capire un Paese, il suo carattere, le sue radici, i suoi valori e le sue contraddizioni. La letteratura è certo l’arte delle parole, ma anche il retaggio di una cultura. Una finestra sulla ricchezza culturale e linguistica di un territorio e di coloro che lo abitano. Lo specchio più sincero di noi stessi, ma anche una lente d’ingrandimento per interpretare come siamo diventati ciò che siamo, arricchendoci poiché sinonimo di curiosità, per il passato, il presente e il futuro. Di sicuro la civiltà di un Paese la si misura anche dalla cura che ha della propria memoria letteraria. Così per interpretare culturalmente l’argomento di questo numero di Illustrazione Ticinese abbiamo pensato di dare uno sguardo a come gli scrittori e i romanzieri (limitandoci alla narrativa) hanno raccontato questa terra curiosa «d’anima genuinamente lombarda e di sentimento politico robustamente svizzero» provando a districarci nell’immensità di libri e volumi che, in qualche modo, descrivono un angolo della Svizzera italiana. Evitando però accuratamente di citare gli scrittori troppo «nostri» per nascita o per adozione culturale in modo da curiosare tra le righe di quello che potremmo definire «lo sguardo degli altri». Niente estati di Klingsor, «minchionate» di Gori e nemmeno indagini di Elia Contini, dunque, anche per fare un po’ d’ordine in una impressionante miriade di riferimenti letterari da far tremare le più solide biblioteche di Babele. A oggi, infatti, come ci spiega la fondamentale Guida letteraria della Svizzera italiana imprescindibile strumento cui appigliarsi in questo genere di operazioni, sono state raccolte complessivamente qualcosa come 2.303 citazioni, 649 autori e 324 luoghi verificati, di scrittori e poeti che hanno interpretato il nostro territorio. La Guida è un’iniziativa che vuole portare nuovi sguardi sul nostro territorio, attraverso gli occhi degli scrittori e dei poeti che usando il suo paesaggio come sfondo della narrazione hanno reso la Svizzera italiana una terra non solo di passaggio, ma anche d’accoglienza, di rifugio e d’ispirazione creativa. Dalle recensioni del viaggiatore inglese Samuel Butler, che visita il Sud delle Alpi nella seconda metà dell’Ottocento e scrive dei suoi alloggi e panorami prediletti, all’Ascona descritta come una «Capri nordica» dal Premio Nobel Eugenio Montale nel 1971 c’è solo l’imbarazzo della scelta in un intrico di citazioni che usano i paesaggi ticinesi (e grigionitaliani) come sfondo della narrazione.

A spasso per il cantone

Buttiamoci allora un po’ a caso e senza un preciso senso geografico o cronologico nelle nostre note sparse volando alto ovvero con l’Hemingway di Addio alle armi (uscito nel 1929) dove si legge: «Dopo alcune ore arrivarono a Brissago, località svizzera del Canton Ticino, sulla sponda destra del Verbano, appena varcato il confine con l’Italia. Era un villaggio simpatico. C’erano molte barche da pesca lungo la banchina e reti stese sui rastrellieri... Spinsi forte sul remo sinistro e mi avvicinai. Poi mi raddrizzai quando fummo vicino alla banchina e portai la barca ben aderente al muro. Rientrai i remi, afferrai un anello di ferro, scesi sulla pietra bagnata ed ero in Svizzera». Di passaggio era anche nel 1878 il giovane e tormentato poeta francese Arthur Rimbaud che in viaggio verso l’Italia transita, superato il Passo del Gottardo, anche dal Canton Ticino, continuando poi «dal piacevole Lago di Lugano al piacevole Lago di Como». Dice: «ho dormito nel cuore del Canton Ticino, in un fienile solitario dove ruminava una vacca ossuta che ha acconsentito a cedermi un po’ di paglia». Pescatori e contadini dunque. Max Frisch invece, che l’Onsernone la conosceva bene, nell’ Uomo dell’Olocene (1979) sottolinea il mito della frontiera con l’Italia descrivendo come «In fondo alla valle, dove la strada finisce, stanno le guardie confinarie italiane nella loro uniforme, ragazzi di Palermo e Messina, le mani in tasca, lieti quando un taglialegna o un pescatore sportivo si ferma a chiacchierare con loro. Attualmente neanche il contrabbando per montagne impervie vale la pena». Restando in zona, punto di congiunzione, o di transizione, fra i due periodi in cui la casa fu centro importante di cultura, fu probabilmente il soggiorno a Comologno, all’inizio del 1935, di Elias Canetti, salito lassù col proposito di scrivere un libretto per un’opera che Wladimir Vogel avrebbe dovuto comporre. Ce ne dà notizia lo scrittore in Das Augenspiel, Lebensgeschichte 1931-1935 con fine «humor» («l’anno 1935 cominciò per me fra ghiaccio e granito. A Comologno, lassù nella meravigliosa cornice della Val Onsernone coperta di ghiaccio, feci per alcune settimane il tentativo di collaborare con Wladimir Vogel a una nuova opera lirica…»).

Le città sul Ceresio e Verbano

A Lugano, noblesse oblige, riserviamo invece tra le innumerevoli, un brano autobiografico di Giacomo Casanova che nella sua Storia della mia vita (1822) scrive: «L’indomani mattina, mi recai senz’altro dal dottor Agnelli il tipografo, che era prete e teologo, nonché persona assai onesta e in breve stipulammo un contratto secondo le regole, in cui ci impegnavamo lui a consegnarmi quattro fogli alla settimana in duecento copie, io a pagarlo alla consegna: da parte sua, inoltre, Agnelli si riservava il diritto di censura, augurandosi comunque di trovarsi sempre d’accordo con me». L’unico romanzo di ambientazione non abruzzese dell’abruzzese Ignazio Silone è invece La volpe e le camelie (uscito nel 1960) che del Verbano elvetico racconta: «Nunziatina si diresse al punto della banchina che le era stato indicato e si mise ad aspettare appoggiata alla ringhiera del parapetto. Il grosso battello per Stresa spariva in quel momento dietro l’incurvatura dei Saleggi. Nella prossimità dell’imbarcadero frotte di gabbiani si rincorrevano, si disputavano il cibo tra le immondizie galleggianti sull’acqua, si alzavano, si disperdevano in tutte le direzioni, poi tornavano, si riunivano in nuovi gruppi, convergevano tutti sullo stesso punto, si beccavano, emettendo strida isteriche, inseguivano quello di essi che s’era impadronito d’un cibo più sostanzioso».

Il Magnifico Borgo 

Mendrisio e il Mendrisiotto era piaciuta particolarmente al britannico Samuel Butler che nel 1881 in Alpi e santuari del Canton Ticino scriveva: «I dintorni di Mendrisio - il Mendrisiotto, come li chiamano - sono magnifici. Bisognerebbe stabilire il quartier generale a Mendrisio stesso, dove c’è un ottimo albergo, l’Hotel Mendrisio, tenuto dalla Signora Pasta, insuperabile quanto a comodità e tutto quanto rende gradevole il soggiorno in un albergo. Non ho mai visto una casa dove la disposizione fosse più perfetta; anche nel pieno del caldo le stanze erano fresche e ariose, le notti non opprimenti. Il segreto sta forse in parte nel fatto che Mendrisio è più alto di quanto potrebbe parere, e che l’albergo, posto sul pendio della collina, piglia tutta la brezza». Tanto per dare una spinta al turismo così come grande entusiasmo per la regione lo nutriva anche il poeta, scrittore e drammaturgo premio Nobel per la Letteratura nel 1912 il tedesco Gerhart Hauptmann che nel suo capolavoro narrativo (L’eretico di Soana) così illustrava al mondo intero l’idilliaco villaggio di Rovio (alias, per ragioni che lasciamo scoprire al lettore curioso, Soana appunto): «Sulle pendici di un monte che sovrasta il lago di Lugano si trova fra gli altri anche un piccolo paese montano raggiungibile all’incirca in un’ora partendo dalla riva del lago e percorrendo una ripida e sinuosa strada di montagna. Le case del luogo, come nella maggior parte dei paesi italiani del circondario, sono incastrate una dentro l’altra come un’unica grigia rovina di pietra e calce, e sono tutte rivolte verso una vallata molto stretta, chiusa da un lato dai prati e dai terrazzi dei poderi, dall’altro dal possente pendio del sovrastante e gigantesco monte Generoso».

Verso le Alpi

D’altronde un altro Nobel (stavolta svizzero) Carl Spitteler insignito nel 1919 nel suo Il Gottardo ammoniva «Consiglio a tutti coloro che mettono in dubbio i colori italiani della Leventina di fare due passi sul ponte sul fiume Brenno, presso Biasca, in un bel pomeriggio sul tardi: vedranno dei caleidoscopici giochi di colore e cambieranno completamente idea». Le idee ben chiare le aveva invece Ugo Foscolo cui affidiamo l’esaltazione dell’orgoglio del Grigioni Italiano. Sulla via dell’esilio che lo avrebbe condotto prima a Zurigo e poi in Inghilterra (siamo nella prima vera del 1815) il focoso letterato, patriota e poeta di Zante soggiornò per circa un mese in Mesolcina, a Roveredo, dapprima ospite del governatore Clemente a Marca quindi dell’albergo Croce Bianca. Di quell’esperienza Foscolo scrisse nei suoi discorsi Della servitù d’Italia lasciandoci in eredità una sorta di apoteosi identitaria della Svizzera italiana: «Qui guardo tuttavia le nostre Alpi, e mi sento sonare alle volte intorno all’orecchio alcun accento italiano. Ed oltre agli uomini che parlano italiano, e son pur liberi (fenomeno inesplicabile quasi) questa repubblica è composta de’ Rezi. A Dio bensì mando questa preghiera: che preservi dalle armi, dalle insidie, e più assai dai costumi delle altre nazioni, la sacra confederazione delle repubbliche svizzere, e particolarmente questo popolo de’Grigioni; affinché, se l’Europa diventasse inabitabile agli uomini incapaci a servire, possano qui almeno trovare la libera quiete». E scusate se è poco. 

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