La polemica

Balenciaga e le accuse di pedopornografia

La bufera su una delle maison di moda più apprezzate negli ultimi anni, scusatasi per due campagne pubblicitarie tacciate di pedopornografia infantile, dimostra come i social possano trasformarsi in preziosi strumenti di lotta e di denuncia
© Balenciaga
Prisca Dindo
05.12.2022 18:30

Un fatturato che supera il miliardo di euro, raddoppiato in un solo anno, un Oscar della moda portato a casa nel 2021. Osannato e glorificato dai social, Balenciaga figurava tra i marchi di moda più influenti sul panorama mondiale. Fino ad alcune settimana fa, quando il luxury brand spagnolo del colosso francese Kering è inciampato in una disgustosa campagna pubblicitaria subito stigmatizzata sui social. Anzi, due: la prima, basata su sei fotografie, vedeva protagonisti alcuni bambini che stringevano borse–orsacchiotti in tenuta da bondage. Intorno ai piccoli, oggetti BDSM (acronimo di Bondage e Disciplina, Dominazione e Sottomissione, Sadismo e Masochismo) sparsi sul pavimento e sui letti delle loro camerette. Collari, nastro adesivo, passamontagna.

Della seconda campagna, è stato un dettaglio a gettare ulteriore benzina sul fuoco. Lo si intravedeva su una scrivania, alle spalle della modella: una copia della decisione della Corte Suprema sulle leggi che riguardano la pornografia infantile.

Scarpe incendiate, maglioni tagliati a pezzi, borse gettate nella spazzatura. La rabbia social non si è fatta attendere. Nel giro di poche ore è scattata la mannaia globale del boicottaggio.

Pure Kim Kardashian, la musa della maison di moda e regina dei social, ha preso le distanze dal marchio del lusso.  

«Come madre di quattro figli, sono stata scossa dalle immagini inquietanti; per me la sicurezza dei bambini deve essere tenuta con la massima considerazione e qualsiasi tentativo di normalizzare gli abusi sui minori di qualsiasi tipo non dovrebbe avere posto nella nostra società, punto» ha twittato la Kardashian, la quale – lo ricordiamo – si era presentata all’ultimo Met Gala fasciata e incappucciata dalla testa ai piedi, volto compreso. Un discutibile total-black firmato proprio Balenciaga.

Dopo la goffa reazione dei vertici del colosso della moda che hanno minacciato mezzo mondo di azioni legali, venerdì scorso è giunto il mea culpa dello stesso Demna Gvasalia.  

«Non è stato appropriato avere bambini in foto che promuovevano oggetti che non hanno nulla a che fare con loro – ha ammesso il direttore creativo di Balanciaga –. Per quanto a volte mi piace provocare un pensiero attraverso il mio lavoro, non avrei mai avuto intenzione di farlo con un argomento così orribile come l’abuso sui minori che condanno. È stata una scelta artistica sbagliata».

Gvasalia ha sempre amato la provocazione. I sacchi dell’immondizia trasformati in borse in pelle da quattromila euro l’una viste sulle passerelle a Parigi, beh, ne sono un esempio.

Del resto, sono proprio le sue sfide artistiche ad averlo fatto entrare a furor di like (e di euro) nell’Olimpo della moda.

Il direttore artistico della casa di moda spagnola ha sempre puntato molto sui social. La sua linea composta di esclusività mischiata allo streetwear ha un esercito di discepoli su Instagram.

Basterà la sua ammissione di colpa? Forse. 

Ma il terremoto in casa Balenciaga parla anche di comunicazione 3.0. Spesso, i social sono dipinti come luoghi di grande superficialità: «Il regno del nulla» come dicono alcuni. La realtà dimostra il contrario. Oggi TikTok, Instagram, Twitter o Facebook possono trasformarsi in potenti strumenti di lotta e di denuncia globale. I social come ti creano ti distruggono alla velocità della luce. Ciò, guardando l’ultima campagna Balenciaga, non può che essere un bene. Sperando che la casa di moda abbia imparato la lezione.