Il ricordo

La morte di Gianni Versace, 25 anni fa

Ucciso sugli scalini della sua villa a Miami da Andrew Cunanan, lo stilista e genio italiano segnò un'epoca con le sue creazioni
Marcello Pelizzari
15.07.2022 06:00

Nel 2018, addirittura, l’assassinio di Gianni Versace divenne una serie televisiva. Meglio: una stagione, la seconda, all’interno dell’antologia American Crime Story. Logico, per certi versi, soprattutto considerando la mediatizzazione del caso. 

Gianni Versace morì a Miami il 15 luglio del 1997, venticinque anni fa, per mano di Andrew Cunanan. Un tossicodipendente, citiamo Wikipedia, dedito alla prostituzione omosessuale, sospettato di aver assassinato in precedenza altre persone e per questo da tempo ricercato. Stilista, genio, fenomeno, Versace assomigliava a un semidio per talento e ispirazione. Era una mattina d’estate, negli Stati Uniti. I media italiani diedero la notizia alle tre del pomeriggio. Sembrava la fine di un’epoca d’oro. Una fine brusca, terribile, tragica. 

Creò un mondo

Gianni Versace non è stato solo un maestro della moda. No, ha creato un mondo. Un immaginario, ecco. Ora barocco ed esagerato, ora invece rigoroso con abiti meravigliosamente tradizionali. Ha sognato e fatto sognare. Ha creato, appunto. Ha portato il sesso e la sessualità nella moda. È stato sfacciato ma allo stesso tempo borghese e composto attraverso i suoi abiti. 

In quegli anni ha vestito il mondo. Citiamo Lady D, che avrebbe trovato la morte, a Parigi, poche settimane dopo, la cui amicizia andava oltre il jet-set, le passerelle e i salotti migliori. Milano, New York e Miami erano casa sua. Santo e Donatella, i suoi fratelli, il porto sicuro. 

Donatella, la prima musa

Nato nel 1946 a Reggio Calabria, mamma sarta, Gianni Versace ha sviluppato la sua passione fra le mura domestiche. Con Donatella quale prima musa è fonte di ispirazione, se vogliamo. Quindi il liceo classico, la mezza idea di fare l’architetto da grande, infine – di nuovo – la moda. A Milano, dove si era trasferito nel 1972 avviando le primissime collaborazioni. E dove, sei anni dopo, assieme ai fratelli ha avviato un marchio tutto suo. Versace, già. Seguiranno idee, campagne prestigiose, oggetti cult, premi e riconoscimenti. Fama, va da sé, e un successo planetario.

Al suo stile si sono affezionati tutti. A maggior ragione gli artisti divisivi come Madonna o eccentrici come Elton John e Prince. In America, il nome Versace (pronunciato mangiandosi la prima e) negli anni Novanta era sulla bocca di qualsiasi appassionato di moda. 

© KEYSTONE
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Le modelle

E poi c’erano loro, le modelle. Un centro di gravità permanente per Versace. Con lui sono diventate super, anche perché spesso sfilavano tutte (e tutte assieme) per lui. La leggenda narra che gli inviti agli show venissero venduti a cifre astronomiche sul mercato nero. Perché in quegli anni, negli anni Novanta, bisognava esserci. A tutti i costi. Per ammirare Linda Evangelista e Naomi Campbell, o ancora Cindy Crawford.

E i vestiti? Erano ricchi di contrasti e riferimenti, in perfetto equilibrio fra sacro e profano. Pop nel più ampio e nobile senso del termine. 

Gianni Versace ha attraversato e disegnato gli anni Novanta. Anche dopo la morte, quando l’intero peso dell’azienda è passato sulle spalle di Donatella. E nonostante il suo assassinio, mediatizzato all’estremo, sia divenuto a suo modo iconico. Facendo temere che Versace, negli anni, sarebbe stato ricordato più per la morte, brutale, che lo raggiunse quella mattina americana di venticinque anni fa, sugli scalini della sua villa ancora oggi meta di pellegrinaggi, che per la sua immensa opera. Così non è stato, per fortuna. Tant’è che il nome, quel nome, è ancora sulla cresta dell’onda. Versace. 

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