"Nietzsche fa ridere fino alle lacrime"

La bibliografia su Nietzsche oggi in commercio a tutte le latitudini tappezzerebbe tranquillamente due o tre stanze, dal pavimento al soffitto, per non parlare dei titoli fuori catalogo. La prima domanda a Maurizio Ferraris, appena uscito in libreria con Spettri di Nietzsche (Guanda, pagg. 268, euro 18), è quindi scontata: che necessità c'era di un ennesimo volume, sebbene spassosissimo, sul filosofo del Superuomo? Qual è stato l'innesco, la miccia che l'ha spinto a scrivere?
«Se era una miccia - ci risponde Ferraris - era davvero lunga. Contrariamente a quanto mi succede di solito, la gestazione di questo libro è durata 15 anni. Ovviamente nel frattempo ho fatto anche altro. Ci ho lavorato d'estate, per intervalla insaniae, anno dopo anno e senza tanto convincimento, appunto perché mi sembrava futileun libro in più su Nietzsche. I temi si sono aggiunti un po' alla volta: l'idea di trattare una filosofia attraverso una biografia, e poi una biografia attraverso la geografia, è venuta poco alla volta, così come la struttura modulare, la mescolanza - che la geografia permette, diversamente dalla storia - di passato e presente, e di biografia e autobiografia. A quel punto non mi è parso più solo un libro su Nietzsche, e mi sono deciso a pubblicarlo, anche perché l'editore stava perdendo la pazienza: il contratto era vecchio di 10 anni».
Lei si mette a tutti gli effetti all'interno della narrazione, in prima persona. Che tipo di «lavoro su di sé» (mi passi l'espressione alla Michel Foucault) ha dovuto fare per prepararsi?
«Non un gran lavoro, è bastata l'impudicizia che viene con gli anni. In molti colleghi si manifesta con il romanzo (con quella che Vittorio Sereni chiamava "la tentazione della prosa"), io mi sono dato un posto di spettatore secondario in un saggio».
La domanda è filosofica: perché i libri su Nietzsche sono spesso così divertenti? Vita e pensiero del Nostro furono, di contro, del tutto tragici: com'è stata possibile questa «capriola» di molti studiosi? Perché Nietzsche è diventato, in sostanza, comico, ancor prima che ilarotragico?
«C'è una spiegazione banale e una un po' meno. Quella banale è che Fantozzi fa ridere, anche se quello che gli succede è una tragedia. Quella un po' meno banale è che, diversamente da Fantozzi o da Heidegger, Nietzsche non è solo un caso di comicità involontaria, sia essa quella del piccolo borghese o quella del professore nazista, ma da un certo momento in avanti progetta un avvenire comico, una grande buffonata. C'è da chiedersi se la trasvalutazione di tutti i valori non incominci con la trasformazione del tragico in comico. Di certo, nelle lettere dell'ultimo periodo torinese, all'epoca del crollo psichico, dice di far smorfie, e molte delle sue lettere fanno ridere – l'espressione va presa alla lettera – fino alle lacrime. Ecco, Nietzsche, a guardarlo da vicino – a, non dico capirlo, ma cercare di capirlo, credere di capirlo, fa ridere fino alle lacrime, come Beckett o come Kafka».
Ma alla lunga non è devitalizzante questo approccio?
«Secondo me è devitalizzante proprio la mancanza di ironia, perché nasconde un pezzo indispensabile di Nietzsche, che fu anche un uomo ridicolo (ogni uomo lo è, e i filosofi più di altri, a incominciare dal protofilosofo, Talete, che cadde in un pozzo facendo ridere una ragazza che assisteva alla scena). Il malinconicissimo Vigny diceva che solo il silenzio è grande, tutto il resto è debolezza. Io direi che il silenzio lo si può interrompere, ma a condizione di essere almeno un po' ironici e autoironici, il resto - sbaglierò, ma sono convinto che sia così - è una retorica spesso insopportabile, un "come soffro!" o "come soffre!" che suona fasullissimo e distanziante (vien voglia di rispondere "e soffri, e soffra, e soffrite!"...)».
Nietzsche fu un pensionato nomade. Uno che, sostanzialmente, ha vissuto di rendita. Aspetto non secondario nella biografia di una persona. Anche Schopenhauer viveva, bene, di rendita, così come altri (Kierkegaard, etc.). Filosofi rentiers. Che tipo di homo oeconomicus era Nietzsche?
«Nietzsche abbandonò l'insegnamento all'età in cui, se va bene, uno oggi trova un posto di lavoro e visse con la pensione di 3000 franchi annui elargitagli dall'Università di Basilea. Non nel lusso, ovviamente, perché doveva detrarre i soldi necessari per pagare la pubblicazione dei libri. Se Schopenhauer e Wittgenstein campavano del loro, il Superuomo, l'uomo-dinamite, era pagato con le tasse dei cittadini di Basilea. Ma più che una riflessione su quella dinastia di nullafacenti e rentiers che sembra essere una parte importante della filosofia non posso non pensare al fatto che oggi non sarebbe, forse, più possibile, non si troverebbe una università generosa come Basilea. Il mondo si è fatto più nietzschiano».
Nel suo libro c'è molta Svizzera. Lei stesso ricorda di esser stato, nel tempo, sugli stessi luoghi del filosofo: Sils-Maria, Lenzerheide... Proprio a Lenzerheide, Nietzsche compose il celebre frammento sul nichilismo europeo. La domanda è di "filosofia del paesaggio": è riuscito a trovare un filo conduttore che spieghi come Nietzsche sceglieva i suoi luoghi?
«Credo che c'entri anche la pensione, che non gli permetteva di mantenersi in una capitale. Ma, a parte questo, Nietzsche a Londra come Marx non ce lo vedo proprio, così come non lo vedo a Parigi come Heine. Il Superuomo è anzitutto un villeggiante, gli si attaglia bene la definizione che una volta Carlo Emilio Gadda diede di se stesso, commentando i tre mesi passati a Forte dei Marmi: "il Napoleone delle vacanze"».
C'è una teoria che suona pressappoco così: «In fondo, Nietzsche non era un filosofo, ma un poeta"». Lei cosa pensa di una simile messa a fuoco?
«Visto che le poesie di Nietzsche non sono il meglio che abbia composto, non sembra un complimento. Sarei più d'accordo nel vederci uno scrittore, cioè uno che ha messo in primo piano la scrittura nella propria attività che va in tanti sensi (saggio, aforisma, poema filosofico, autobiografia). Alla fine direi che Nietzsche sia diventato, come Proust, "una mano che scrive", il resto scompare poco alla volta, nella camera foderata di sughero di Boulevard Haussmann come nella stanza d'affitto di via Carlo Alberto a Torino. Proprio il contrario di Socrate, il filosofo che non ha scritto niente».