"Oggi ho dimenticato di passare la cera del bene"

È in libreria "Crani e topi" di Lorenzo Morandotti: una raccolta di aforismi, "un atto di follia"
Red. Online
04.10.2014 05:05

"L'aspetto frammentario, l'uomo del frammento... Anche l'uomo dell'istante...". Da queste parole di Cioran (come non rileggersi periodicamente «Un apolide metafisico»?) intuiamo che scrivere aforismi è attività rischiosa, se coltivata sul serio e non per vezzo mondano. L'aforisma deflagra. O rantola. In ogni caso, urta. Come accade in molte di pagine di "Crani e topi" di Lorenzo Morandotti. (edizione ES, pagg. 110, euro 12).

Morandotti è un giornalista comasco di lungo corso. Uno che per mestiere ha a che fare con 1) la gente e il territorio, 2) la caducità dei fatti, 3) il più puro relativismo. Se a questo cocktail (più analcolico e grigio di quel che sembra a prima vista) ci si aggiunge qualche cubetto di ghiaccio, spirituale, naturalmente, un ombrellino di poesia e un bel po' di amarezza ironica, ecco che se ne possono trarre aforismi non effimeri.

Tuttavia... Chamfort diceva che "gli autori di aforismi sono come i raccoglitori di ciliegie: incominciano a scegliere le migliori e poi finiscono col mandar giù tutto". Con "Crani e topi" com'è andata?

"Un libro è o dovrebbe essere - ci dice Morandotti - un sapiente amalgama di storie, architettura, estetica, pensiero. Questo è nato in quasi trent'anni di sedimentazioni, scelte, scremature e da una certa fase di sviluppo in poi soprattutto con tanto labor limae e tanta ars combinatoria per dare il giusto equilibrio alle parti più liriche, ai sedimenti surrealisti, ai frammenti di storie, alle schegge sentenziose, ai lacerti e ai fantasmi di sogni o visioni. Spero di aver ottenuto un risultato accettabile".

Perplessità non dico nella composizione, ma nel pubblicarlo?

"Mai come oggi 'fare' un libro secondo le logiche tradizionali del mercato è un atto di follia, incoscienza, una scommessa sull'inattualità. Mi conforta uscire in una collana di classici in cui sono accanto a Pierre Louÿs, tradotto peraltro da un eccellente francesista comasco come Alberto Capatti, e il marchese De Sade. Dalla fucina di via San Calimero 11 a Milano continuano a uscire riedizioni di maestri, e questo oltre a riempirmi di orgoglio responsabilizza alquanto. Uscire in una collana rigorosa e prestigiosa come 'Ars amandi' è una gioia senza pari".

Montaigne, ma prima di lui chissà quanti altri: "Filosofare è imparare a morire". Oggi, non è una novità, viviamo in tempi di rimozione e/o spettacolarizzazione della morte. Che tipo pubblico potrebbe apprezzare questo libro, dove il tema della morte ha un gran peso? Sei un autore di aforismi inclusivo (sul genere di La Rochefoucauld) o esclusivo (che tende a escludere molti lettori: Nietzsche)?

"Il libro è dedicato al binomio amore e morte, come simboleggia al massimo grado di icasticità il dipinto di Guido Cagnacci in copertina. Eros e thanatos sono fratelli, non so quanto gemelli e forse qui sta il nodo del problema. Vero, oggi si parla di morte solo in termini mediatici, spero di avere dato un sia pur minimo contributo per ricondurre l'attenzione agli aspetti piu spirituali e personali. Ciò spiega anche l'enigmatico titolo, i crani sono la condizione umana destinata alla mortalità, che merita più gradi di contemplazione compresi il delirio mistico e le decapitazioni online. Ma ci sono anche i topi, ossia la speranza in una materia brulicante di vita che nonostante tutto possa proseguire il cammino, una volta estinta l'umanità. Confesso che questa dell'estinzione del genere umano è una delle mie ossessioni di collezionista di spunti letterari. Da tempo preparo un libro che tocchi con varie citazioni i libri che hanno messo in scena, narratrivamente parlando, la fine dell'umanità. Adesso che è finita la sbornia millenaristica della profezia Maya mi sento meno con il fiato sul collo e piu motivato".

Tornando al pubblico...

"Torniamoci. Credo con la varietà di registri e di ossessioni che il libro sprigiona di potere nel tempo accrescere un piccolo drappello di fedeli lettori".

Chamfort - difficile fare a meno di lui - diceva che è impossibile che un autore di aforismi non diventi misantropo, vista l'afflizione che provoca la continua osservazione del cuore umano, proprio e altrui. Tu lo sei?

"La misantropia, con i tempi che corrono, non è un lusso ma una misura di salute pubblica. Non è per pessimismo ma per realismo. Spiace però notare che siano, gli aforisti, in maggioranza maschi. Per cui si dovrebbe più correttamente parlare di deriva misogina. Per equilibrare almeno in parte la situazione, consiglierei la lettura dei testi di un'ottima aforista nonché poetessa, Alessandra Paganardi".

Dal libro: "Il vero lettore è sempre in ritardo. Ma non se ne accorge". Urge spiegazione.

"Tra le varie screziature delle mie pagine c'è il culto della lettura, come pratica culturale che può salvarci dalle chimere e dalle illusioni. E anche dagli inevitabili condizionamenti che porta con sé l'esistenza. Il tempo è uno dei più feroci. Inevitabile citare Tommaso da Kempis: 'Ho cercato pace ovunque, senza trovarla mai tranne che in un angolo con un libro'".

Sempre dal libro: "Sopperire al cibo con la storia". Propongo di rovesciarla e usarla come riassunto del nostro tempo: "Sopperire alla Storia con il cibo...". Sei di quelli che credono alla "fine della Storia", almeno qui in Occidente, oppure per te la Storia, s maiuscola o minuscola non importa, è una dimensione ancora viva e addirittura con un futuro? Sto citando surrettiziamente 'Storia e utopia' di Cioran...

"La storia è una lezione necessaria, che non possiamo imparare perché come genere umano siamo ancora all'abc. Anche adesso che viviamo stabilmente nell'Antropocene e continueremo a farlo finché l'equilibrio tra natura e umanità non sarà ristabilito".

"Intima satura lanx" è una tua definizione di "Crani e topi". Espressione culinaria in un'epoca che della cucina e degli "assaggi" ha fatto un gran vizio... Bella anche: "Il fascino fondamentale dei ristoranti consiste nell'origine ignota dei cibi". Ce la commenti?

"Il bello del mio libro è che spesso il senso è sfuggente. Mettiamola così: se vai al ristorante provi il brivido del rischio e dell'incertezza. Diciamo che, a posteriori, è una mia piccola satira di questa epoca ossessionata dal cibo, bulimica e anoressica nello stesso tempo, che ha fatto della gastronomia uno spettacolo di intrattenimento senza mai affrontare il nodo vero che è appunto l'assoluto scollamento tra quello che ingeriamo e la sua vera origine. Parliamo di cibo solo per preconcetti. Bene ha fatto Giorgio Falco nel suo bel romanzo 'La gemella H' nel ricordarci che il piatto preferito di Hitler, presunto vegetariano, era il piccione ripieno...."

Thomas Bernhard, Cioran e Ceronetti. Parlaci del tuo rapporto con loro. "Compagni di solitudine"? Che ruolo occupano nel tuo paesaggio interiore? Come li leggi? Puoi fare altri nomi?

"Posso solo consigliarli a chi non li ha mai letti. Faccio mio il concetto di "attraversamento" che ha riguardato il rapporto tra Montale e D'Annunzio. Ci sono autori che ho sentito particolarmente affini, al punto da averne interiorizzato intere pagine a memoria, quasi in una sorta di borgesiana sovrapposizione di stile e di pensiero. Poi interviene la razionalità, per fortuna, e ridimensiona l'innamoramento per evitare l'inconsapevole plagio e indicarci altre vie. Lo stesso mi accaduto con Houellebecq, uno dei più lucidi testimoni del nostro tempo, al netto delle tante idiosincrasie e dei palesi difetti stilistici".

Gli aforismi sono il prodotto finito di un processo di pensiero. Ti ha mai interessato, alla Balzac, scrivere "tutto" il processo?

"Non sono e non sarò mai un romanziere alla Stephen King, disposto ad allungare di 400 pagine l'edizione ne varietur de 'L'ombra dello scorpione' pur di salvare le storie che l'editore aveva cassato per puri scopi commerciali. A un certo punto, è molto più divertente essere l'editor di se stessi. Il mio nuovo libro, 'Brucia le tue navi', parte proprio con questo spirito. Tagliare, mettere l'essenziale, parlare a un pubblico il più possibile vasto, avere delle storie convincenti e originali se possibile. Insomma essere consapevoli della responsabilità che comporta l'essere scrittori vuol dire soprattutto questo. Nel mio minimo, cerco di portare avanti la lezione di un grande che ci manca come GIuseppe Pontiggia".

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