Le donne e il lavoro: nuovi passi avanti

Il 2020 è stato un anno unico sotto diversi punti di vista: la pandemia, oltre a determinare un’emergenza sanitaria senza precedenti, ha influito pesantemente su aspetti economico-sociali. Uno di questi è senz’altro il gender-gap in ambito lavorativo: un problema già esistente, poiché in molti paesi del mondo si verificano ancora oggi discriminazioni contro le donne, ancora lontane dal raggiungimento dell’uguaglianza di diritti nel lavoro. La pandemia in molti casi ha ulteriormente acuito queste differenze, ponendo un ostacolo a un percorso che dovrebbe portare al raggiungimento di obiettivi quali redditi sicuri e dignitosi, pari opportunità e rafforzamento della protezione sociale per le lavoratrici.
Ogni paese convive con una specifica situazione al riguardo. Tenendo in considerazione alcuni parametri evidenziati da una recente pubblicazione dell’Ufficio Federale di Statistica, si può affermare che la Svizzera si trovi in una buona posizione. I tre presi in esame – che possono rappresentare degli ottimi indicatori dell’uguaglianza tra donna e uomo – sono: la quota di donne tra le studentesse e gli studenti; la quota di donne presente nel parlamento nazionale; il tasso di donne attive occupate. Pubblicate nel 2020, le statistiche si riferiscono agli anni 2018 e 2019.
Per quanto riguarda il primo indicatore, la quota di donne tra gli studenti del grado terziario, in Svizzera la percentuale corrisponde esattamente alla metà (50%): una quota migliorabile, ma comunque di poco inferiore alla media europea che si attesta intorno al 54%. Migliore la posizione in relazione alle donne presenti nel parlamento nazionale: in questo caso la Svizzera è quarta in tutta Europa con il 42%, dietro soltanto a Svezia, Finlandia e Spagna.
Ma è per il tasso di donne attive occupate (in età 15-64 anni), che la Svizzera si conquista una posizione di rilievo: è seconda – alle spalle soltanto dell’Islanda – con una percentuale del 76%. Gran parte del merito di questa statistica va all’alto tasso di occupazione a tempo parziale, che per le donne svizzere si attesta al 62%. Proprio questa forma di contratto, si augurano gli esperti, dovrebbe essere vista come un’opportunità per far sì che le donne possano contestualmente svolgere altre attività, dedicarsi al volontariato o alla famiglia, senza essere costrette a scegliere; e non come uno strumento da associare a impieghi precari, con annesse condizioni economiche svantaggiose.