Quando una app apre le chiese e le comunità le custodiscono

C’è un silenzio denso di luce a Montiglio, tra le navate affrescate di San Lorenzo. Fuori il sole accarezza le colline e i ciliegi sembrano vegliare sui campi. Dentro, una voce narrante si diffonde nell’aria accompagnata da luci che svelano volti, dettagli, storie. È un racconto che si accende da solo, quando il visitatore, con il solo ausilio dello smartphone, apre la porta della chiesa e si lascia guidare. La tecnologia fa il suo lavoro, ma a custodire davvero questi luoghi è qualcos’altro: la memoria, la cura, la comunità.

È il cuore del progetto Chiese a porte aperte, che abbiamo esplorato durante due giorni di press tour tra Langhe, Roero e Monferrato. Un’iniziativa che nasce per dare nuova vita a chiese spesso chiuse, restituendo loro voce e visitatori. «L’idea – racconta Roberto Canu, coordinatore del sistema – è nata dal desiderio di rendere accessibili i beni ecclesiastici dei territori periferici, quelli che non sono in città, ma che custodiscono capolavori di arte e devozione. Il problema? Pochi visitatori, orari incostanti, risorse limitate. La soluzione è un sistema che permette a chiunque di entrare, ascoltare, capire».

Il telefono come chiave, la narrazione come guida
L’app si scarica gratuitamente. Si seleziona la chiesa, si prenota un orario. Quando si arriva, il QR code sull’ingresso sblocca la porta. Dentro, inizia un piccolo spettacolo di son et lumière: parole semplici, luci che evidenziano dettagli, musica che avvolge. «Volevamo una narrazione amichevole – prosegue Canu – pensata anche per chi non è abituato a leggere l’arte. Parole comprensibili, un io narrante che accoglie. Non è un’audioguida, è una voce che ti accompagna. Abbiamo cercato di evitare la solitudine tecnologica, per questo non usiamo auricolari: la narrazione è diffusa nell’ambiente, pensata per essere ascoltata insieme».

Non è un sistema per sostituire i volontari. Tutt’altro. «Non apriamo chiese abbandonate – dice Canu – ma solo quelle che hanno intorno una comunità curante. È il criterio più importante. Serve qualcuno che senta ancora quel luogo come proprio. Tutto il progetto si fonda sulla presenza di persone reali, che ci aiutano, ci segnalano guasti, ci raccontano le storie locali su cui costruire le narrazioni. Sono i veri custodi».

Le voci del territorio
A San Lorenzo incontriamo Francesco, 86 anni, una vita trascorsa come dirigente Fiat, oggi volontario appassionato. «Mi piace accogliere le persone – racconta con un sorriso timido – vedere che arrivano da lontano per scoprire questa chiesetta. Prima bisognava sempre essere presenti per aprire. Ora l’app ci aiuta, ma io ci sono lo stesso, se serve. Questo è il mio modo di restituire qualcosa».

Alla cappella di San Ponzio, affacciata sul paesaggio di Monticello, ci accoglie Elio, ex giornalista in pensione. «Questo luogo è parte della mia storia. Vengo su quando mi chiamano, anche se sono lontano. Lo faccio volentieri, perché questa è la nostra memoria, ed è bello vedere gente nuova, interessata, che ascolta». Anche lui nota il cambiamento portato dall’app: «Una volta dovevi esserci sempre. Ora l’app snellisce il tutto, ma quando c’è un gruppo io salgo, apro, racconto. Perché certe cose non si spiegano con un codice QR».
Un modello che nasce dal basso
Oggi il progetto conta più di 70 luoghi attivi in Piemonte e Valle d’Aosta. Le visite superano le 1000 al mese. L’idea si sta espandendo verso Lazio, Lombardia, Umbria. Non solo chiese: «Abbiamo aperto due torri nelle Langhe – spiega Canu – e stiamo lavorando su mulini, parchi archeologici, luoghi della memoria. Non è solo un sistema tecnico: è un metodo narrativo. Dove c’è qualcosa da raccontare, possiamo portare questa tecnologia umana. Perché la cultura o è viva o non ha senso».
L’app è gratuita. L’ingresso anche. Ma il valore, forse, è altrove. «Vogliamo che chi entra senta qualcosa. Che ascolti, comprenda. Non ci interessa solo informare, ma far vivere il luogo. Per questo coinvolgiamo anche i bambini delle scuole: alcuni siti saranno narrati dalle loro voci. Altri avranno solo musica e luci, per chi desidera tornare e semplicemente stare. Il patrimonio non è un museo: è un tempo che ci riguarda».

La tutela passa dall’apertura
Il sistema è dotato di controlli e sensori ambientali. Le chiese selezionate non contengono oggetti mobili, le porte non sono storiche. Ma la vera sicurezza, per Canu, è altrove. «Non abbiamo mai avuto episodi spiacevoli. La comunità è attenta, anzi: ci aiuta, ci avverte se qualcosa non va. Certo, il rischio zero non esiste, ma il rischio di lasciare tutto chiuso è ben più grave: i luoghi si spengono, e con loro anche le storie».
Con un investimento di oltre 30 milioni di euro in dieci anni, la Fondazione CRT ha sostenuto il progetto nell’ambito del più ampio programma Città e Cattedrali. La Soprintendenza lo ha seguito con attenzione, la Regione Piemonte ne ha accompagnato la crescita. Ma il cuore resta locale. «Oggi molte nuove chiese ci vengono segnalate dalle comunità. Sono loro a voler entrare nel progetto. È un sistema che si costruisce insieme».
Le parole che restano
Alla fine del percorso, resta un’impressione forte: questo non è un progetto sulla tecnologia, ma sulle relazioni. Una app che apre le porte, certo. Ma è la mano del volontario che le tiene aperte. È la voce del narratore che accoglie. È lo sguardo del visitatore che si posa su un affresco e, forse per la prima volta, capisce.
«Il patrimonio esiste solo se qualcuno lo sente come proprio – conclude Canu –. Le pietre da sole non parlano. Ma se le ascoltiamo con attenzione, hanno ancora molto da raccontare».