Girovagando

«Schiz» e «pastin», la cucina che amava Buzzati

Viaggio nei sapori tipici bellunesi che il grande scrittore e giornalista, di cui ricorre il 50° della scomparsa, ha sempre rimpianto nei suoi anni milanesi. Polenta di mais “sponcio” e casunziei completano il mosaico della tradizione
Renato Malaman
16.03.2022 06:00

 

Un giorno Dino Buzzati, che viveva a Milano perché lavorava al Corriere della Sera, esasperato, scrisse peste e corna della cucina meneghina. Esagerando, certo, perché di uno sfogo si trattava… Però è significativo ricordare il seguito di quella reazione, ovvero quando il giornalista e scrittore bellunese si rifugia nella nostalgia per la cucina della sua terra, il Bellunese. Territorio sospeso fra città e montagna. Buzzati si rifugia nella memoria, anche gastronomica, di quei luoghi per ritrovare un approdo sereno.

A cinquant’anni dalla sua morte, avvenuta il 28 gennaio del 1972, è bello iniziare questo viaggio nella tradizione gastronomica bellunese partendo proprio da Buzzati, dalla sua grande casa (oggi museo e B&B di charme) circondata dalle sue amate vette, lo Schiara sopra tutte. Casa Buzzati è una sorta di totem della cultura bellunese, ne raccoglie e ne condensa tanti valori.

Buzzati aveva ragione: mangiare in provincia di Belluno può rivelarsi un’esperienza stimolante. La cucina tradizionale di questa terra è ricca di sapori ed è sostanziosa e genuina. Una cucina che parla di montagna e di antiche tradizioni contadine e, specie se ci spostiamo in città, ripropone anche certe usanze del periodo veneziano, perché Belluno è stato l’avamposto della Serenissima all’ombra delle Dolomiti, come ci ricordano gli eleganti palazzo del suo centro storico. Tutt’ora un salotto, con belvedere affacciato dall’alto sul sinuoso corso del Piave.

Una parte importante della cultura materiale di questo territorio è costituita dai formaggi, accomunati da un sapore rustico e intenso e ben rappresentanti dallo “schiz” . Con accanto la polenta di mais “sponcio”, il “pastin” (un macinato di carne mista da cuocere alla griglia) e la carne di selvaggina, che ha nel bosco il suo ambiente di approvvigionamento. Ma anche nella pasta fatta in casa Belluno vanta una lunga tradizione, come dimostrano i tanti negozi di pasta artigianale attivi in centro a Belluno. Pasta fatta in casa che vanta anche una tradizione nei casunziei, ricetta di origine povera basata sull’utilizzo come ripieno dei resti di quanto rimaneva nelle madie.

Un piatto di polenta e "schiz", il formaggio fresco che si mangia cotto.
Un piatto di polenta e "schiz", il formaggio fresco che si mangia cotto.

Un viaggio nella gastronomia bellunese inviata a conoscere da vicino anche la montagna, nelle cui malghe nasce il latte da cui si ricavano tanti tipi di formaggio. Il più famoso, come di diceva, è lo “schiz”, un formaggio fresco da mangiare rigorosamente cotto. La ricetta prevede la cottura con burro e panna, fino a rosolare le fette di cacio, rendendole filanti. Il formaggio bellunese per eccellenza, quello che tutti comprano dopo un’escursione in montagna, è il Piave DOP prodotto tutt’ora come cinquant’anni fa: è un formaggio a pasta cotta dal sapore intenso, prodotto in quattro stagionature diverse. Il Piave Fresco non ha più di 60 giorni e si presenta con la crosta sottile e la pasta morbida.

Il “pastin” ha la particolarità di presentarsi diverso in ogni paese e queste piccole varianti lo rendono unico. Si tratta di un impasto di carne di manzo e maiale tritata grossolanamente, arricchita con sale e spezie. Si può mangiare sia cotto che crudo: è ottimo in entrambe le versioni. Anche nei panini. Alla griglia tuttavia se ne esalta il sapore. La polenta di mais “sponcio” si ottiene da una varietà di granoturco autoctona. E’ un prodotto difficile da trovare altrove: viene coltivato nei comuni di Feltre, Santa Giustina e Cesiomaggiore. E’ iscritto al Registro Nazionale dei prodotti Tradizionali. La polenta di mais “sponcio” bellunese ha un colore giallo acceso ed è caratterizzata da tante pagliuzze marroni. A Belluno la mangiano soda e bella densa.

Ecco come si presenta il "pastin crudo"
Ecco come si presenta il "pastin crudo"

Va infine ricordato un altro principe dell’agroalimentare bellunese: il fagiolo di Lamon Igp. Coltivato unicamente nei comuni di Lamon e Sovramonte (le sementi, la produzione si è poi diffusa in tutta la provincia) è un prodotto a cui nel terzo week end di settembre viene dedicata una festa popolare a Lamon. Si può gustare in insalata, condito con cipolle crude, oppure nella tradizionale pasta e fagioli. Tra le botteghe storiche va ricordato il Caffè Bristot, che da oltre un secolo è anche torrefazione artigianale. Gli arredi lo ricordano. Nella vicina Quero-Vas la piccola distilleria Le Crode fa rivivere antichi metodi di distillazione, che danno personalità ad ogni grappa.

Le caldaie del birrificio Pedavena
Le caldaie del birrificio Pedavena

Da non dimenticare la Birra Pedavena, che si produce nell’antico stabilimento nell’omonimo paese alle porte di Feltre. Ancora oggi l’inizio dei turni di lavoro  è accompagnato dal suono della sirena. La birreria è tornata in mani locali dopo una breve parentesi di proprietà straniera. Il prodotto gode dell’esperienza di una vera e propria scuola di mastri birrai: accanto alla linea a marchio Pedavena, c’è la Dolomiti. Da non perdere una visita al museo della birreria, ricchissimo di documenti, attrezzature e testimonianze. Per la gente di Pedavena un patrimonio collettivo.

La “città splendente”, Belluno sospesa fra Dolomiti e Serenissima

Una veduta di Belluno
Una veduta di Belluno

La chiamano “la città splendente”. Belluno: il nome viene da Belo-dunum, definizione attribuitole dai Celti, per la bellezza del paesaggio che circonda il luogo. Oggi riassunto nella comunicazione turistica in vista delle Olimpiadi invernali del 2026 nel marchio “Montagne di Venezia”. E’ una città dove si vive bene Belluno: ai primi posti della qualità della vita in Italia. Un riconoscimento ottenuto con discrezione, perché c’è un legame profondo fra Belluno e le sue montagne silenziose. Fra Belluno e il Piave, che sotto la terrazza rocciosa dove sorge il centro storico riceve le acque del torrente Ardo. Il fiume, all’epoca della Serenissima, fluitava fino a Venezia i tronchi destinati ad essere lavorati all’Arsenale, guidati abilmente dagli ‘zattieri’, un mestiere che in Italia non esiste più. C’è ancora il porto fluviale a Belluno: oggi è un caratteristico quartiere ricco di murales.

Ci sono tanti buoni motivi per visitare Belluno, città che è ancora molto ‘veneziana’ nelle architetture del centro. L’itinerario ideale inizia in piazza dei Martiri, oggi il salotto della città e luogo dell’aperitivo. I veneziani la chiamavano Campedèl e ha una strana forma ellittica. Dovuta alla posizione della bombarda posizionata su una delle torri del castello. La piazza oggi è intitolata ai quattro giovani partigiani che furono trucidati dai nazisti il 17 marzo 1945. Lungo la passeggiata poi si svelano le altre bellezze del centro: il Duomo di San Martino, il Palazzo dei Rettori, la Torre Civica, Porta Dojona, piazza del mercato,  la chiesetta della Salute, Porta Rugo, la chiesa di Santo Stefano. Da vedere il sontuoso teatro comunale, Palazzo Fulcis con il suo ricco museo sull’arte delle spade, i chiostri e l’archivio di Stato nell’ex Scola dei Battuti.

Suggestive le zone naturalistiche che circondano la città, primo fra tutti il Bus del Buson, una stretta gola da film Western di origine preglaciale, raggiungibile al termine di una camminata fra i faggi. Qui in origine scorreva l’Ardo. Il torrente ha scavato un canyon profondo, le cui pareti oggi sono un libro aperto di geologia. E in tema di libri aperti Buzzati ne ha dedicati molti alla sua terra, anche l’ultimo: “I miracoli di Val Morel”, a cui è dedicato anche uno suggestivo sentiero, poco lontano dalla sua casa.