Se lo sport insegna la perseveranza

C’è un concetto, quello di fatica, che con tutti i suoi correlati – perseveranza, impegno, applicazione, rinuncia, disciplina – non gode di molta considerazione nella nostra società attuale. Tutto sembra volto a rendere la vita più facile e meno faticosa.
Pensiamo a qualsiasi prodotto che viene messo sul mercato: la prima cosa che ne viene sottolineata è la facilità d’uso, di un attrezzo il suo semplice utilizzo, di un corso di studi la sua rapidità, di una dieta la breve durata e in tutti i casi, sempre e immancabilmente, la garanzia del successo finale.
Sarà vero? Di certo i valori desiderati sono la leggerezza e la superficialità, mentre non suscitano grande fascino l’impegno mentale o fisico che sono fuori moda, quasi elementi indesiderabili, da allontanare. In altre parole, appena possibile, si cerca di evitare ogni sforzo, così come il lavoro della riflessione e dell’approfondimento, preferendo verità preconfezionate, semplici, seducenti e facili da capire.



Ora, sono il primo a pensare che ci sono delle fatiche che effettivamente sono inutili e che la sofferenza fine a se stessa non è auspicabile: il progresso, lo sviluppo della tecnologia e l’alleviamento del peso dell’esistenza, ogni volta che ciò sia possibile, sono sicuramente da ricercare e da promuovere.
Bisogna però essere attenti a non fare dell’assenza di impegno un principio universale e quindi a credere che tutto ciò che di bello possiamo avere e raggiungere lo otteniamo senza fare sforzo. Piuttosto, la fatica è ciò che permette l’avanzamento del singolo e della società, ed è il prezzo da pagare quando si vogliono sviluppare dei talenti.
Pensiamo al mondo dello sport, dove l’impegno e la perseveranza sono dei requisiti fondamentali per migliorarsi. Il talento è importante sì, ma non basta. Senza il lavoro quotidiano, fatto di esercizi infiniti e continui perfezionamenti, il gesto atletico non compirà mai dei progressi.



In questo senso lo sport, se svincolato dagli eccessi, diventa un esempio straordinario di come le soddisfazioni più autentiche le otteniamo solo attraverso il lavoro e l’impegno. Lo sportivo consapevole fa tesoro di questi insegnamenti che rimarranno nel suo bagaglio esistenziale di persona.
Quando rifletto su questi temi penso alla scuola dove sovente si incrociano allievi svogliati nell’imparare, come se non riuscissero a dare un senso alla loro presenza sui banchi di scuola. Ci vanno perché devono, ma non colgono quel significato di miglioramento che invece troviamo proprio nello sport.
È un peccato, perché si perde la possibilità di ottenere, questa volta nel mondo del sapere e della conoscenza, quelle soddisfazioni che nel campo dell’efficienza fisica otteniamo attraverso lo sport. Bisogna allora risvegliare in questi ragazzi un progetto di vita, un interesse verso un ideale prescelto: solo così, a parer mio, lo studente prende l’iniziativa e si coinvolge, si trasforma in atleta di carattere ed è disposto ad impegnarsi.
Ecco, il mondo della mente e quello del corpo. Non potrebbero aiutarsi e sostenersi a vicenda? Anche la mente può essere allenata. L’atleta ha il corpo che ha curato. Lo studente intelligente ha la mente che ha coltivato.